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 2013  aprile 28 Domenica calendario

LA PAZZA IDEA DI PATTY: COSI’ INVENTO’ IL TOY BOY

Pazza idea, di far l’amore con lui, pensando di stare ancora insieme a te. 30 aprile 1973, esce l’album Pazza idea di Patty Pravo. Poco dopo, a giugno, esce il 45 giri (sul lato B c’è Morire tra le viole di Maurizio Monti) che per nove settimane rimane al primo posto della hit parade, e trascina nella top ten anche l’album. La canzone-titolo reca molte firme, Giovanni Ullu (e Cesare Gigli) per la musica, il testo è di Maurizio Monti e Paolo Dossena. Parole che sono un capolavoro di ambiguità, sì perché Pazza idea è insieme il lamento di una donna straziata dall’abbandono e la rivendicazione di una gestione indipendente della propria vita sessuale e del proprio immaginario erotico. Qui — parola di Gianni Borgna — Patty rivela «una spiccata predilezione per le situazioni scabrose», le sue sono «canzoni che parlano di triangoli, di scambi multilaterali». Così Pazza idea diventa subito uno dei pezzi-simbolo di Patty Pravo.
Nascevano, l’album e la canzone, in un momento particolare, ovvero il ritorno alla Rca, dopo un periodo — quasi tre anni e tre album — alla Philips. Alla Rca il produttore Lilli Greco cerca di offrire alla cantante una riparazione per il flop dell’album sperimentale Concerto per Patty, 1969. Ed ecco la canzone-titolo, sulla cui scelta esistono due versioni divergenti. Quella di Patty che racconta di avere avuto il provino della canzone per nove mesi senza riuscire a convincere la Philips a fargliela incidere. E c’è la versione di Lilli Greco che invece dice di averla trovata fra i tantissimi nastrini consegnatigli da Ennio Melis, il padre fondatore della casa discografica. Fra questi, uno di Giovanni Ullu colpisce particolarmente la moglie di Greco, ha un testo inglese e s’intitola Follow Me. Grazie a Monti e Dossena diventa Pazza idea.
Mentre chiudo gli occhi... — La canzone racconta una storia all’apparenza semplice, ritmata dalle regole eterne dell’amore in musica: passione, gelosia, abbandono e lei che non riesce a dimenticarlo. Lui, ossessionato dalla sua gelosia, l’ha lasciata un anno fa. Ma nonostante il tempo passato, lei continua ad amarlo e, se anche fa l’amore con un altro, chiude gli occhi per stare ancora insieme a lui. Di donne abbandonate e ancora innamorate era pieno il canzoniere italiano: Grazie dei fiori («m’han fatto male eppure li ho graditi») è un caso esemplare. Solo che Nilla Pizzi non si sarebbe mai sognata di far l’amore con un altro per sentirsi ancora accanto a lui. Patty, invece, mette in atto una strategia erotica scabrosa usando il fantasma di lui come componente indispensabile del piacere che prova con l’altro. Quattro anni dopo, con Pensiero stupendo — su parole di Ivano Fossati — l’amore a tre non è più immaginato, è reale («le mani, le sue... e lei ancora tra noi»). E a questo punto non è più necessario il grande amore ancorché perduto per giustificare l’eros, il piacere dei sensi: «Vicini per bisogno d’amore? Meglio non dire». Pochi mesi dopo (1978) Renato Zero avrebbe scritto e cantato Triangolo. Liberi tutti, la geometria non è più un reato.
