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 2013  aprile 28 Domenica calendario

L’INFLAZIONE DEI DOTTORI NEL PAESE CHE AMA I TITOLI

Può spiegare come viene usato il titolo di «dottore» negli altri Paesi? Non credo, forse erroneamente, che l’ambiguità tutta italiana del «dottor Rossi» (stiamo parlando di un medico o di un laureato in altra disciplina?) sia possibile altrove. Oltre al fatto, paradossale, che sono sempre più frequenti i casi di persone il cui lavoro non ha nulla a che fare con il titolo accademico conseguito. Mantenendo correttamente questo titolo a un ambito esclusivamente medico, non sarebbe più giusto indicare, per esempio, «Mario Bianchi», responsabile tecnico di produzione, laureato in filosofia, piuttosto che un semplice e del tutto ambiguo «dottor»?
Franco Milletti
milletti@email.it
Caro Milletti, in Gran Bretagna «dottore» è l’appellativo utilizzato per due categorie professionali: il medico e il ministro della Chiesa anglicana che ha completato gli studi con una dottorato in teologia ed è quindi un «divinity doctor». Negli Stati Uniti designa il medico, ma anche il «philosophy doctor», vale a dire la persona che ha proseguito gli studi dopo la laurea sino a quello che noi chiamiamo il dottorato di ricerca. In Germania e nei Paesi scandinavi il titolo è generalmente riservato ai docenti universitari che hanno una laurea di terzo livello.
Non vi è Paese in cui il borghese non desideri decorare il proprio nome con un titolo. Tutti gli alti gradi della burocrazia statale in Gran Bretagna aspettano impazientemente il giorno in cui saranno promossi «cavalieri» da Sua Maestà e potranno premettere al loro primo nome l’appellativo «sir». I membri delle grandi istituzioni nazionali francesi (l’Académie, l’Institut, il Collège de France) firmano i loro libri e i loro articoli fregiandosi della loro dignità accademica. Non è sorprendente quindi che anche gli italiani amino fregiarsi di un titolo. Fra l’Italia e la maggior parte degli altri esistono tuttavia almeno due differenze.
In primo luogo il titolo, altrove, segue il nome anziché precederlo ed è generalmente utilizzato soltanto nell’intestazione delle lettere e nei biglietti da visita dove i titoli professionali e le onorificenze sono spesso indicati nei Paesi di lingua inglese con alcune abbreviazioni: MD (medical doctor), DD (divinity doctor), PhD (philosophy doctor), KCBE (knight commander of the British Empire, cavaliere commendatore dell’Ordine dell’Impero britannico), MP (member of parliament, deputato), FRCS (Fellow of the Royal College of Surgeons, compagno del Collegio reale dei chirurghi).
In Italia, invece, il titolo, anche nella conversazione, precede il nome. Per indirizzarsi a una persona senza offenderla la parola «signore», evidentemente, non basta. Per molto tempo l’Italia fu piena di cavalieri e commendatori. Poi quegli appellativi passarono di moda e furono sostituiti da altri fra cui «dottore» è quello maggiormente utilizzato. Speravo che la riforma universitaria degli anni Ottanta, quando le lauree divennero tre (breve, lunga e dottorato di ricerca), avrebbe finalmente allineato l’Italia sugli usi degli altri Paesi europei. Mi accorsi che avevo sbagliato quando lessi che una sentenza della giustizia amministrativa aveva riconosciuto il titolo di dottore persino ai diplomati delle lauree brevi. Anche i giudici amministrativi, evidentemente, hanno famiglia.
In secondo luogo, il tasso d’inflazione dei titoli in Italia è incomparabilmente superiore a quello degli altri Paesi. Il primo ad accorgersene fu Carlo V, re di Spagna e imperatore del Sacro Romano Impero. «Tutti dottori» è la traduzione moderna del «todos caballeros» con cui accontentò l’intera borghesia di Alghero nell’ottobre 1541.
Sergio Romano