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 2013  aprile 27 Sabato calendario

LA PRIMA NOTIZIA (ANCHE SE È FALSA) NON SI SCORDA MAI


Chi si ricorda la "prima versione" di una notizia? Tutti! Purtroppo. E molti ricordano solo quella. La prima notizia: quasi sempre sbagliata. La regola si è confermata inesorabilmente per l’attentato alla maratona di Boston. Nella prima concitata versione ripresa dalle tv e da Internet, le bombe esplose erano molto più di due. Falso. All’inizio venne annunciato che oltre alla maratona un ordigno aveva devastato la libreria presidenziale di Boston intitolata a John Kennedy. Falso. Si parlò di una "pista saudita" con l’arresto di alcuni arabi sul traguardo. Falso anche quello.
Mi soffermo su quest’ultima notizia errata, che aveva un vago aggancio con la realtà. Un giovane saudita, uno dei tanti iscritti alla maratona venuti dall’estero, fu visto allontanarsi a gran velocità dal luogo dell’esplosione, venne fermato e interrogato brevemente dalla polizia: solo come testimone, mai come indagato o tantomeno presunto colpevole. Ma la sua storia ha poi avuto una sua vita autonoma. È stata ripresa, in versioni completamente difformi, dalla blogosfera israeliana e da quella del mondo arabo. Alcuni hanno costruito un teorema sulla pista islamica. Altri al contrario hanno visto nell’attentato di Boston una deliberata manovra per riattizzare nell’opinione pubblica americana un sentimento anti-islamico, in vista di chissà quali future operazioni militari ai danni delle nazioni arabe.
Mentre scrivo, a ridosso della tragedia di Boston, non ho idea della direzione che prenderanno le indagini. Ma vedo benissimo la direzione che è già stata imboccata da una parte dell’opinione pubblica, perché questa direzione mi è molto familiare. È paranoia pura, nutrita dalla disinformazione.
La "prima versione" della notizia è un problema che tormenta da tempo i miei colleghi americani. La redazione del New York Times fece pubblica ammenda perché in occasione della strage di Newtown, Connecticut (20 bambini uccisi nella sparatoria del 14 dicembre 2012), la fretta di mettere notizie sul sito del giornale fece uscire una caterva di informazioni sbagliate. Sia il New York Times che la Cnn diedero credito alla voce secondo cui la madre dell’assassino Adam Lanza lavorava nella scuola elementare Sandy Hook ed era il primo bersaglio della sua furia: notizia inventata, senza un briciolo di fondamento. Diversi media parlarono anche dell’entrata in azione di altri individui armati. Citarono degli "arsenali" nascosti a Newtown. Tutto falso. Ma da quelle bufale, contraddizioni e incoerenze è nato un "movimento" di fanatici in tutta l’America: coloro che sostengono che quella strage non è mai avvenuta, fu una montatura orchestrata da Obama e dai media di sinistra per creare il pretesto di nuove regole restrittive sulle armi. Ecco perché il ruolo della "prima versione" delle notizie è così importante. Perché la prima versione è quella che rimane impressa nelle nostre memorie. Di fronte a un evento grave, che impaurisce o colpisce, siamo tutti avidi consumatori delle notizie. Poi la nostra attenzione si attenua, ci distraiamo, subentrano altri poli d’interesse. Così ricorderemo a lungo, forse per sempre, la versione più pasticciata e piena d’errori, mentre avranno meno impatto le versioni successive più vicine alla realtà.
Questo è preoccupante. Anzitutto perché la corsa a pubblicare troppo velocemente, fa sì che l’effetto "prima versione" sminuisce la credibilità dei media, accentua quel sentimento di scetticismo e diffidenza che sta diventano un tratto distintivo delle nostre società. E poi la prima versione è quella che con le sue suggestive elucubrazioni alimenta le teorie del complotto: anch’esse un fattore d’imbarbarimento collettivo, perché diffondono una visione mitologica della realtà, di un universo manovrato da forze oscure, potenti, malvagie come gli dèi dell’antica Grecia.
C’è chi ci marcia. La prima versione dei blog di destra che nel 2008 convinsero il 30% dei cittadini americani che Obama è nato in Kenya, non ha la cittadinanza Usa ed è di religione islamica, resistette a tutte le smentite e prove contrarie. Quando la realtà diventa un optional, e ciascuno se ne costruisce una versione su misura, la democrazia ha vita difficile, in America o in Italia.