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 2013  aprile 27 Sabato calendario

CHIUDE LA MAISON DE FRANCE


È un brutto sintomo per la Francia. Al paese non va bene, e Hollande fa una mossa all’italiana: quando si deve risparmiare si taglia sulla cultura, sicuri di riscuotere applausi populisti. Difficile spiegare perché si spendono soldi per i musei o per l’Opera. C’è sempre qualche altra spesa più urgente e, temo, la maggioranza troverebbe logico trasformare la Scala in un grande parcheggio.
Parigi ha appena annunciato di voler chiudere la Maison de France a Berlino, che esiste dal 1950, quando si temeva che il settore occidentale, accerchiato dall’Armata Rossa, non sarebbe sopravvissuto.
Nel palazzo, sulla centralissima Kurfüstendamm, si trovano l’Istituto di cultura, e il cinema Paris, dove si proiettano film francesi, in certe ore nella versione originale. E da qualche mese anche la Brasserie Paris. Cultura e cibo.
Troppo caro e, dal 2015, l’Istituto, con i suoi corsi di lingua, traslocherà nei locali dell’ambasciata, alla Porta di Brandeburgo. La sede dovrà essere ristrutturata, anche se ha poco più di dieci anni, e verrà ridimensionato anche l’appartamento dell’ambasciatore. Per risparmiare, dunque, si dovrà spendere, ma questo è logico. Non si sa che fine faranno i cinquanta addetti alla Maison de France.
Quasi esattamente trent’anni fa, il 25 agosto del 1983, i complici del terrorista Carlos fecero saltare una carica di 28 chilogrammi di tritolo alla Maison, provocando un morto e 28 feriti. Un attentato per chiedere la liberazione del più temuto terrorista dell’epoca, detenuto in un carcere francese. Una bomba nel cuore della Berlino occidentale. I berlinesi non hanno dimenticato e la sede per oltre sessant’anni ha rinsaldato i legami tra i due paesi. Non so quanto costasse, ma sono sicuro che tuttora renda di più: la cultura costa poco, e rende molto, solo che non è possibile quantificare l’utile. Un giudizio retorico, ma non per questo falso.
Hollande ritiene che l’amicizia franco-tedesca sia ormai salda, e non valga la pena di continuare a spendere. Ragiona all’italiana, e dovrebbe farci piacere. Non siamo gli unici con la masochistica tendenza a compiere autogol. La Maison è, o era, centralissima. Il nostro Istituto di cultura è stato confinato all’ultimo piano in un’ala della nostra ambasciata, nel Tiergarten. Non agevole da raggiungere, soprattutto d’inverno. A frequentare gli eventi culturali sono soprattutto le signore (sempre intorno al 70%), e loro non gradiscono avventurarsi quando fa buio in un parco coperto di neve. E sono le donne a decidere certe spese: il piccolo boom di Fiat 500 in Germania è stato ottenuto grazie a loro. Forse le due cose, cultura e auto, non sono collegate, ma chi può esserne sicuro?
Certamente si può sempre risparmiare, basta farlo con accortezza. Altrimenti le perdite saranno superiori. Noi abbiamo ben sette Istituti di cultura in Germania, ma non stanziamo fondi per farli funzionare. Quello che arriva basta per la normale gestione. Tanto vale chiuderne sei e concentrare i mezzi sulla sede di Berlino. Perché dobbiamo avere una sede a Wolfsburg, che agisce come una sorta di dopolavoro per i nostri operai della Volkswagen? Gli istituti dovrebbero rivolgersi al pubblico tedesco.
Anche la Germania ha sette Goethe Institut in Italia, ha ridotto al minimo il personale a Trieste o a Napoli, e ha aperto sedi altrove, ad esempio nel Kazakistan, paese ricchissimo e dove Stalin deportò migliaia di russi di origine tedesca. Domani, un ingegnere kazaco che parla la lingua di Goethe sarà probabilmente più disposto a comprare una macchina utensile made in Germany. Come si farà a stabilirlo? Quanto ha reso la Maison all’economia francese in sessant’anni?