Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  giugno 20 Giovedì calendario

QUELLA LEGIONE FEMMINILE DALL’EUROPA —

Nicole e le altre. Donne inglesi, olandesi, forse anche italiane che vanno in Siria. Per fare le infermiere, per aiutare i ribelli nelle missioni logistiche e pronte a imbracciare un fucile se la situazione è disperata. Le informazioni sulle pasionarie non sono sempre precise, è facile che si diffondano notizie confuse, avvolte dalla nebbia di guerra. Le combattenti, poi, nascondono le loro tracce. Per non allarmare i familiari, per proteggere il cammino che le ha portate fin dove si muore. Ogni giorno. Come testimonia l’uccisione di Giuliano Ibrahim Delnevo, il convertito italiano caduto sotto il fuoco del regime. Le voci della diaspora raccontano che sul fronte di Aleppo vi sarebbe un’italiana, probabilmente romana. Forse non è neppure musulmana, ma semplicemente una donna vicina alla causa dei ribelli. Un profilo comune ad altri. Nelle scorse ore si è parlato di 40-50 volontari arrivati dall’Italia. Foad Aodi, il medico italiano d’origine palestinese che ieri per primo ha fornito questo dato, precisa: «Non parlavo solo di convertiti, bensì di italiani che pur non essendo musulmani si sentono legati agli insorti ed hanno deciso di partire». Come un giovane che abitava nel quartiere di San Basilio e un altro al Testaccio, due quartieri di Roma. Aya Homsi, instancabile attivista pro-ribelli, sostiene che i cosidetti «italiani» saranno una trentina, in maggioranza siriani che vivevano nel nostro Paese e sono rientrati per unirsi alla rivolta. Più marcato il profilo di alcune volontarie. Una di loro è diventata famosa solo dopo la sua morte. Nicole Mansfield, madre single, trentenne, cristiana diventata musulmana, ha lasciato la cittadina di Flint, nel Michigan, per legarsi a una formazione islamista. Una vita avventurosa e tortuosa, con molti rovesci, che l’ha portata al sacrificio estremo. Per alcune settimane ha accompagnato un’unità di insorti. Preparava il cibo, si occupava dei molti feriti. E quando il suo gruppo è partito per il settore di Idlib lo ha seguito finendo in una trappola dei governativi. Nicole è stata uccisa insieme a un militante canadese e a un inglese. Fonti dell’opposizione segnalano che tra i ribelli vi sono 2 o 3 ragazze olandesi, qualche britannica e una pattuglia di giovani tunisine. Piccoli numeri. Alcune formazioni non gradiscono la presenza di donne o comunque preferiscono lasciarle nelle retrovie. Inoltre le condizioni operative sono piuttosto difficili. Ostacoli che però non impediscono alle giovani venute da lontano di «unirsi alla carovana». Nei mei scorsi gli insorti hanno fatto girare le foto di una tiratrice scelta ad Aleppo: «È una mamma coraggiosa - è stata la spiegazione - che desiderava stare in prima linea». Propaganda e verità usate anche dal regime. Le autorità, per mostrare compattezza, hanno creato la «Sourriyat», una milizia al femminile apparsa in alcune zone di Damasco. Per le donne, quale che sia il loro schieramento, è un passo in più sulla strada di un conflitto che le vede protagoniste e vittime. Così come i loro figli.
Guido Olimpio