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 2013  giugno 24 Lunedì calendario

IL RECORD HIPPIE DI FIASCONARO “MI DICEVO: ADESSO SCOPPIO”


[Marcello Fiasconaro]

La data: 27 giugno 1973. L’occasione: incontro di atletica leggera Italia-Cecoslovacchia. Il luogo: Arena di Milano. «Marcello Fiasconaro era uno degli uomini più simpatici che abbia mai conosciuto», racconta Carlo Vittori. «Ci sentiamo ancora: era molto addolorato per Pietro». Stoffa selvaggia, animo tenero. Era anche un campione speciale: «Sapeva di non saper correre e pur non sapendo correre ha stabilito il record del mondo degli 800 metri». Cose di un’altra atletica? Forse. Dopo l’estate del ’72 Marcello aveva deciso di smetterla con i 400 (argento dietro l’inglese Jenkins agli Europei di Helsinki del ’71: «Ma lo stavo riprendendo...! »). Quella sera aveva riunito tutti i suoi personaggi: l’emigrante che si presentò in pista vestito da rugby, l’hippie con i baffi spioventi che ascoltava Carlos Santana, il 400entista deluso, il rugbista mai sopito, l’uomo che prima di sposarsi con un’assistente del prof. Barnard amava non tutte le donne ma quasi, il mezzofondista che si allenava con sistemi da “marine”, 100 metri e flessioni, 100 metri e bilanciere, 100 metri e balzi. Partì inseguito da Plachy. Non pensava al record, voleva solo andare forte. Fece tutta la corsa in testa, senza lepri, come Rudisha 39 anni dopo: «Passai a 51”2 ai 400 e mi dissi ora scoppio». Non scoppiò. «Ai 600 ero a 1’16”5 e mi dissi: ora scoppio». Non scoppiò. Plachy si stava allontanando. Regolare e instancabile, Marcello chiuse gli ultimi 200 metri in 27”2: «Partiva a una velocità e arrivava a quella velocità », ricorda Vittori, «in nessuna prova, in allenamento o in gara, l’ho mai visto fare un cambio di ritmo». Alle 22.30 il tabellone indicò: 1’43”7, tempo manuale che voleva dire record del mondo ritoccato di sei decimi. Come tale durò sino ai Giochi di Montreal del ’76 e sino all’esplosione di Alberto Juantorena, l’uomo che correva come un “caballo”. Però è ancora record italiano, affiancato dal 1’43”74 elettrico di Andrea Longo (2000).
«Dopo la gara Vittori non disse niente, mi dette un bacio sulla guancia commosso e si chiuse nella sua stanza». Ripartì per il Sudafrica la notte stessa: «Sull’aereo il comandante disse: abbiamo a bordo un primatista del mondo! Ci fu l’applauso ». Marcello era nato a Città del Capo il 19 luglio del 1949. Suo padre Gregorio, palermitano di Castelbuono, era un ufficiale dell’Aeronautica italiana abbattuto dagli inglesi durante la Seconda Guerra Mondiale. Venne trasferito nel campo di prigionia di Pietermaritzburg in Sudafrica. E lì rimase. Dopo la Guerra nacque Marcello e Gregorio divenne una celebrità: lo chiamavano “il padre dell’opera in Sudafrica”. Provò a spingere Marcello verso la musica. Lui disse no grazie preferisco il rugby. Quando la sua squadra aprì una sezione di atletica infilò le chiodate e fece un 400 in 48”. Un discobolo italiano, Carmelo Rado, lo segnala alla Fidal. Prima di David Rudisha, Wilson Kipketer, Lord Sebastian Coe e Alberto Juantorena, c’era Fiasconaro, il campione breve che si può misurare in 40 anni o in 800 metri. Mercoledì Marcello sarà a Milano per celebrare la sua impresa (un incontro in Comune con il sindaco Pisapia e poi una festa all’Arena perché, si sa, l’assassino di un record prima o poi torna sul luogo del delitto). La Fidal coglierà l’occasione per presentare con lui gli Assoluti che si terranno all’Arena dal 26 al 28 luglio. «Non capisco perché l’Italia non abbia più sfornato grandi ottocentisti». «Non è vero», brontola Vittori, «il mio Donato Sabia senza malanni ti avrebbe superato». Gioco di ricordi o di rimpianti?
Aveva un cuore grande così, Marcello: «E ce l’ho ancora, ma non per l’atletica». Il suo tendine d’Achille era il tendine d’Achille, sovraccaricato da piede cavo con le dita ritratte. Il gigante aveva una base fragile: «Non sono mai riuscito a migliorare nella velocità perché ero sempre impacciato in partenza, non ero uno da 20”40 nei 200». Sballottato fra i club di Nebiolo e Mastropasqua, provò l’eremo di Formia e Vittori lo condusse al record. Nel ‘77 aveva deciso di tornare al rugby. Ma in Italia. Un giorno Vittori lo chiamò: «Come stai?» E lui: «Coach, noi qui a Milano dormiamo sui materassi, per il letto non ci sono i soldi ». Vittori gli ordinò di fuggire: «Non si meritava certe umiliazioni». Tornò in Sudafrica. Stavolta per sempre.