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 2013  aprile 28 Domenica calendario

MAGO, SIMBOLO O SUPERSPIA

Harry Houdini cominciò a liberarsi delle sue catene quando aveva dodici anni e si chiamava ancora Ehrich Weiss. Appleton, Illinois, non era neppure la più profonda delle province degli United States of America: un college prestigioso — Lawrence University — e un’Opera House ne avevano fatto una piccola capitale nel Midwest. Ma al figlio dell’immigrato ungherese riciclatosi rabbino sarebbero presto andate strette perfino le frontiere dell’America, che a fine Ottocento scopriva le gioie (economiche) e i dolori (sociali) della prima globalizzazione: e figuriamoci dunque i confini di quella cittadina che aveva accolto la sua famigliola in fuga dall’Europa. Racconta la leggenda che il piccolo Ehrich fu conquistato dall’arrivo di un circo. Provò a copiare nel giardino di casa i primi movimenti da trapezista, avventurandosi su una corda tirata tra due alberi. Passo dopo passo, show dopo show, si ritrovò già in fuga e da allora non si fermò più. Una vita in tournée col nome d’arte di Houdini. Sfidando la morte, da New York a Londra, con esercizi e trucchi di straordinaria intelligenza, e invidiabile fisicità.
Fin qui la storia ingigantitasi a mito: che prima la pubblicistica del tempo e poi quella senza tempo di Hollywood (ricordate il film con Tony Curtis?) hanno rilanciato. Come ogni leggenda, anche questa è dovuta però passare al setaccio del revisionismo: per una volta uscendone, altra magia, ancora più rafforzata. Prendete le radici ebraiche che il Jewish Museum di New York ha dissotterrato in Houdini: Art & Magic, catalogo della mostra dedicatagli l’anno scorso: ci voleva tutta la forza dell’escatologia giudaica per liberare Houdini dalle catene da super Barnum che il successo gli aveva stretto intorno. “Houdini non solo seppe sfuggire alle costrizioni fisiche e alle situazioni potenzialmente mortali — si legge nella presentazione — ma fu lui stesso un modello dell’American Dream: sfuggendo al passato per affermarsi nel Nuovo Mondo”. Non per niente la celebrazione ha raccolto nel segno di Houdini progetti di artisti culturalmente in fuga da ogni regola: da Matthew Barney a Vick Muniz.
Peccato che revisionismo troppo spesso faccia rima con dietrologismo. E qui neppure il re degli “escapisti” è riuscito a sfuggire all’accusa più infamante che sempre spiegherebbe i successi inspiegabili. Ci hanno provato William Kalush e Larry Sloman (The Secret Life of Houdini: The Making of America’s First Superhero) ad aprirci gli occhi e rivelarci il suo più grande trucco: farci credere cioè di essere un mago mentre — peek-a-boo! — in realtà non era altro che una superspia.
Vero, falso o verosimile? Uno psicologo famoso e intellettualmente spregiudicato, Stanton Peele, ha sfidato il religiosamente corretto per sottolineare la tara ancora una volta jewish dell’ossessione materna. Proprio la morte dell’adorata mamma portò infatti il mago dei maghi a denunciare lo spiritismo allora imperante. Di più. Per sbugiardare i ciarlatani che promettevano contatti con i cari estinti, il grande Houdini arrivò addirittura a promettere diecimila dollari a chiunque gli avesse dimostrato l’esistenza di fenomeni paranormali.
Ecco: e se alla fine fosse proprio questa la sua lezione più grande? Siamo tutti chiamati a liberarci delle nostre catene. Ma non contiamo sui miracoli. La vita è tutta un trucco. E ogni fuga un’illusione.