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 2013  aprile 27 Sabato calendario

BAMBINI IN POLE POSITION


Aveva tre anni Mario quando fu preso in affido dalla famiglia Balotelli. E Silvia, la sua nuova mamma, racconta: «Ricordo ancora lo stupore di mio marito Franco e di mio figlio maggiore Giovanni, esperti di calcio, nel vedere come quel piccolissimo bambino toccava la palla di spugna portandola avanti e indietro nel lungo corridoio di casa. Era talmente incredibile quello che Mario riusciva a fare con il pallone che se ne accorgevano anche le altre mamme, quando lo portavo a giocare al parco. Mi facevano notare la sua coordinazione incredibile e mi suggerivano di farlo vedere a qualche società. Quando aveva 5 anni iniziò a giocare con il San Bartolomeo, in squadra con bambini che avevano già 7-8 anni. Noi, però, volevamo che trascorresse il sabato coi lupetti, negli scout. Invece l’allenatore voleva tenerlo a tutti i costi per farlo giocare. Allora lo portammo via».
Chi inizia nei corridoi, chi sulle strade. Come Zlatan Ibrahimovic, nato a Malmö, in Svezia, da genitori immigrati dalla ex Jugoslavia (mamma croata e papà bosniaco). «Negli spazi piccoli devi inventarti sempre qualcosa, altrimenti ti annoi. E così è più facile diventare bravi», spiega l’asso del Psg. I primi calci al pallone li dà appunto in piccoli spazi, giardini o strade, in un sobborgo malfamato della città chiamato paradossalmente Rosengard, il Giardino delle Rose. Zlatan viene notato da un osservatore di un club locale, il F.K. Balkan, quando ha solo 10 anni ma già un bel caratterino. Infatti litiga presto con l’allenatore che lo manda in panchina nella partita contro il Wellinge. Gli avversari chiudono il primo tempo in vantaggio di 4-0 e forse è il momento di mettere fine al castigo. Entra Ibra e la partita finisce 8-5 per il Balkan: gli otto gol li segna tutti lui.
Insomma, è chiaro che il talento è un dono naturale, ci si nasce. Essere figli d’arte al massimo aiuta. Il primo ad accorgersi che Valentino Rossi aveva qualità fuori del comune è stato infatti l’occhio esperto di un pilota, suo papà Graziano: «Era piccolissimo, avrà avuto poco più di due anni, eppure decisi di regalargli prima il motorino della bici: un Malaguti 48 2T, roba seria. Prima di darglielo, però, attaccai le rotelline posteriori delle bici. Dopo due-tre giorni che ci andava avanti e indietro, cercava anche di fare le derapate. Ma non ci riusciva e così mi chiese di togliere le rotelline. Quella è stata la prima volta che mio figlio mi ha davvero sorpreso: non riuscivo a credere di vedergli fare le frenate tirando fuori il piedino e mettendosi in piega».
José Luis Echevarria è il proprietario del Circuito de Asturias, a Oviedo, dove Fernando Alonso ha guidato il suo primo kart. «Aveva due anni e, in realtà, si sarebbe dovuto limitare a osservare la sorellina maggiore Lorena racconta –. La piccola, però, si spaventò subito e scese. Lasciando libero l’abitacolo per Fernando, che non arrivava ai pedali ma, col motore al minimo, girava il volante e non sbatteva mai. A 3 anni corse la prima garetta a Rivabella, a 4 falsificammo un’autocertificazione per farlo guidare e, per farlo gareggiare prima dei 10 anni, mi inventai la categoria dei 50 cc. Fernando aveva un faccione timido, stringeva la coppa al petto e diceva: "Ho vinto". Era già un’ossessione. A 5 anni aveva le sue scaramanzie. Non voleva nonno Tante e nonna Luisa al circuito, diceva che portavano sfortuna. Loro guardavano la corsa di nascosto e sbucavano in caso di vittoria». Cioè sempre.
Kerpen è lontana da Heppenheim, dove vive Sebastian Vettel. Ma a quella gara di kart bisogna andarci perché è prevista anche la presenza del suo idolo, Michael Schumacher (che all’epoca aveva già vinto due titoli e a Kerpen è nato e cresciuto). È il 1995 e Seb, che ha appena 8 anni, vuole incontrarlo a tutti i costi. Si corre la coppa dei Land del Nord, una gara che papà Norbert ha scoperto per caso sfogliando un giornale. Nella categoria del futuro tre volte campione del mondo di F.1 sono iscritti 33 bambini, ma lui è il più piccolo. Seb si presenta subito a Schumacher e, proprio in quel momento, inizia a piovere. Per impressionare il suo idolo gli chiede se può correre con gomme da asciutto. «Provaci, ma devi stare attento», risponde incuriosito Schumi. Seb si schiera ma la pioggia diventa sempre più forte. Lui guida benissimo, gestisce la situazione e fa un figurone proprio davanti a Schumacher. Che non è solo, con lui c’è lo scopritore di talenti Gerhard Noack, uno dei primi ad aiutare Michael quando era alle prime armi. Ne aveva appena scoperto un altro.