Dalla parte di lei — Per decenni la playlist italiana è stata popolata da donne avvinte come l’edera, legate a un amore-simbiosi senza il quale non potevano nemmeno esistere («e se domani io non potessi rivedere te/ avrei perduto il mondo intero non solo te», 1964): Mina, senz’altro, ma anche Ornella Vanoni (La musica è finita, ’67, L’appuntamento, ’70), Iva Zanicchi (La notte dell’addio, Fra noi, ’66), la stessa Patty Pravo con Se perdo te, ’67, La bambola, ’68. Una sindrome che contagia pure Gianni Morandi («se non avessi più te, meglio morire», ’65). Però, mentre si afferma una corrente maschile fortemente sciovinista (Il vento dei Dik Dik, ’68; Tanta voglia di lei, i Pooh, ’71; Bella senz’anima, Riccardo Cocciante, ’74; Teorema, Marco Ferradini, ’81), anche le ragazze stanno cambiando. Nel 1966 Caterina Caselli canta a San Remo Nessuno mi può giudicare, un successo bissato lo stesso anno da Perdono: lei ha avuto una storia con un altro, lui non deve giudicarla (anche se, osserva Gianni Borgna, in fondo Caterina si giustifica e chiede perdono). Poi, due anni dopo, con Insieme a te non ci sto più pronuncia la frase-manifesto delle pari opportunità: «Chi se ne va che male fa». Altra indipendente, Nada nel ’71 canta Il cuore è uno zingaro. E se Ornella Vanoni usa l’ironia (Che barba amore mio, ’72), una passionale e arrabbiata Iva Zanicchi ribatte: «Ora non mi chiedere perché/ se a testa bassa vado via/ per ripicca senza te» (Testarda io, ’74, di Roberto Carlos). Certo, ci sono ancora le irriducibili come Mina per sempre convinta che lui è grande, grande, grande, e «come te sei grande solamente tu». Anche Mia Martini non ce la fa a emanciparsi da un amore-prigione: «Piccolo uomo non andare via, io piccola donna morirei», ’72. Del resto, nella sua canzone-capolavoro, Almeno tu nell’universo, 1989 (scritta nel 1972), pur sapendo che gli uomini non cambiano, si ostina a credere che almeno lui sia diverso e sincero.
E Patty Pravo, in questo scenario di donne che si vogliono liberare, che posizione ha? A proposito de La bambola, canzone odiata anche se ha venduto oltre 5 milioni di copie nel mondo, dice che lei non è certo il tipo che si può far girare e poi buttare via. Poi, appunto, con Pazza idea e Pensiero stupendo afferma una libertà sessuale fino ad allora riservata ai maschi, sia in pensieri che nelle opere (il trio di Pensiero stupendo). Ma anche quanto canta la devozione senza riserve (Se perdo te, Tripoli ’69), c’è qualcosa che contraddice le parole e propone un altro testo. È il linguaggio del corpo: il polso piegato e il palmo spinto in avanti; le mani davanti al viso, alla bocca, al seno. Insomma tutta la carica erotica della rivelazione del corpo e insieme la mano aperta che risveglia e respinge il desiderio.
Lost in translation — Pazza idea viene subito incisa in tedesco, inglese, spagnolo: Was für ein Tag, Crazy Idea, Una locura. Ma in tutti e tre i casi il triangolo erotico immaginario scompare. Nulla di eccezionale se si pensa a cosa diventavano le grandi hit straniere tradotte in italiano. Solo che qui c’è una evidente censura, tanto più singolare perché fatta in Paesi — Inghilterra e Germania — dai costumi sessuali molto più evoluti. Guardiamo i tre diversi ritornelli. Tedesco: «Was für ein Tag den uns das Schicksal gewährt,/ die Strasse, die uns in das Land der Liebe führt./ Weit, weit, irgendwo im Sonnenschein,/ wollen wir für immer glücklich sein» (Che giorno il destino ci ha concesso, e la strada che ci porta nella terra dell’amore. Lontano lontano da qualche parte, nel sole, noi vogliamo essere per sempre felici). Inglese: «Crazy idea was just to follow your life, your crazy life,/ in which I was about to die» (Pazza idea aver voluto seguire la tua folle vita, nella quale ho rischiato di morire). Spagnolo: «Loca yo soy porque te quize abrazar,/ cuando el amor no puedes nunca forzar» (Sono pazza perché ho voluto abbracciarti, eppure so che l’amore non puoi mai forzarlo). C’è, è vero, l’amore ad alto rischio degli inglesi e gli spagnoli ci dicono che innamorarsi è sempre una pazzia. Per i tedeschi, invece, c’è un romanticismo da vacanze italiane. Ma dello scabroso triangolo non resta traccia.
E l’altro che fine ha fatto? — «Io stasera insieme a un altro...». Già, quest’altro chi è e perché di lui proprio non si tiene conto? Da quarant’anni questo sconosciuto compagno di una sera continua a non avere un volto, una storia, un’identità. Forse era il primo uomo-oggetto del canzoniere italiano.
Ranieri Polese