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 2013  luglio 10 Mercoledì calendario

L’AFRICA È LA CINA DEL FUTURO

«L’Africa presenta oggi una reale opportunità d’investimento e le prospettive di crescita a breve termine sono ben migliori che per il resto del mondo; quanto alle prospettive di crescita nel lungo periodo, queste sono persino migliori che per alcuni grandi paesi emergenti», afferma uno studio diffuso ieri a Parigi dal centro studi del gruppo bancario Natixis.
L’analisi prende in conto l’insieme del continente africano, in altri tempi sconvolto da atroci catastrofi, come le malattie e le guerre civili. Ambedue questi fenomeni esistono ancora (basti pensare che la maggior parte dei malati di Aids si trova in Africa), ma fanno meno paura di prima. Il dato che colpisce è invece l’impressionante andamento demografico del Continente nero, che si appresta a diventare adulto sia come produttore sia come grande mercato internazionale. Di qui il particolare interesse che il centro studi parigino attribuisce a un quadro geopolitico in altri tempi concepito come secondario.
Dopo aver notato che «il continente africano si sviluppa rapidamente da ormai più di un decennio», il rapporto esprime la convinzione che ormai l’Africa, nel suo insieme, possa essere annoverata tra le aree economicamente più promettenti del pianeta, anche se esistono enormi squilibri tra le varie parti che la compongono. Proprio questa è una scommessa fondamentale: «La crescita deve diventare più omogenea e meno dipendente dall’esportazione di materie prime», afferma il rapporto del prestigioso centro studi francese. Un altro handicap è costituito dal basso livello del commercio tra i paesi africani, che continuano a subire le conseguenze di un vecchio sistema coloniale basato sull’export-import con i paesi lontani piuttosto che sull’interscambio tra Stati vicini e magari persino confinanti. Per ottenere questo scopo è indispensabile il miglioramento di tutte le infrastrutture, circostanza che impone all’Africa un particolare sforzo per attrarre gli investimenti esterni.
In un rapporto intriso d’ottimismo, il centro studi del gruppo bancario Natixis individua quattro pericoli fondamentali. Il primo rischio è che, in un’economia ancora molto dipendente dall’export delle materie prime, il prezzo di queste ultime sui mercati internazionali sia nei prossimi anni troppo basso (troppo, evidentemente, dal punto di vista dei paesi esportatori).
Il secondo rischio consiste nel possibile calo dell’interesse dei Bric (Brasile, Russia, India, Cina) per l’economia africana, che si tradurrebbe in una diminuzione degli investimenti esterni. Questo elemento di pericolo dipende anche dall’attuale situazione interna (economica e politica) dei Bric, costretti a misurarsi con problemi che potrebbero distoglierli dalle avventure internazionali.
Il terzo rischio è la possibile perdita di competitività, dovuta all’apprezzamento delle valute africane.
Il quarto rischio è sotto gli occhi di tutti: il ritorno all’instabilità politica. Il caso egiziano provoca più di un punto interrogativo negli ambienti finanziari internazionali. Ma, secondo il centro studi parigino, questi quattro rischi possono trasformarsi in altrettante ragioni per aiutare l’Africa, consentendole di diventare un fattore di stabilità globale. Il caso egiziano è ancora una volta emblematico: il resto del mondo ha tutto l’interesse a impedire che il maggior paese arabo sia lacerato da una guerra civile dalle imprevedibili conseguenze.
L’Egitto è al secondo posto, alle spalle del Sudafrica, nella graduatoria dei paesi del continente sulla base del prodotto interno lordo (pil). Al terzo posto c’è la Nigeria. Oggi questi tre paesi, che da soli determinano ampiamente il destino della ricchezza e della stabilità in Africa, si trovano a una sorta di bivio: la scomparsa di Mandela, simbolo vivente della riconciliazione sudafricana, il dopo-Morsi al Cairo e, infine, l’attività dell’estremismo islamico in Nigeria. Vengono poi, in ordine decrescente per la ricchezza annualmente prodotta, l’Algeria, il Marocco, l’Angola, la Tunisia e l’Etiopia. Questi otto Stati producono il 72% del pil africano. I primi quattro sfornano nel loro insieme il 56%. Altri paesi africani dispongono di un pil poco rilevante a causa sia della loro tradizionale povertà, sia delle loro modeste dimensioni geografiche e demografiche.
In effetti il continente resta molto frammentato e questa non è che una delle molte conseguenze del periodo coloniale. Per rendersene conto basta pensare all’incastro tra i territori di Senegal e Gambia. La frammentazione africana non deriva tanto dall’esistenza di 57 paesi, quanto da quella di 2.100 lingue regolarmente parlate, di 48 valute e di otto sistemi di cooperazione internazionale che esistono uno accanto all’altro, con la speranza di trasformarsi in autentiche comunità economiche sul modello europeo.
A fronte delle perplessità, ci sono le realtà e le potenzialità. Una realtà è senza dubbio l’immensa ricchezza delle risorse naturali del suolo e del sottosuolo. L’Africa ha, per esempio, il 57% delle riserve mondiali di cobalto e il 53% di quelle diamantifere. La potenzialità sta nel fattore umano: nella prima metà di questo secolo la popolazione africana in età di lavoro (la popolazione attiva del continente) passerà da 400 milioni a un miliardo e 400 milioni di persone. Nello stesso periodo le analoghe cifre per l’Europa e per altri continenti mostrano una sostanziale stagnazione. L’Africa è insomma un terreno straordinario per il potenziale sviluppo. Ma per coglierne i frutti occorre che tutti (e non solo gli africani) facciano la loro parte.