La determinazione è una caratteristica fondamentale anche di Federica Pellegrini, da sempre. Sua mamma. Cinzia, la accompagna agli allenamenti e, quando ha 11 anni, viene già considerata una promessa del nuoto tanto da avere un allenatore. Che però deve nutrire ancora qualche dubbio sul suo talento, perché comunica alla madre che, per la gara della domenica successiva, preferisce non convocare la bambina. «Apriti cielo», racconta Cinzia, che ancora ride al ricordo. «Appena glielo dissi. Fede volle assolutamente tornare in piscina a parlare con l’allenatore. E, una volta davanti a lui, gliene disse di tutti i colori finché non costrinse l’uomo a cambiare opinione e convocarla. Era la sua prima gara individuale stile libero». Qualcuno ha dei dubbi su chi vinse quella domenica?
Non pensava invece di farcela Christof Innerhofer, perché era piccolino, magro, quasi striminzito: «Ero così perché sono nato di sette mesi», rivela lo sciatore altoatesino. «Mia madre mi racconta sempre di quei primi giorni di paura dopo il parto, i medici dissero che avevo solo il 90% delle possibilità di sopravvivere». Messo sugli sci a tre anni, ha dimostrato subito un certo talento, ma restava piccoletto. «Mi è capitato di vincere qualche gara ma sul podio il secondo, pur stando sul gradino più basso, era alto come me...». A 17 anni era ancora più piccolo degli altri e voleva smettere, ma i suoi gli ripetevano: «Abbi pazienza, riuscirai a essere come gli altri o meglio degli altri». All’improvviso è cresciuto di 12 centimetri. Ed è diventato migliore degli altri.
Era magrina e tanto pallida anche Valentina Vezzali, tanto che a 6 anni gli insegnanti della scuola elementare avevano consigliato di farla vedere da un medico. Invece le due sorelle maggiori la portarono in palestra dal maestro Triccoli, che disse subito: «Questa la porto all’Olimpiade». «Poteva sembrare una buffonata – dice scavando nei ricordi mamma Enrica –, invece che avesse stoffa fu chiaro a 8 anni. Al suo primo torneo batté tutte, anche avversarie che avevano tre anni più di lei. Ma il suo vero punto di riferimento era Giovanna Trillini, maggiore di quattro anni. Giovanna a volte la faceva tirare e Valentina tornava a casa e diceva: "le ho dato due stoccate, le ho dato tre stoccate". E un giorno, quando aveva 12 anni, tornò a casa raggiante: "L’ho battuta"».
Eccone uno che aveva il problema opposto. Usain Bolt da bambino finì dal medico perché era troppo lungo. Cresciuto tra piantagioni di caffè e di canna da zucchero, accanto ai genitori agricoltori, nella parte nord-ovest della Giamaica, il più grande velocista di tutti i tempi fa il primo passo verso l’Olimpo a 15 anni e 332 giorni (quando era già alto 1,92!): al National Stadium di Kingston, domina i 200 dei Mondiali juniores in 20"61, dopo che in batteria era sceso a 20"58. Nella specialità nessuno era mai arrivato a tanto in così giovane età. Il ragazzo, una promessa pure nel calcio e nel cricket, si era dato all’atletica da appena tre anni...
Campionessa del mondo juniores di salto in alto, Alessia Trost ha fatto qualsiasi sport da bambina: «Mio papa mi ha fatto provare anche il biathlon, ero piccolissima e già usavo la carabina! Ma è nell’atletica che rendevo meglio. Quando avevo 11 anni saltavo già 1,50 metri, mentre le mie coetanee non andavano oltre l’1,30-1,35. Quando ho iniziato con il salto in alto? A 11 anni!».
Il primo a credere in Vincenzo Nibali è stato papà Salvatore. «Avevo 13 anni e ancora non correvo eppure, nelle uscite che facevo, mi capitava di battere degli amatori. E così, alla prima gara, papà andò dal direttore sportivo della mia società e gli disse: "guardi che Vincenzo è davvero forte". Ma lui rispose scettico: "tutti i papà dicono così dei propri figli". Arrivai secondo».