Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  aprile 22 Lunedì calendario

UNA MAGGIORANZA PER IL RISANAMENTO


L’ Italia è in recessione come tutta l’Europa. Ma la recessione italiana è più profonda. Nulla che non fosse ampiamente previsto, dal momento che il risanamento dei conti pubblici è stato condotto nel quadro di una politica europea di tipo pro-ciclico (che accentua l’andamento, in questo caso già negativo, dell’economia), nell’illusione che la stabilizzazione finanziaria e fiscale fosse conseguibile all’interno di una politica fortemente deflattiva (secondo cui più tagli e più rigore mettono le cose a posto, ma abbiamo visto che non è così). Questa politica non sta mostrando alcun successo di breve periodo ed è errato pensare di scambiare gli effetti di medio lungo termine con una catastrofe di breve periodo. Ma questa politica ha un’alternativa?
Sappiamo tutti che accanto al debito pubblico che determina la principale vulnerabilità italiana, il nostro Paese può avere oggi un asset importante: è la sua riconquistata (con la rielezione di Napolitano) possibilità di recuperare una stabilità politica, che potrebbe determinarsi se in Parlamento si formasse una maggioranza forte, a sostegno di una politica di risanamento e crescita. Il metodo di lavoro da adottare è quello della grande coalizione, che sia capace nella governance , ma anche sensibile all’ascolto delle parti sociali e delle domande che vengono dal territorio.
Da qui il prossimo governo italiano deve partire per contribuire, incidendovi con determinazione, all’aggiornamento della politica economica e di bilancio europea, nonché della politica monetaria dell’Ue. È quindi necessario che alla disciplina di bilancio finora adottata senza se e senza ma, si accompagni una politica di crescita e di investimenti finalizzati allo sviluppo. Sviluppo che riguardi le imprese e l’occupazione, allo scopo di ridurre il differenziale di competitività tra Paesi europei.
Il sostegno a tale politica può derivare dall’emissione di specifici strumenti fiscali a livello europeo: Project bond, Eurobond e Stability bond. Nonché dal completamento delle 4 unioni più volte auspicate: bancaria, economica, di bilancio e politica. Solo così si può riuscire a frenare in Europa l’ampliarsi del gap tra Paesi del Nord e quelli del Sud, che è oggi effetto dei rischi di dissolvimento dell’unione monetaria.
È, inoltre, indispensabile avviare una discussione, anche prevedendo una modifica dei Trattati sul ruolo della Bce per dotarla di poteri paragonabili a quelli delle maggiori banche centrali mondiali. L’azione di sostegno alla liquidità condotta dalla Bce negli anni della crisi è stata necessaria e fondamentale, ma ha avuto compiti limitati e temporanei. Rimane il problema di attribuirle il ruolo di prestatore di ultima istanza. Un ruolo la cui efficacia risiede nella credibilità della garanzia.
A livello nazionale si rende necessario un intervento straordinario di aggressione al debito pubblico. Un piano di dismissioni diretto ad alimentare un fondo per la riduzione del debito, insieme ad altre operazioni finanziarie straordinarie dirette a accelerarne gli effetti, richiede misure immediate e tempi certi. Con l’attacco al debito si dovrebbe arrivare in 5 anni sotto il 100% del Pil, anticipando di fatto il fiscal compact grazie al combinato disposto di alienazione del patrimonio pubblico, avanzi primari significativi (ma sopportabili) e finalmente tassi di crescita reali tra l’1 e il 2%.
L’obiettivo è quello di aumentare l’efficienza, la produttività e la competitività dell’economia italiana; ridurre il peso dello Stato; liberare risorse oggi patologicamente impiegate per il servizio del debito. Vendita del patrimonio pubblico immobiliare, al centro come in periferia, liberalizzazioni e privatizzazioni delle public utilities , riduzione del peso delle industrie pubbliche, sdemanializzazione nel territorio, emersione del sommerso, per trasformare il capitale morto, come direbbe l’economista peruviano Hernando De Soto, in capitale vivo. Il tutto per avere lo spazio necessario e sufficiente per ridurre la pressione fiscale su famiglie e imprese, innescando così il circuito virtuoso meno debitomeno tasse-più crescita. Crescita che potrebbe arrivare nella seconda metà del 2013.
Qui entra in gioco l’asset politico di un governo di grande coalizione. Esso ha il pieno sostegno del Parlamento per mettere in discussione da posizioni non deboli la politica europea di austerity che si è dimostrata fallimentare, come previsto dalla maggioranzadegli economisti ed anche degli organismi internazionali.
Ciò che si chiede all’Ue è una correzione contemporanea sia della sua politica economica di bilancio sia della sua governance monetaria. Questa politica europea non è un dato esogeno, ma è un dato sul quale il prossimo governo italiano è chiamato a incidere profondamente come parte del proprio mandato, giovandosi sia dell’appoggio parlamentare sia delle politiche di aggiustamento interno che pongono l’Italia in una situazione prospettica di maggiore stabilità di altri Paesi.
Ma l’attacco al debito pubblico, dasolo,nonbasta:perscon-giurarel’incertezzael’ingover-nabilitàeperavereun’Italiacre-dibileoccorreunaverticalizza-zione delle istituzioni, che pre-vedal’elezionedirettadelpresi-dentedellaRepubblicaeassicu-riunaguidastabileedemocrati-camente legittimata alla politica italiana. Attacco al debito e presidenzialismo: due facce della stessa medaglia. Un doppio segnale fortissimo.
Un presidente eletto dai cittadini ha il potere e la legittimazione di sanzionare chi, nel Parlamento, lavora per creare instabilità e trarne vantaggi politici. Un presidente eletto ha la legittimazione politica di sciogliere le camere e costringere chi ordisce imboscate a darne conto agli elettori. Un presidente eletto ha la legittimazione politica per progettare il futuro. Un presidente eletto è garante della maggiore stabilità e continuità politica e garantisce che il mandato elettorale non sia tradito. Nei momenti di crisi, come quello che viviamo, il presidentedella Repubblica non è più solo un notaio, ma il garante della continuità istituzionale e della stabilità dell’indirizzo politicodemocratico.
L’operazione nel suo complesso ha in sé tutta la forza, tutta l’etica, di una vera rivoluzione: si avvia finalmente un meccanismo positivo di modernizzazione del Paese che ci consente di essere europei a 360 gradi e che i mercati non potrebbero non apprezzare. Un grande, decisivo investimento collettivo nel senso di dare certezze, agli italiani innanzitutto, ai nostri severi partner europei, ai mercati, per tirare fuori il paese dalla crisi, dal pessimismo, dall’autolesionismo, dai suoi errori e dalle sue strutturali inefficienze: debito e cattiva politica. Una grande occasione non solo per l’Italia, ma anche per tutte quelle forze politiche e sociali che se ne faranno interpreti.
Renato Brunetta