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 2013  aprile 28 Domenica calendario

L’ISLANDA VUOL SCORDARE LA CRISI E TORNA A DESTRA

Lassù nell’oceano artico, tra bale­ne, merluzzi e vulcani, c’è un’isola di cui solitamente quasi nessuno si ricor­da, perché quasi nulla di interessante vi accade. E proprio per questo, la remota Islanda ha sempre potuto considerarsi un Paese fortunato, lontano dalle brame altrui e in grado di gestire ottimamente le proprie modeste risor­se grazie a un altissi­mo grado di civilizzazione. Non proprio sem­pre, a ben vedere. Il piccolo Paese nordi­co con soli 300mila abitanti chiamato ie­ri alle urne è stato pro­tagonista in negativo a partire dal 2008 di una crisi economica drammatica, innescata dalle scellera­te scelte delle sue banche. Che attra­verso un perverso meccanismo di ab­normi movimentazioni di denaro vir­tuale erano arrivate a «pesare» 12 volte più dell’economia reale del Paese: era solo virtuale, appunto, e un brutto gior­no il castello di carte crollò. Le tre prin­cipali banche nazionali fallirono, se­guì una drammatica implosione finan­ziaria, la perdita di molti posti di lavoro e il generale impoverimento di un po­polo abituato a vivere ben al di sopra delle proprie reali possibili­tà. Il prezzo politico fu pagato dal governo conservatore e dal suo premier di allora Geir Hilmar Haarde. Nuove elezioni por­tarono al potere per la prima volta una co­alizione di sinistra, che impose ricette amare e non solo per gli islandesi: incassato un corposo prestito dal Fondo monetario interna­zionale, le banche furono lasciate fallire e questo implicò­ la perdita dei depo­siti anche per i molti correntisti stranieri, britannici soprattutto, la moneta na­zionale fu svalutata per favorire le esportazioni (voce importantissima dell’economia nazionale) e l’arrivo dei turisti, e furono inoltre prese una serie di misure di austerità che hanno sì salvato il malato (l’Islanda)ma han­no stremato gli islandesi, con le fami­glie sempre più indebitate, un terzo delle quali non sono tuttora in grado di far fronte a spese impreviste anche di mille euro.
Si verifica così una situazione solo apparentemente paradossale: chia­mati a votare per il rinnovo del Parlamento, gli islandesi si apprestano se­condo i sondaggi a rimandare all’opposizione gli artefici del salvataggio e a rimettere nelle stanze del potere colo­ro che insieme con i banchieri furono corresponsabili del disastro. Poiché nulla è casuale, è il caso di provare a da­re una spiegazione. Anzitutto, va ricor­dato che l’Islanda è tradizionalmente conservatrice e che non ha mai premiato la sinistra di governo: la scelta controcorrente del 2008 aveva rappre­sentato una sorta di eccezione obbliga­ta. La natura di alcune delle scelte fatte dalla premier uscente Johanna Sigur­dadottir (che lascerà la politica) è par­sa inoltre troppo ideologica, in partico­lare quella di sostenere i consumi in­terni gonfiando la spesa pubblica so­prattutto a favore dei meno abbienti. Non ha poi convinto la prospettiva di far aderire l’Islanda all’Unione Euro­pea, entrando nell’euro. Per parte loro conservatori e centristi, che candidano premier due signo­ri di 38 e 43 anni, si oppongono alla pro­spettiva Ue, e propongono di ridurre le tasse e il peso dei mutui immobiliari, che stanno strozzando una famiglia su dieci, non più in grado di pagarli.