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 2013  aprile 27 Sabato calendario

ORSI & TORI– Un pisano-abruzzese con padre fisico e zio cardinale-quasi papa laico collocato sull’altra sponda

ORSI & TORI– Un pisano-abruzzese con padre fisico e zio cardinale-quasi papa laico collocato sull’altra sponda. La scelta del presidente Giorgio Napolitano è stata oculata, ancora più oculata avendo dovuto rinunciare al suo amico Giuliano Amato. Se Enrico Letta reggerà per l’Italia sarà un grande passo avanti. Anche perché, come ha sottolineato MF-Milano Finanza del giorno della Liberazione, Letta ha ben chiaro che la vera palla al piede del Paese è il pesantissimo debito pubblico e per questo il presidente del Consiglio scelto da Napolitano è un vero tifoso, oltre che del Milan, anche del Tagliadebito, che questo giornale e gli altri media di Class Editori predicano come fondamentale per la ripresa da quasi due anni. Ma Letta non comincerà dal Tagliadebito, quanto piuttosto dal Tagliatasse. In principio l’Imu sulla prima casa, altrimenti entrerebbe subito in rotta di collisione con il Pdl, che muore dalla voglia di andare alle elezioni. A differenza di Mario Monti ascolterà attentamente la lezione di Francesco Giavazzi e Alberto Alesina, che hanno aggiornato tempestivamente sul Corriere della Sera alla vigilia dell’incarico. Ad avviso dei due economisti, che più di ogni altro hanno dedicato intelligente attenzione alle ricette economiche che in questo contesto di crisi vanno attuate, le priorità sono due: abbassare le tasse sul lavoro e sugli investimenti e far ripartire il credito a famiglie e imprese. Sono otto trimestri consecutivi che la crisi sprofonda il prodotto interno lordo e la fiducia degli italiani. Occorre abbandonare la politica economica del governo Monti, hanno affermato secco i due professori della Bocconi; una politica che si è basata solo su aumenti delle imposte. Se non si interviene immediatamente, per l’Italia sarà il collasso definitivo. Non solo per coerenza con le sue idee e il suo operato, ma anche per subordinazione alla linea della Germania, come ultimo atto importante del suo sfortunato governo, il presidente Monti ha fatto approvare dal Consiglio dei ministri che l’Imu non sia una tassa temporanea ma stabile del sistema fiscale italiano. Per questo non sarà facile eliminarla senza contraccolpi, come chiedono Pdl e Lega; quindi, probabilmente, sarà rimodulata appunto con la sua eliminazione per la prima casa. In totale saranno circa 3 miliardi di tasse in meno, ma a giudizio di Giavazzi e Alesina il taglio fiscale deve essere superiore al gettito dell’Imu nel 2012, che complessivamente ha fruttato alle casse dello Stato entrate per 24 miliardi. Se il taglio dovesse essere inferiore l’abbassamento della pressione fiscale, arrivata - mediamente, si badi bene mediamente - al 52% (il che vuol dire che per alcuni è pari anche al 75%, la percentuale che al solo annuncio del presidente francese François Hollande ha fatto fuggire enormi capitali dalla Francia), sarebbe marginale. Gli italiani, molti italiani, stanno subendo una tale pressione e sono veramente patriottici a mantenere le loro attività in Italia. È indubbio che ci sono centinaia di migliaia di italiani che non pagano o nella migliore delle ipotesi non pagano quanto dovrebbero, ma se la percentuale media è il 52% vuol dire che tutti gli altri sono taglieggiati. Quindi, mentre si intensifica la lotta agli evasori, agli altri, a quelli che pagano, va ridata la fiducia in un trattamento equo dello Stato. Giavazzi e Alesina (il primo ha lavorato al ministero del Tesoro assieme a Carlo Azeglio Ciampi) non possono certo essere tacciati di supporter degli evasori, come è capitato al centro-destra quando ha sostenuto con forza in campagna elettorale che la pressione fiscale va ridotta. Sono due economisti equilibrati che da anni studiano gli effetti deleteri dell’eccesso di tassazione sulle economie capitaliste e hanno accertato, come del resto il Fondo monetario, che in nessun Paese che abbia applicato la ricetta del rigore assoluto e della tassazione superiore al 45% medio le economie si sono riprese, ma sono precipitate, anzi sprofondate, nella recessione. A loro giudizio la pressione fiscale va ridotta di almeno 4 punti, che equivalgono a una riduzione di prelievo di 50 miliardi e quindi alla liberazione di altrettante risorse per i consumi e gli investimenti delle aziende. Molti pensano che una simile riduzione sia impossibile con i vincoli che l’Italia ha da parte dell’Unione europea o meglio della Germania. Giavazzi e Alesina ritengono invece che l’obiettivo debba e possa essere raggiunto in qualche anno, portando il livello di