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 2013  giugno 24 Lunedì calendario

IL TERREMOTO INCUBO ITALIANO


Terremoti e vulcani sono i veri padri del pianeta Terra, ma in nessun’altra parte del mondo questa affermazione è vera come in Italia. La sequenza sismica della Garfagnana, uno dei settori appenninici a maggior rischio, desta la nostra attenzione già sollecitata dall’anniversario del terremoto emiliano e dalle polemiche non sopite su quello de L’Aquila di oltre quattro anni fa. Ma a pensarci bene è l’Italia moderna che nasce fra i terremoti di Messina e Reggio Calabria (1908) e Avezzano (1915), così come quella contemporanea è stata segnata indelebilmente dal «cratere» dell’Irpinia (1980), dagli sfregi alla basilica di San Francesco ad Assisi (1997) e dai piccoli morti di San Giuliano di Puglia (2002). Siamo un paese che balla e che deve convivere con la paura atavica di quando ti si muove quanto hai di più stabile (la terra sotto i piedi) e dovremmo incardinare i nostri interventi di pianificazione su questo criterio, se non vogliamo continuare a pagare un tributo di vittime che nessun paese si dovrebbe permettere. Se la storia è maestra di vita, quella naturale lo è a maggior ragione: il paesaggio naturale primevo italiano è, in ultima analisi, per lo più, un paesaggio sismico, nel senso che è stato generato da terremoti e sconvolgimenti tellurici, fin da quando gli uomini non erano ancora comparsi. La stessa caratteristica forma a scarpone della penisola è stata scontornata da centinaia di migliaia di anni di faglie e fratture.

L’inclusione dell’Etna nel patrimonio dell’Umanità da parte dell’Unesco può sorprendere solo chi non conosce la storia naturale del nostro paese. Perché, al di là della bellezza paesaggistica, l’Italia è terra di eruzioni vulcaniche che qui hanno una registrazione storica lunga come in nessun’altra parte del mondo. Sui fianchi di quella montagna Ulisse ingaggiò battaglia con i Ciclopi e sfuggì ai massi lanciati da Polifemo. Ma i Ciclopi erano i custodi delle fucine di Efesto che là sotto, dove oggi riconosciamo la presenza di una enorme camera magmatica, forgiava le armi per gli dei dell’Olimpo. L’Etna è teatro di eruzioni spettacolari in media una volta ogni due anni: si tratta in genere di colate di lava basaltica velocissima e molto calda in grado di raggiungere Catania (come nel 1699) che sono state il palcoscenico di due spettacolari tentativi di deviazione del flusso per la prima e unica volta al mondo (1983 e 1992). In genere sono innocue per le persone, salvo le rare esplosioni sommitali, a differenza del Vesuvio o dei Campi Flegrei, terre ancora di miti, ma pure di rischi elevatissimi. Del resto non è un caso che nel paese che vanta il maggior numero di siti protetti dall’Unesco (48), solo quattro sono quelli assegnati su criteri naturalistici (e non culturali) e ben tre di questi per caratteristiche geologiche, l’arcipelago vulcanico delle Eolie e le Dolomiti. Purtroppo lo stato di assedio permanente da parte di cemento e strade dei luoghi naturalistici di maggior attrazione del nostro paese rende difficili ulteriori riconoscimenti: oggi in Italia non è possibile tracciare un cerchio del diametro di dieci km senza includervi per forza almeno una costruzione.

Da un lato dunque il rischio del sisma permanente, dall’altro il paesaggio vulcanico e la radice dei miti ancestrali. A guardarli bene si tratta di due facce della stessa medaglia che consentirebbero peraltro identiche possibilità. La ristrutturazione antisismica del patrimonio storico e monumentale del paese, oltre che degli edifici pubblici in generale, può essere opportunità di riprese economica, se si considera che anche Roosevelt fece lo stesso con il rischio idrogeologico negli Stati Uniti della crisi del 1929. La tutela dei siti vulcanici permette di allargare il baricentro dell’attrazione turistica del nostro paese, purché si tenga conto opportunamente di un rischio che, nel caso delle eruzioni, ha il pregio di poter essere previsto. Il sigillo dell’Unesco ci ricorda il nostro rapporto di figliazione diretta con la natura dei vulcani, ma è esattamente lo stesso rapporto che ci lega ai terremoti: starebbe a noi comprenderlo e trasformarlo in opportunità.
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