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 2013  giugno 24 Lunedì calendario

PANSA, LA CURA DOPO GLI SCANDALI “COSÌ RILANCIO FINMECCANICA”


Ci sono due Finmeccanica, una a Le Bourget e una a Roma. A Le Bourget i prodotti, a Roma la politica azionista, che ha lasciato per tre anni il gruppo sulla graticola degli scandali e dei terremoti al vertice e che dal 16 febbraio scorso, giorno delle dimissioni di Giuseppe Orsi indagato per corruzione internazionale e altri reati, non è riuscita ancora a dargli un presidente. All’Air Show gli aerei, gli elicotteri, lo spazio, i radar, i sistemi di difesa e sicurezza, a Roma i 3 miliardi di euro di perdite dei bilanci 2011 e 2012, frutto non di una crisi di mercato ma di clamorosi errori di gestione.
E’ una crisi partita da lontano, esattamente dall’autunno del 2008, e richiede una premessa. Nel 2002, constatato di avere una massa critica rilevante ma non sufficiente nei settori aerospazio e difesa, l’allora numero uno Francesco Guarguaglini decide che quella massa critica deve crescere. Il ciclo è stato intenso, erano anni d’oro, c’erano l’Iraq e l’Afganistan e con Bush presidente la spesa del Pentagono era generosa. Il suo culmine è giunto nell’ottobre del 2008 con la firma sul contratto di acquisto dell’americana Drs. Pagata molto, anzi troppo.
L’autunno del 2008 è anche quello dell’inizio della crisi finanziaria, che presto comincerà a mordere sull’economia reale e sulla spesa pubblica, compresa quella per la difesa. «Chiuso il ciclo espansivo - dice Alessandro Pansa, direttore generale da maggio 2011 e da fine del febbraio scorso anche ammini-stratore delegato del gruppo -Finmeccanica avrebbe dovuto integrare le aziende acquistate, Drs compresa, razionalizzare e ristrutturare, come hanno fatto i concorrenti. E’ stato fatto, con successo, solo con Agusta e Westland, per il resto del gruppo non è accaduto e la crescita dei ricavi senza la ristrutturazione dei costi è stato quello che ha portato alla crisi di Finmeccanica». Ovvero agli oltre 3 miliardi di perdite dei bilanci 2011 e 2012.
Mentre il gruppo guidato prima da Guarguaglini e poi da Orsi cumulava perdite, il mondo intorno cambiava. Dei 450 miliardi di dollari del mercato mondiale dell’aerospazio e difesa più o meno un terzo emigrava dai paesi industrializzati verso Cina, Russia, India, Brasile, Arabia Saudita e via elencando. Si è passati in pochissimo tempo da mercati domestici nei quali erano i produttori a fare i prezzi, a mercati aperti nei quali tutti sono in concorrenza con tutti, mentre le potentissime industrie americane in seguito alla riduzione dei budget del Pentagono cominciavano a cercare spazi altrove, Europa compresa. Un contesto che lascia prevedere una nuova fase di ristrutturazione del settore in Europa, già annunciata dai tentativi di fusione tra l’inglese Bae e la franco-tedesca Eads.
Il problema di Finmeccanica è come affrontare questa nuova fase, fatta di mercati nuovi, concorrenza aperta, ristrutturazione del settore. «All’inizio del 2012 - spiega Pansa - avevamo quattro aree di crisi: Alenia Aermacchi, le tre Selex, Drs e Breda; avevamo un capitale investito enorme e pari inefficienza, e con tre anni di ritardo ci siamo messi a fare quello che avremmo dovuto iniziare già nel 2008». Il piano è stato varato ai tempi di Orsi presidente con Pansa direttore generale, puntando sul contenimento del capitale investito e dei costi, sulla integrazione delle aziende del gruppo e sulla razionalizzazione del catalogo prodotti.
Alenia Aermacchi è già sostanzialmente fuori dal guado, continua a vendere i suoi Atr (a Le Bourget sono state ufficializzate nuove commesse per 83 velivoli più opzioni su altri 90), ha avviato una collaborazione con la Sukhoj per il Superjet 100 (il primo è stato consegnato alla messicana Interjet) mentre è leader di mercato con i suoi velivoli militari da trasporto e da addestramento. Le tre Selex da gennaio sono state fuse nella Selex ES, è stato rivisto il portafoglio prodotti e in queste settimane sono in corso la trattativa sindacale per gli esuberi (escludendo licenziamenti) e la razionalizzazione delle sedi. Drs ha già avuto un robusto taglio di personale ed è in corso la sua piena integrazione nel gruppo. Secondo i piani tra un anno e mezzo l’intera opera di integrazione e ristrutturazione dovrebbe dare appieno i suoi frutti in termini di recupero di efficienza e redditività.
Dopo l’uscita di Orsi, in febbraio Pansa è diventato anche amministratore delegato con i pieni poteri. E li ha subito usati, cambiando i vertici di tutte le principali aziende del gruppo, rivedendo la governance, l’orienta-mento del business e la strategia. «Finmeccanica era più una federazione che un gruppo integrato, ora i rapporti tra il centro e le controllate sono stati ridefiniti nella logica di una integrazione piena. Abbiamo centralizzato l’internal audit e gli acquisti indiretti che valgono oltre 1,2 miliardi, rifatto le direttive sui consigli di amministrazione tagliando tutti i consiglieri esterni, rivisto tutti i rapporti con i consulenti e gli agenti commerciali - elenca Pansa -Ora, chiunque si troverà a governare l’azienda dovrà fare i conti con regole di governance assai più stringenti rispetto al passato ».