pressione fiscale su italiani e aziende italiane a quello in essere in Germania. Da cosa nasce questo loro ottimismo di fronte al quadro nero che il governo Monti ha fatto? Non essendo abituati alle formule teoriche, i due economisti hanno descritto al nuovo governo gli atti da compiere e indicato gli interventi da fare sulla spesa pubblica per poter tagliare 50 miliardi di gettito fiscale. Ricordate che nel pieno della sua azione il governo Monti decise di nominare tre super consulenti? Si trattava di Enrico Bondi, che doveva essere il super tagliatore della spesa pubblica; di Giuliano Amato, che doveva studiare i tagli della politica; e, con il sospetto che in questo caso l’intento fosse anche quello di togliere una spina nel fianco del governo, Giavazzi che doveva individuare i sussidi da eliminare. Ora, grazie all’editoriale del Corriere della Sera, si è saputo finalmente a quali cifre era arrivato il conto di Giavazzi, il cui operato era rimasto ammantato da una pesante cappa di silenzio: per dichiarazione esplicita del diretto interessato e del suo coautore i sussidi alle aziende che anche la Confindustria chiede di abolire, in quanto in larga misura fonte di inefficienza, sono pari a 10-12 miliardi di euro. Perché il governo Monti non ha messo in atto le indicazioni emergenti dal lavoro del super consulente Giavazzi, che essendo persona con la schiena dritta non aveva minimamente interrotto di scrivere le sue critiche al governo durante tutta la sua attività a Palazzo Chigi? Perché Monti non ha avuto il coraggio di fregarsene e di non attendere il parere in materia di numerosi ministeri e ancor più super burocrati che hanno nell’amministrazione di quei sussidi il loro potere e il loro tornaconto. «Il rapporto predisposto da noi (Giavazzi)», scrivono senza veli i due professori, «contiene l’elenco dei tagli da fare e un provvedimento di legge già pronto». Vuol dire che se Letta reggerà avrà l’opportunità di trasformare quel testo in decreto legge e far scattare immediatamente il taglio, emanando in simultanea un altro decreto che riduca le aliquote fiscali per un pari importo. Solo in questo modo potrà scattare la scintilla che riaccenderebbe la luce di speranza di un cammino di normalizzazione fiscale nei cittadini e nelle imprese. Ma la ricetta non si ferma ai sussidi e si estende alle spese vere e proprie con una elementare constatazione: la spesa pubblica italiana è troppo alta in relazione al pil e in confronto con la spesa pubblica di altri Paesi; questa spesa, non solo l’evasione, è la causa prima dell’enorme debito pubblico. Con uno Stato super indebitato e molti cittadini troppo ricchi, infatti, l’evasione non ha solo un effetto sul gettito ma anche sulla spesa visto che chi non paga equamente le tasse gode anche di una serie di riduzioni e vantaggi, per esempio per l’iscrizione all’università dei figli o per i trattamenti sanitari in molti casi totalmente gratuiti. In sostanza, Alesina e Giavazzi suggeriscono di proporre agli italiani ricchi uno scambio, che potrà avere la forza di metterli ancora di più nella condizione morale di pagare le tasse, visto che gli evasori si giustificano agli occhi degli altri con l’eccessiva tassazione. Lo scambio è semplice: meno tasse ma in compenso chi può dovrà cominciare a pagare vari servizi che ora sono gratis o a basso livello. In questo modo verrà anche a cadere la piattaforma di critiche che in Germania è stata impostata per arrivare a inculcare non solo nei tedeschi ma anche negli altri cittadini europei che gli italiani sono addirittura più ricchi dei tedeschi stessi (una statistica trilussiana è stata diffusa con grande clamore nei giorni scorsi dai media tedeschi) e che quindi si debbano salvare da soli il Paese. È vero, forse, che matrimonialmente gli italiani sono mediamente più ricchi dei tedeschi, per il semplice motivo che nell’80% dei casi possiedono una casa, acquistata non per sfizio ma per l’onda lunga fiscale che arriva addirittura dalla legge Tupini del dopoguerra. La quale legge stabiliva, ai fini di rimettere in moto l’edilizia e la ricostruzione - leva per rimettere in moto tutta l’economia - che chi acquistava una casa nuova o ristrutturata avrebbe avuto un’esenzione fiscale per molti lustri. Gli italiani da allora si sono fidati e hanno messo larga parte dei loro risparmi nel mattone, che si è rivalutato costantemente come anche negli Usa. Da questa realtà si ricava anche la motivazione del perché la tassa Imu sulla prima casa o tanto elevata sulla seconda sia sostanzialmente un modo in cui lo Stato italiano, che è sempre lo stesso, gabella i suoi cittadini: prima li attira in un settore di investimento con la defiscalizzazione, poi li