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 2013  giugno 24 Lunedì calendario

I BOIARDI E IL COMMA C COSÌ I MANAGER DI STATO HANNO BLOCCATO LA RIFORMA


Quando dall’ufficio del nuovo capo di gabinetto del ministero dell’Economia, Daniele Cabras, è uscita la prima bozza della direttiva per le nomine dei manager di Stato e ha cominciato a circolare tra i Palazzi della Roma del potere, è scoppiata la rivolta di molti boiardi. Hanno strabuzzato gli occhi e si sono sentiti mancare. Il “comma C” era per loro la fine di una lunga carriera, non sempre con risultati brillanti per gli azionisti, ma sempre borderline tra business, politica, le segreterie dei partiti e le anticamere degli uffici ministeriali. C’era scritto che non si poteva essere confermati oltre il terzo mandato nello stesso incarico, vale a dire non oltre nove anni; c’era fissato un limite di età (70 anni) per poter assumere l’incarico di amministratore; c’era il divieto per un anno di trapasso dall’aula parlamentare a quella di un cda. C’era. Perché poi le cose sono cambiate.
La rivolta ha avuto effetto. Qualcuno dice che - nell’ombra si sia rimesso in azione anche Luigi Bisignani, ringalluzzito dal successo in libreria delle sue memorie per quanto assai reticenti. La direttiva è cambiata, ma ancora prima è cambiata la mozione approvata dal Senato a cui si ispira la direttiva del ministro Fabrizio Saccomanni, condivisa dal premier Enrico Letta, e che sarà applicata sotto il controllo dei “garanti” guidati dall’ex presidente della Consulta, Cesare Mirabelli. A Palazzo Madama, proprio sulla mozione nomine, si è per la prima volta frantumata la maggioranza tripartita, Pd, Pdl e Scelta Civica. I montiani volevano il “comma C” e hanno espresso il loro dissenso. L’accusa: se la Grosse Koalition non produce le riforme, declina in un neoconsociativismo. E insieme a Pd e Pdl hanno votato il Movimento 5 Stelle e la Lega Nord, spinta - pare - a difendere soprattutto i suoi, piazzati ai tempi dell’alleanza con Berlusconi, sulle cadreghe romane.
Tutti salvi, dunque, fino alle prossime assemblee da qui a maggio del 2014. Fulvio Conti (che per sua stessa ammissione ambirebbe al quarto mandato), Paolo Scaroni, Massimo Sarmi, Flavio Cattaneo, Mauro Moretti, solo per ricordare i nomi dei nostri top manager pubblici. Dietro ai quali si muovono i quasi 200 amministratori delle 32 società partecipate dal Tesoro.
La mozione insieme alla direttiva Saccomanni, va detto, sono una novità. Introducono elementi di trasparenza; fissano, per quanto ancora assai vaghi, criteri di professionalità; pongono vincoli espliciti alle nomine a cominciare dai potenziali conflitti di interesse ed escludendo coloro che siano stati rinviati a giudizio, abbiano patteggiato una pena o riportato una condanna «per talune gravi fattispecie di reato penale quali, ad esempio, i reati contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica, contro il patrimonio, contro l’ordine pubblico, contro l’economia pubblica, in materia tributaria e fallimentare ». E per chi è in carica scatta la decadenza automatica nel caso di condanna o patteggiamento per una delle precedenti fattispecie.
Alla fine tutti resteranno in carica fino al termine del proprio mandato. E anche oltre, come Mauro Moretti, per il quale è pressoché certa la riconferma alle Ferrovie. Non c’è, dunque, da aspettarsi, per ora, alcun ribaltone. Nemmeno in Finmeccanica, l’azienda coinvolta in una sequela di scandali e ora guidata da Alessandro Pansa, destinato ad essere confermato. L’assemblea del 4 luglio dovrebbe nominare i due nuovi consiglieri (al posto di Orsi e di Franco Bonferroni, ammini-stratore in quota Udc e dimessosi dopo essere stato coinvolto in un’altra inchiesta giudiziaria) tra i quali ci sarà il prossimo presidente che prenderà il posto dell’ex ammiraglio Guido Venturoni, attuale vice presidente anziano.
C’era un patto tra Pd e Pdl, un patto tra i Letta, Enrico e Gianni, che avrebbe dovuto portare il prefetto Gianni De Gennaro alla presidenza di Finmeccanica. Il patto non si è rotto ma la scalata di De Gennaro appare «molto complicata », come dicono in Via XX settembre. De Gennaro è stato sottosegretario con delega ai servizi nel governo Monti. La legge Frattini sul conflitto di interessi chiede che passi un anno dopo essere stato al governo per assumere un incarico in una società controllata dal Tesoro. Una leggina ad hoc sarebbe la soluzione ma il governo non sembra intenzionato a percorrere una strada così impervia. D’altra parte le alternative a De Gennaro ci sono. Una è Giuseppe Zampini, ad di Ansaldo Energia, uomo molto sostenuto dal Pd ma che non avrebbe una facile coabitazione con Pansa, tanto che quest’ultimo pare abbia minacciato di andarsene. Poi ci sono i due ex ambasciatori: Giovanni Castellaneta e soprattutto l’ex segretario generale della Farnesina, ora capo del Dis (Dipartimento Informazioni per la Sicurezza) Giampiero Massolo, successore proprio di De Gennaro.