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 2013  aprile 27 Sabato calendario

QUEI GIARDINI SOTTO LA STAZIONE

Invasero Roma in ondate successive, a partire dalla seconda metà del Settecento e fino alla metà del secolo successivo. Altezzosi e prevenuti, ma curiosissimi, facevano un pò razza a sé tra gli stranieri che all’epoca si stabilirono in città. Prendevano casa di preferenza intorno a piazza di Spagna e frequentavano soltanto certi negozi, che alla fine avevano esposto perfino le insegne in inglese, come ricorda Giuseppe Gioachino Belli in uno dei suoi celebri sonetti, avvalorato dalle cronache dell’epoca. Erano i viaggiatori inglesi. Tra questi ci furono molti artisti, arrivati da soli o al seguito di qualche colto aristocratico. Dipingevano o disegnavano soprattutto vedute della Roma antica o scorci romantici della campagna intorno all’Urbe, avventurandosi in territori infestati dalle zanzare e dai briganti. In seguito, molti di quei fogli furono acquistati da appassionati collezionisti, come il barone Basile de Lemmermann e la contessa Anna Laetitia Pecci Blunt che lasciarono le loro raccolte al Museo di Roma di Palazzo Braschi.Una serie di queste raccolte si può vedere fino al 15 settembre nelle due sale a pianoterra del Museo, nella mostra «Luoghi comuni. Vedutisti inglesi a Roma tra il XVIII e il XIX secolo nelle opere grafiche del Museo di Roma», curata da Simonetta Tozzi con l’organizzazione di Zètema. Sono esposti una settantina di acquerelli e incisioni in un percorso che va dallo scozzese Jacob More, che dipinse una veduta fantastica del Colosseo ripreso da Palazzo Rospigliosi all’Esquilino, al suo conterraneo Richard Cooper, maestro dell’acquatinta che ritrasse i giardini di Villa Negroni, voluti dal cardinale Montalto con cipressi e siepi di bosso, espropriati e distrutti nel 1860 per costruire la stazione centrale (oggi Termini). Cooper ci ha lasciato anche una veduta con la basilica di Massenzio, quando ancora lo straordinario complesso si ergeva maestoso sulla spianata oggi scomparsa sotto via dei Fori Imperiali. Eccezionale anche l’incisione di Francis Jukes su disegno di Robert Freebairn, che mostra la fontana della Ninfa Egeria, identificata dalla tradizione nei pressi di Porta Capena e diventata luogo sacro per le donne incinte che vi si recavano per chiedere il buon esito del parto. C’è la piazza di Santa Maria del Pianto, raffigurata in un disegno di John Ruskin, il quale al contrario dei suoi compatrioti non fu affascinato dalla città eterna, che trovò sporca e in abbandono. Ci sono, infine, le opere di due donne. La prima è Mary Callcott Graham, che soggiornò a Roma nel 1827 con il secondo marito, il pittore August Wall Callcott, ed eseguì una serie di litografie con scorci della città, tra i quali un ritratto della quercia del Tasso sul Gianicolo, quando la pianta era ancora maestosa come ai tempi in cui accoglieva il poeta con la sua ombra. L’altra è Caroline Acland, attiva all’inizio dell’Ottocento, che ebbe l’onore di esporre alla Royal Academy di Londra. La mostra segue quella sui vedutisti francesi, esposta l’anno scorso. Lavoravano a Roma nello stesso periodo, ma differenziandosi notevolmente dai colleghi inglesi. «I francesi - fa notare Tozzi - puntavano sugli effetti del colore e della luce, gli inglesi si concentravano sui dettagli, riconoscevano le diverse specie delle piante, badavano a tratteggiare in modo preciso le foglie e la corteccia».
Lauretta Colonnelli