Seconda area di intervento, il business: «Verso l’interno la riorganizzazione era già cominciata puntando sulla riduzione del costo del prodotto attraverso la razionalizzazione del capitale investito, dei processi produttivi e della rete di fornitori. I frutti cominciano ad arrivare. Verso l’esterno abbiamo dovuto fare i conti con tre anni di non gestione, la perdita di reputazione e il mutamento del quadro competitivo. Stiamo rivedendo la rete commerciale, la gamma dei prodotti, i mercati».
Infine le strategie. «Nel recente passato sono stati dati messaggi fuorvianti - dice Pansa - come quello che dobbiamo fare cassa per ridurre i debiti e per questa ragione venderemo energia e trasporti. Il debito in effetti è elevato ma non critico, Finmeccanica non ha problemi di liquidità né di gestione della finanza, non si tratta quindi di vendere per ridurre il debito, anche perché il riassetto non si conclude con un paio di vendite poiché c’è da investire per avere un ruolo di rilievo nel processo di ristrutturazione dell’industria europea che è alle porte».
Pansa preferisce affrontare il posizionamento strategico del gruppo da un altro punto di vista: «Oggi siamo presenti in tre settori, aerospazio e difesa, trasporti ed energia. Il primo rappresenta l’86 per cento del fatturato e assorbe 60 mila dei 68 mila dipendenti del gruppo, i trasporti contribuiscono per il 9 per cento e l’energia per il 5. Questo - dice - è il punto di partenza. Approfondendo scopriamo che le dinamiche strategiche dei tre settori sono diversa l’una dall’altra e non ci sono complementarità. Ansaldo Energia è un’azienda gestita assai bene, è la quinta al mondo nel suo settore con 1,2 miliardi di fatturato dopo quattro colossi che di fatturato nel settore ne fanno circa 15 ciascuna. Ansaldo Energia non è un problema oggi, ma si sta cominciando a sviluppare una nuova generazione di turbine ed è evidente che i quattro colossi che la precedono hanno una massa per investire che lei non ha. Dobbiamo allora responsabilmente domandarci se la sua presenza dentro Finmeccanica è quella che le assicura un futuro migliore o se invece non dobbiamo porci il problema di trovare per lei la migliore collocazione strategica».
Un quadro parzialmente diverso è invece quello del settore trasporti. Finmeccanica controlla Ansaldo Sts e Ansaldo Breda. «Sts è una bellissima azienda - dice Pansa - una eccellenza nel suo settore e, fino a sei mesi fa, con un futuro tranquillo. Ma sei mesi fa la Siemens ha acquistato la britannica Invensys e si è creato uno sbilancio dimensionale che in qualche modo Sts deve colmare, entrando in un gruppo che ha tecnologie omogenee o facendo acquisizioni. Il caso di Ansaldo Breda è diverso, non è nelle condizioni di stare in piedi da sola. Siemens, Alstom e Bombardier fatturano ciascuna oltre 4 miliardi, Breda 550 milioni su quattro stabilimenti, che nonostante il grande lavoro fatto non sono ancora efficienti. La sua integrazione con qualche altro gruppo è inevitabile».
Il disegno strategico sembra essere quindi quello di concentrare il gruppo nell’area dell’aerospazio e difesa, migliorando efficienza e competitività e investendo per aumentarne le dimensioni. Un’ipotesi per esempio è quella di rilevare Avio Spazio, che realizza il vettore satellitare Vega, per integrare l’area spazio del gruppo oggi rappresentata dalle due joint venture italo-francesi Telespazio e Thales Alenia Space. Fra i treni e i vettori spaziali Pansa ritiene più coerente per il suo gruppo investire nei secondi anziché nei primi.
Ma il problema è complesso, perché il paese, che già ha perso posizioni in molti settori industriali, rischierebbe di perdere la sua presenza anche nei trasporti ferroviari e nell’energia. «Dobbiamo trovare la giusta collocazione per gli asset che dentro Finmeccanica non avrebbero un futuro, nell’interesse di chi ci lavora, del paese e degli azionisti, e dobbiamo occuparci di quelli che rappresentano i punti di forza del gruppo per dare loro un futuro migliore. E’ questa la vera corporate social responsibility ». Vedremo il prossimo 4 luglio se il governo Letta e la sua composita maggioranza condividono.
A Le Bourget, l’aeroporto appena fuori Parigi che in questi giorni ospita il salone mondiale dell’industria aerospaziale, si capisce che nel mondo c’è un piccolo club molto elitario, quello dei paesi che sanno fare aerei, elicotteri, vettori spaziali e satelliti. I membri sono pochi e quelli che contano ancora meno: Stati Uniti, Russia, Francia, Brasile, Germania, Inghilterra. L’Italia c’è e fa parte del gruppo di testa. Con gli elicotteri dell’Agusta Westland, gli aerei dell’Alenia Aermacchi, i sistemi di difesa e sicurezza della Selex, il Vega di Avio Spazio, tutti nelle prime posizioni mondiali in termini di tecnologia e di mercato.
L’Italia fa parte del club nonostante i Palazzi di Roma. Nei quali ora si deve decidere se intendiamo restarci.