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 2013  giugno 20 Giovedì calendario

MITI SUL SET


J.J. Abrams rappresenta la nuova generazione di registi visionari e «tuttofare» (quelli anche scrittori, produttori, talvolta attori, autori di musiche, spesso montatori) della nuova Hollywood che non distingue più tra grande e piccolo schermo.
Infatti, questo 46enne con occhiali, sguardo blu e riccioli indomabili che pare un giovane professore universitario, è noto per aver creato serie come Alias e Lost e per aver diretto film (Mission Impossible III, Super 8, Star Trek – al cinema – e il seguito delle avventure dell’Enterprise Into Darkness). Ora si prepara a un nuovo round: il settimo capitolo di Guerre Stellari (pronto nel 2015), in cui conta di riportare sul set anche protagonisti delle prime pellicole come Carrie Fisher (la principessa Leia) e Mark Hamill (Luke Skywalker). Il suo nome è stato scelto dai suoi miti, George Lucas (creatore della saga, ndr) e Steven Spielberg.
J.J. è uno dei pochi registi che si presenta sempre con giacca e cravatta oppure con camicia siglata aperta su una maglietta di cotone, e scarpe inglesi al posto di quelle da ginnastica. È padre di tre figli ai quali dedica molto tempo, come alla moglie Katie McGrath che si occupa di pubbliche relazioni. È decisamente meno bizzarro di Zack Snyder, il regista dell’ultimo Superman, più autore di Michael Bay (Armageddon e Transformers) e, pur ammirandolo, è lontano dal concettuale Paul Thomas Anderson (The Master). Gli piace Robert Redford, è nato a New York ma ha scelto di vivere a Los Angeles, legge e rilegge i libri di Stephen King, Philip K. Dick, Thomas Pynchon e Ray Bradbury. «Sono sceneggiature già potenzialmente perfette» assicura citando come prediletto La morte è un affare solitario di Bradbury. E si considera molto semplicemente, oltre che un paladino del Partito Democratico, «un rappresentante della generazione cresciuta con Guerre Stellari, ossia tra la guerra e la ricerca di pace».

Non pensa che sarà arduo il suo passo a due tra Star Trek e Guerre Stellari? No, perché sono un perfezionista e ho un ordine mentale che mi farà chiudere l’universo immaginario e fantascientifico di Star Trek per dedicarmi all’umanesimo mitologico e universale di Guerre Stellari.

Quali erano i suoi passatempi da bambino? Andare in bici, inventare storie, leggere e guardare film e programmi televisivi. I generi, dal melodramma alla fantascienza, mi hanno sempre affascinato e spinto a capire i personaggi e le situazioni. Avrei voluto essere uno scrittore più che un regista, ma mi affascinava il cinema.

Come si sta preparando a Guerre Stellarli? Con innocenza, perché nella saga di Lucas c’è una forma di giovane innocenza che ha affascinato molte generazioni. Star Trek è decisamente più hi-tech, ma io ho un obiettivo: coniugare l’avvenirismo digitale con la conoscenza dell’uomo che mi hanno dato i saggi di Joseph Campbell, studioso delle religioni e dei rapporti tra padri e figli, un tema che sempre ho messo nei miei lavori.

Come trascorre il tempo libero? Il momento della giornata che preferisco è quello della colazione con la mia famiglia. E mi piace stare all’aria aperta con i miei figli.

Chi butterebbe da una torre: Spielberg, Lucas o James Cameron? Sarebbe una missione impossibile.

È più fiero dei film o delle serie tv? Vorrei essere orgoglioso dei piccoli film che ho scritto e che a furia di rimandare non ho diretto. Non sono, tuttavia, una vittima del potere dei cosiddetti film franchise. In questi e nei serial ho sempre coniugato le regole del cinema blockbuster e i temi che mi interessano: il senso di colpa per le disparità sociali, le relazioni tra genitori e figli, la mitologia che entra nel quotidiano.

Spesso veste di nero, se non indossa camicie bianche usa T-shirt, le montature dei suoi occhiali sono sempre ricercate... Si considera uno snob? Assolutamente no: mi piace considerarmi una persona «normale». In quanto all’eleganza, credo che sia importante personalizzare anche le proprie magliette di cotone e i jeans, e lo stesso processo si può applicare alle logiche del franchise e al cinema di massa.

Lei è nato nel 1966. Che ricordo ha degli anni Settanta, quando la scatola nera dei computer non aveva ancora cambiato il mondo? La prima cosa che mi viene in mente è la musica di quegli anni, dai Pink Floyd agli Abba, poi la morte di Elvis Presley, le prime sonde spaziali Voyager, la fine della guerra in Vietnam, l’eco dello scandalo Watergate, le feste in discoteca con gli amichetti, i film visti nei drive-in e i dischi in vinile, ora soppiantati dai cd. Credo che molti di questi ricordi, oppure fatti e situazioni che poi ho studiato, entreranno nel nuovo Guerre Stellari. Poi, di sicuro dirigerò un mio piccolo film, una commedia drammatica che ho scritto prima di non sapere dire di no all’offerta fattami nel ruolo di emissario di Lucas dalla produttrice Kathleen Kennedy. Ed è bello che per questo progetto a chiamarmi sia stata proprio una donna.