stanga con una nuova tassa. Che come primo effetto ha avuto quello di bloccare definitivamente l’edilizia, cioè il settore che ha ancora la capacità di dare benzina a molti altri settori, dalla chimica all’acciaio. Nella loro minuziosa analisi Alesina e Giavazzi fanno il caso specifico dell’iscrizione all’università dei figli: secondo le loro elaborazioni uno studente costa allo Stato mediamente 7 mila euro all’anno; la loro proposta è che chi può paghi 10 mila euro per l’iscrizione e che con i 3 che avanzano si finanzino borse di studio per i meno abbienti ma più meritevoli. Il risultato, se la proposta sarà attuata, è anche una valorizzazione del merito, senza il quale nessuna civiltà avanza. Idem per la sanità, che in una logica populista è di fatto gratuita per tutti con una pessima struttura delle detrazioni fiscali per chi si paga da solo le cure. Nella loro battaglia per un Paese più equo, Alesina e Giavazzi si spingono anche a qualche proposta pericolosa. La commissione Ceriani ha accertato che ci sono 30 miliardi di agevolazioni fiscali. E qui qualcosa è recuperabile. Ma nel mirino dei due professori entrano soprattutto le rendite di posizione che sono state create con una eccessiva agevolazione degli investimenti nell’energia rinnovabile, solare, eolica e biomasse. Tutti ormai sanno che per evitare il nucleare e per raggiungere la percentuale fissata dall’Europa di sostituzione almeno parziale di energia proveniente dal fossile, petrolio e gas, è stata aggravata la già pesante bolletta degli italiani di 10 miliardi; miliardi che in effetti costituiscono una rendita annua straordinaria. Senza mezzi termini gli economisti della Bocconi suggeriscono di tagliarla, anche a costo di violare il contratto fatto dallo Stato italiano, visto che il Paese rischia il collasso. Su questo punto, questo giornale non è d’accordo: nella forte fuoriuscita di capitali dall’Italia ha avuto un peso non secondario la decisione di Monti di imporre altre tasse sui capitali rientrati con lo scudo, quando lo Stato aveva garantito che una volta in Italia quei capitali sarebbero stati trattati come tutti gli altri. In questo modo lo Stato è diventato mendace. Quindi sempre meno credibile. Per questo allora, questo giornale e gli altri media di Class Editori avevano proposto a Monti di imporre a quei capitali altri obblighi, per esempio di acquistare titoli del fondo immobiliare da costituire, ma non di caricarli di altre tasse. L’errore di rendere mendace lo Stato non va ripetuto. Si può invece prevedere per le società che hanno rendite parassitarie dall’energia rinnovabile una tassazione più alta per la specificità del settore, come è stato fatto per la rendita petrolifera. La credibilità dello Stato non va mai più minata. Il secondo caposaldo della ricetta suggerita da Alesina-Giavazzi, dopo l’alleggerimento della pressione fiscale, è il rilancio del credito, che oggi è scarso perché la crisi ha fatto crescere le sofferenze delle banche, proprio mentre la Banca d’Italia ha imposto ratio sempre più pesanti. La proposta per superare questa condizione e far arrivare nuovo credito alle famiglie e alle imprese è la stessa proposta da questo giornale per la penna di Guido Salerno Aletta: la costituzione di una bad bank, cioè di una banca o più banche che si prendano in carico i crediti malati e li gestiscano con uno stile diverso da quello seguito oggi dalle banche ordinarie. L’esperienza della bad bank che fu costituita con i crediti in sofferenza del Banco di Napoli è stata molto positiva. Una professionalità specifica aiuta sia il recupero del credito che il salvataggio dei debitori in difficoltà. Una volta ripulite da troppe sofferenze provocate dalla gravissima recessione, le banche italiane non avranno più giustificazioni per lo scarso finanziamento del sistema. Ed è fuori dubbio che un aiuto sostanziale in tale direzione possa venire, come il mercato si aspetta, da decisioni che tra pochi giorni potrà comunicare il presidente della Bce, Mario Draghi, a cominciare da un taglio ulteriore del tasso ufficiale della banca centrale europea. O da altre iniziative che il miglior Mario d’Italia potrà prendere. Se il nuovo governo reggerà e avrà attuato rapidamente un intervento radicale sulle tasse e un taglio delle spese, per il giovane Letta, se sarà lui, sarà possibile negoziare eventuali sconfinamenti rispetto all’impegno di un deficit annuale di bilancio pari al 3%. Le misure prese, infatti, avranno avviato una nuova crescita dell’economia, che in pochi anni potrà far salire il pil, ridurre il rapporto debito pubblico/pil e far salire le entrate non per una pressione fiscale insopportabile ma perché il Paese produrrà molto di più.