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 2013  aprile 28 Domenica calendario

OCCHI LUNGHI DI STATO SUGLI UTENTI DEL WEB

Gli Stati sono poco disponibili, a parte poche eccezioni, a dare informazioni sulle loro attività. In compenso hanno occhi sempre più acuti su quello che i cittadini fanno mentre navigano in Internet. Nella seconda metà del 2012, le autorità pubbliche del mondo hanno chiesto 2.285 volte a Google di rimuovere contenuti: è il 26% in più rispetto alle 1.811 domande effettuate nel primo semestre. Hanno riguardato 24.179 pezzi di informazione, rispetto ai 18.070 del gennaio-giugno 2012. E già nella prima metà dell’anno le richieste di rimozione arrivate da tribunali, polizia, esecutivo, amministrazioni pubbliche erano aumentate del 72%. Le semplici domande di informazioni sugli utenti e sulle loro attività sono state 21.389, sempre nella seconda parte dell’anno scorso: nel primo semestre erano state 20.938. Nel complesso del 2012, le autorità hanno chiesto 42.327 volte a Google notizie sui suoi utilizzatori: nel 2011 era successo 34.001 volte.
La tendenza non è omogenea: in Italia, ad esempio, le domande di rimozione sono state 118 nel 2010, 65 nel 2011 e 52 nel 2012 (il 55% per diffamazione), in grande maggioranza ordini dei tribunali. Le richieste di informazioni sugli utilizzatori sono calate dalle 1.778 del 2011 alle 1.687 del 2012.
Ciò nonostante il dato globale è preoccupante: segno che nel mondo sta montando un conflitto digitale tra Stato e cittadini. Gli ordini e le richieste di rimozione dei contenuti sono infatti solo in piccola parte legati a reati come la violenza o la minaccia alla sicurezza nazionale (solo il 2% ciascuno del totale). Le motivazioni più diffuse, nel periodo che va dal luglio 2010 al dicembre 2012, riguardano la diffamazione, 38%; la pirateria e la privacy, 18%; l’infrazione a leggi elettorali, 5%; critiche ai governi, 3%; incitamento all’odio e offese alla sensibilità religiosa, ambedue al 2%. Si tratta di motivazioni che spesso hanno alla base reati veri ma che altrettanto spesso vengono usate da governi autoritari per fare pressione sulle opposizioni e per frenare gli spazi di libertà. Nel Transparency Report appena pubblicato con questi dati, Google cita alcuni casi che fanno pensare a tentativi di censura: ad esempio l’aumento, sempre nella seconda metà dell’anno scorso, delle richieste di rimozione in Russia, da 6 a 114, tre sole delle quali avanzate da tribunali e 111 da polizia o esecutivo; oppure le richieste di informazioni ricevute da 20 Paesi circa clip del film Innocence of Muslims pubblicati su You Tube. Oltre alle limitazioni e interruzioni in Paesi come Cina, Turchia, Marocco, Google non funziona in Iran, Pakistan, Afghanistan, Bangladesh, Siria, Corea del Nord.
Questi numeri sono un «frammento» dell’attività che si svolge ogni giorno su Internet. Non sono però un frammento dell’attività occhiuta di alcuni regimi: ne sono semmai la parte visibile, ufficiale, essendo l’altra, quella di controllo online e di hackeraggio, spesso un’attività nascosta e anch’essa si direbbe in gran crescita. Sarà un conflitto di lungo periodo.
Danilo Taino