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 2013  luglio 10 Mercoledì calendario

«SOLO IL MIO SOFTWARE SA LEGGERTI NELL’ANIMA»

Dimmi cosa scrivi (e come) e ti dirò chi sei. Non c’entrano le perizie calligrafiche o psichiatriche. Il riconoscimento della personalità si fa grazie all’intelligenza artificiale, con software in grado di analizzare testi da Twitter, e-mail, social network. E le applicazioni sono potenzialmente infinite: forensi (scovando personalità da stalker o valutando la tendenza a mentire), preventive (riconoscendo le devianze come la pedofilia on-line), psicologiche (evidenziando elementi nevrotici, ma anche le caratteristiche del leader carismatico). E non mancano le applicazioni strategiche, legate al marketing, per individuare le personalità più adatte a diffondere messaggi pubblicitari. Fino all’anti-terrorismo.

Se George Orwell ormai è superato dal Maxi Fratello che spia ovunque e tutti, come ha rivelato il Datagate di Edward Snowden, i nuovi programmi per il riconoscimento della personalità non «ascoltano» direttamente, ma traggono informazioni preziose in modo implicito, a partire dalle tracce linguistiche che ognuno di noi lascia inconsapevolmente in un tweet o in un sms. Il primato della ricerca in questo campo di frontiera è italiano e il punto di riferimento si trova al Laboratorio di linguaggio, interazione e computazione (Clic) del Centro interdipartimentale Mente/ Cervello dell’Università di Trento, il CIMeC. È infatti lo studio del giovane ricercatore Fabio Celli - l’«Adaptive personality recognition from text» - ad aver attirato l’attenzione di molti, non solo scienziati e informatici, ma anche della polizia di New York e di una società finanziaria californiana interessata ad analizzare il comportamento di chi investe in Borsa.

Se il riconoscimento automatico della personalità con metodi computazionali è un’ambizione non di oggi, è solo adesso che stanno maturando gli strumenti adeguati. E infatti proprio la ricerca di Celli è tra i motivi che hanno spinto all’organizzazione di una conferenza mondiale che si terrà domani al Mit di Boston: si chiama «Workshop on computational personality recognition» e si svolgerà all’interno di un grande evento, l’«International Aaai conference on weblogs and social media» dell’Associazione per l’avanzamento dell’intelligenza artificiale (http://icwsm.org/2013).

«Secondo uno dei modelli più testati, vale a dire il “Big five”, le caratteristiche essenziali per definire la personalità sono cinque - spiega Celli -: nevroticismo, estroversione, apertura, amabilità e coscienziosità». E se per alcuni lo schema soffre di un eccesso di riduzionismo, in realtà i software partono da questa base per poi combinare le informazioni in modo creativo. «I programmi - aggiunge - riescono a rilevare correlazioni precise tra modo di scrivere e modo di essere, le stesse individuate dalla psicologia comportamentale. Il computer rileva correlazioni che si ripetono: non sa cosa significhi “nevrotico” o “estroverso”, ma il fatto che segnali dati simili a quelli ottenuti dai test cognitivi prova che le estrapolazioni hanno una certa significatività».

E fa degli esempi: «Chi usa molta punteggiatura ha un basso tasso di estroversione e un alto tasso di apertura all’esperienza, mentre chi parla molto spesso della famiglia ha un basso tasso di apertura all’esperienza e chi utilizza parole più lunghe di sei caratteri è, di solito, più introverso». Ampliando la ricerca dall’individuo alla massa, poi, emerge che «i nevrotici tendono a cercare molti contatti e followers, mentre la personalità leader rimane in una cerchia ristretta di amicizie e messaggia in maniera secca, a botta e risposta». Nell’ottica di applicare queste conoscenze è utile allora sapere che «il leader fabbrica concetti o messaggi pubblicitari che verranno veicolati più facilmente attraverso personalità nevrotiche, perché le sue interazioni sono altamente virali».

Il trentaduenne Celli, al secondo anno di dottorato, racconta che l’idea iniziale è nata assistendo a una lectio magi-

stralis di un professore dell’Università di Trento, Fabio Pianesi: fu allora che si chiese se sarebbe stato interessante provare ad applicare il riconoscimento della personalità all’universo dei social network. «Ma poco dopo - sottolinea - avrei scoperto che, oltre a me, ci stavano pensando almeno altri due team di ricercatori: uno negli Stati Uniti, capitanato da Jennifer Golbek, e un altro allo Psychometric centre di Cambridge, ma decisi di andare avanti e scrissi la prima versione del mio programma». Il risultato fu l’articolo «Unsupervised personality recognition for social network sites», presentato l’anno scorso in un convegno a Valencia. Il successo fu discreto e così Celli pensò che valesse la pena di portare avanti il lavoro, modificando il progetto di dottorato.

Ora è scattato il conto alla rovescia e l’appuntamento, probabilmente decisivo, è domani a Boston.