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 2013  luglio 10 Mercoledì calendario

LO SPETTRO-INTERDIZIONE MA PREVITI RESISTETTE QUATTORDICI MESI IN AULA

E se poi la Cassazione confermasse tutto, ovvero 4 anni di reclusione e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici? Se cioè la frode fiscale sintetizzata in «Diritti tv Mediaset» divenisse una condanna definitiva, che accadrebbe al Cavaliere il giorno dopo? A domanda secca, risposta secca: dipende.

Già, dipende. Perché sì, è vero, la legge sembra parlare chiaro. Ma poi siamo in Italia, patria del diritto e soprattutto dell’interpretazione. La legge sembra parlar chiaro: un senatore colpito da interdizione dai pubblici uffici decade dalla carica.

Così sarebbe per il senatore Berlusconi, per i cinque anni della pena accessoria. Ma c’è di più. Sulla base della legge Anticorruzione predisposta dal governo Monti e votata dal precedente Parlamento, il senatore Berlusconi sarebbe colpito da decadenza sommata a incandidabilità. Con una pena a reato fiscale superiore ai tre anni, e ci rientrerebbe appieno, il senatore Berlusconi sarebbe infatti dichiarato decaduto dalla carica - medesimo esito dell’interdizione - e gli sarebbe inibita la candidatura anche nella prossima Legislatura.

Tutto chiaro? Come si diceva sopra: dipende. La sentenza della Cassazione non sarebbe immediatamente operativa, ma dovrebbe passare attraverso il vaglio della Giunta per le immunità del Senato. E qui vengono i dolori interpretativi. Esiste infatti un precedente eccellente: nel caso Previti, che era stato anch’egli colpito da una sentenza definitiva della Cassazione, il 4 maggio 2006, al termine del processo Imi-Sir, e dichiarato «interdetto a vita dai pubblici uffici», l’allora parlamentare ci mise 9 mesi prima di dare le dimissioni. Si badi bene: Previti si dimise, non fu “dimesso”. Ricorda un senatore che all’epoca c’era: «Previti alzo le barricate e la tirò per le lunghe all’inverosimile. Il centrosinistra era dell’opinione che si dovesse semplicemente prendere atto della sentenza della Cassazione. Il centrodestra, invece, pretendeva che si entrasse nel merito, si discutesse della sentenza, e si votasse pro o contro. Una cosa estenuante. Poi, alla fine, un attimo prima del voto, Previti si dimise».

Raccontano le cronache che fu soltanto il 31 luglio 2007, quattordici mesi dopo la decisione della Cassazione, che la Camera si riunì per votare sulla proposta di decadenza dalla carica come predisposta dalla Giunta, e che quel mattino Elio Vito lesse in Aula due lettere del collega in cui, a sorpresa, chiedeva le dimissioni. Previsti scriveva, e Vito lesse, tra i rumoreggiamenti della maggioranza di centrosinistra: «Se la Camera dichiarasse la mia decadenza significherebbe la sottoposizione del Parlamento all’Autorità giudiziaria, riconoscendo così un primato esterno alla nostra Costituzione».

Qualche anno dopo si presentò la stessa situazione per l’ex Governatore della Sicilia, il deputato Giuseppe Drago. Anche lui, un attimo prima che la Camera venisse chiamata a votare la «decadenza» come deciso dalla Giunta per le Eezioni, diede le dimissioni. Accadeva il 17 novembre 2010. La pratica era stata aperta il 4 febbraio di quell’anno, subito dopo una sentenza della Cassazione.