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 2013  giugno 24 Lunedì calendario

LA RIVOLUZIONE DEI QUARANTENNI


Una piccola e silenziosa rivoluzione. Il presidente del Consiglio e i suoi ministri, avvalendosi della normativa che entro un mese dall’insediamento di ogni governo consente di confermare o far decadere gli alti dirigenti dei ministeri, hanno scelto quasi tutti la strada della discontinuità. In alcuni casi con scelte di svolta: al posto di Manlio Strano, 71 anni, segretario generale a palazzo Chigi sia con Berlusconi che con Monti, è arrivato Roberto Garofoli, 47 anni, diverse esperienze nella «macchina» governativa; Mario Canzio, che di anni ne ha 67 ed ha occupato la poltrona strategica di Ragioniere generale dello Stato con Prodi, con Monti e con due governi Berlusconi, ha lasciato il campo a Daniele Franco, 60 anni, uomo di Banca d’Italia; ha dovuto lasciare anche Vincenzo Fortunato, già da tempo figura simbolo del superburocrate potente e ubiquo: al suo posto di capo di gabinetto al ministero dell’Economia, il ministro Fabrizio Saccomanni ha chiamato Daniele Cabras, già dirigente della Commissione Bilancio di Montecitorio.

In diversi ministeri, il ricambio è stato accompagnato anche da un significativo salto generazionale, che integra quello avviato da Letta con la scelta dei ministri. Facendo con ciò balenare il paradosso di un governo rinnovato, almeno nei ministri e nei dirigenti, ma già in seria difficoltà politica. Naturalmente è prematuro valutare l’impatto della «piccola rivoluzione» e se cioè superburocrati più giovani siano anche più bravi dei loro predecessori. Ma la storia dimostra che proprio l’inamovibilità dei dirigenti è all’origine del loro pericoloso potere. Un potere che trae origine soprattutto dal monopolio delle informazioni. Tutti i ministri prima o poi se ne rendono conto: nella gestione di un ministero occorre masticare di bilancio dello Stato, di diritto amministrativo, ma la cosa più importante è stabilire un feeling con gli alti burocrati degli altri ministeri e della presidenza del Consiglio. I depositari di questo know how non vogliono «socializzarlo», lo rendono opaco, finendo per creare rendite di posizione, al punto che Francesco Giavazzi, docente della Bocconi, ha scritto sul «Corriere della Sera»: «Uno dei motivi, forse il principale, per cui il governo guidato da Mario Monti non è riuscito a tagliare la spesa pubblica è stata la scelta di mantenere al loro posto, quasi senza eccezioni, tutti i grandi burocrati».

In base ad una normativa che incoraggia lo spoil system, il nuovo governo aveva tempo fino al 31 maggio per decidere se confermare capi di gabinetto e degli uffici legislativi, capi dipartimento, direttori generali. Chi non era confermato, sarebbe automaticamente decaduto. Il ministro dell’Economia Saccomanni si è decisamente avvalso della facoltà di rinnovare, ponendo fine ad una lunga stagione sotto il segno di Giulio Tremonti e di Vittorio Grilli. Il cambio più importante riguarda il Ragioniere generale dello Stato, personaggio chiave chiamato a «bollinare» gli interventi del governo e garante del rispetto delle politiche di bilancio. Una posizione che ha rappresentato un formidabile concentrato di potere: Andrea Monorchio vi restò per tredici anni, con dieci governi. Dunque, esce di scena Mario Canzio, entrato in Ragioneria nel 1972, come funzionario dell’Ispettorato generale del Bilancio, l’ufficio che controlla la spesa pubblica.

Al posto di Canzio è arrivato Dario Franco, che ha svolto il ruolo di direttore generale per l’area ricerca economica e relazioni generali della Banca d’Italia. Esce di scena - è stato anche lui a chiederlo - Vincenzo Fortunato, per anni ministro ombra dell’Economia, dopo aver lavorato al fianco di una decina di ministri tra loro diversissimi, ministri come Ottaviano Del Turco e Antonio Di Pietro, Giulio Tremonti e Mario Monti. Cambio anche per gli incarichi di Capo dell’ufficio legislativo economia e di consigliere legislativo finanze, ruoli determinanti nella stesura dei provvedimenti di finanza pubblica: al Mef arrivano due magistrati della Corte dei Conti, Luigi Caso e Francesco Frettoni, tutti e due di 47 anni. Robusto spoil system anche alla Presidenza del Consiglio: oltre al segretario generale, sono cambiati il dirigente del Dipartimento Affari giuridici, la responsabile della Segreteria del Consiglio, due vicesegretari generali: incarichi affidati tutti a quarantenni. Nuovi responsabili anche al Dipartimento politiche economiche, alle Pari Opportunità, al Legislativo Rapporti col Parlamento, al Legislativo Riforme costituzionali. Nei prossimi mesi si capirà se la «piccola rivoluzione» sarà o meno in grado di contraddire la previsione di un’autorità in materia come Sabino Cassese, che anni fa non appena due leggi resero possibile lo spoil system dei dirigenti, scrisse: «Se, prima, l’alta funzione pubblica era poco sensibile alla politica e formalistica, ora essa è posta alla mercé della politica, quindi indebolita».