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 2013  aprile 28 Domenica calendario

MIROSLAWA LIBERA DOPO 13 ANNI: «MA DOVETE RIFARMI IL PROCESSO»

Vienna o chissà dove. Ma ovunque e comunque andrà, dal 25 giugno quando avrà finito di espiare il suo castigo, Katharina Mirolsawa non potrà dimenticare Parma. Né Parma, con i suoi peccatori di provincia e il suo perbenismo da difendere, potrà mai scordare lei: la conturbante ballerina a luci rosse e quella notte di sangue dell’8 febbraio 1986. Un sabato. Era Carnevale: gli ultimi botti, la neve, i coriandoli, i 24 anni di Katharina e la morte. Il corpo di Carlo Mazza, industriale di Parma 52enne, viene trovato la domenica mattina intorno alle 10, dentro la sua Renault 5 Turbo. Michele, il figlio di 15 anni, preoccupato per l’assenza di papà, va a cercarlo. E lo scorge sotto la casa della nonna: Maria Mazza, in un angolo di via Turchi. A due passi dall’Oltretorrente. È immobile, irrigidito in quella tomba di lamiera, il capo reclinato sul volante, dietro al parabrezza incrostato di ghiaccio. Due colpi di calibro 6, 35 alla testa. Un rivolo di sangue sul polsino della camicia perfettamente stirata.
Quello stesso anno, se ne erano andati anche Padre Pio e Giovanni Guareschi. A Los Angeles fu assassinato Robert Kennedy; mentre Jacqueline sposava Aristotele Onassis. A Parma, intanto, lo scrittore Alberto Bevilacqua voleva fare del «delitto Mazza» la sceneggiatura di un film. Ma soprassedette: c’era, in quella Katharina, un aspetto demoniaco e angelico al tempo stesso; insomma un carattere che nessuna attrice, tranne lei stessa, sarebbe mai riuscita a esprimere. Così vi rinunciò. La giustizia italiana, dopo avere assolto Katharina in primo grado, l’ha condannata in via definitiva a 21 anni e 6 mesi come assassina. Meglio: come mandante e regista diabolica dell’omicidio. Witold Kielbasinski, il marito allora 32enne di lei, è stato invece condannato a 24 anni come il braccio armato esecutivo, ed è uscito nel 2007. Movente? Duplice: le corna e i quattrini. Il traditissimo sposo sparò per gelosia, ma anche per incassare, incombutta conlamoglie, il miliardo della polizza che il defunto le aveva intestato.
Latitante per 7 anni, Katharina viene catturata a Vienna il 3 febbraio 2000. Ne passerà 12 nel carcere della Giudecca a Venezia, più uno in affidamento ai servizi sociali. Potrebbero passare alcuni giorni prima che i giudici del Tribunale di sorveglianza firmino l’ordinanza di estinzione della pena. Ma ora, grazie ai tre anni di indulto e agli sconti maturati per la liberazione anticipata, le mancano meno di 60 giorni. Due mesi e un chiodo fisso: «Dimostrare la mia innocenza. Perché Carlo, io, l’amavo. Non l’ho ucciso e non l’ho fatto uccidere» ci ha raccontato in una delle tante visite che le avevamo fatto in cella. Era il 2003 e Antonio Di Pietro ne aveva preso la difesa. Oggi Katharina lo ripete a gran voce e intende scriverlo in un libro: «Delitto di Carnevale», redatto con Rody Mirri, produttore trentino che la conobbe subito dopo l’omicidio diventando suo manager.
Un mistero intrigante, il «delitto Mazza». Punteggiato da polizze miliardarie, amorini e amorazzi. Personaggi ambigui, sei processi, assoluzioni, condanne e colpi di scena a raffica. Tutti, in questa storia nera, raccontano qualcosa. Tutti imbrogliano le carte. E tutti, strizzando l’occhio, suggeriscono: «Cherchez la femme!». Cioè lei: Katharina, 24 anni, tedesca di origine polacca. Danzatrice e animatrice di night club. Il corpo? Statuario, gommoso, da falsamagra eccezionale. La sua sensualità? Prorompente. Gli occhi? Fra il colore dello smeraldo e il grigio, assetati degli occhi altrui.EballaKatahrina. Balla e incanta il popolo della notte,si muovesinuosa sulla pista dello Shilling’s di Modena, coperta solo di rete e giarrettiera. Balla, fino a quando anche l’ultimo velo non l’abbandonerà.
Carlo Mazza la vede, resta folgorato. Se ne innamora, la porta via con sé. E muore dopo averle intestato una polizza da un miliardo di lire. Ma sarà difficile per qualunque giudice accertare se, davvero, in Katharina esista il calcolo della perfidia omicida. Ora sarà scarcerata, ma lei non molla e insiste sulla riapertura del processo: «Sono innocente. Mio marito, dopo avere scontato 24 anni ha confessato di avere ucciso Carlo. Per gelosia. A mia insaputa». E poco importa che anche davanti alle nuove prove emerse, due Tribunali abbiano rigettato la richiesta di revisione. Carlo Mazza era il rampollo di una famiglia di industriali delle fonderie. E, per quella sua costante velleità di apparire, i quattrini gli scivolano via dalle mani. Si godeva la vita da scapolone, dopo essersi sbarazzato a distanza di 16 anni della moglie. Fra lui e Katharina è amore a prima vista, Carlo spende fino a 18 milioni al mese pur di accontentarla.
«Volle che smettessi di lavorare. Allora gli dissi: “Ora mi devimantenere” », racconta dopo tanti anni l’ex ballerina. E Carlo, per legarla ancora di più a sé, si fa venire quell’idea originale: intestarle la polizza da un miliardo. Somma riscuotibile solo in caso di sua morte. Intorno a questo più che scontato movente, si mette in moto il giallo. Tutti gli occhi si incollano su Katharina, che nei giorni del delitto però è ad Amburgo. Un alibi di ferro, all’apparenza. Ma quando atterra a Linate, ad aspettarla c’è la polizia: 5 giorni in cella e poi è libera. In Assise, l’accusa, disegna uno scontato quadro accusatorio: Katharina la mandante, Witold l’esecutore. Entrambi però vengono assolti il 12 maggio ’87. Alla lettura del verdetto, lei che non si è persa un’udienza, è assente. Sta pranzando al ristorante con Vittorio Feltri.
Dopo l’assoluzione sembrerebbe tutto chiarito. Invece no: uno 007 scopre una fattura non pagata a carico del fratello di Katharina. Quel debito è per il noleggio di un’auto che lui e unamico hanno affittato nei giorni del delitto. Ha percorso 2.234 chilometri: l’esatta distanza da Amburgo a Parma e ritorno. Bingo! I due hanno fatto da autisti a Witold, che ha sparato su ordine di Katharina. Tutti condannati, eccetto l’amico. Katharina fa perdere le tracce. La polizia la scova a Vienna. Tradita dalla corrispondenza con un amico di Parma da cui ha una figlia nel ’93. In carcere si fa cresimare dal Patriarca di Venezia. Studia, prega, rammenda e diventa tecnico dell’abbigliamento. Si iscrive a Teologia. Dopo 25 anni dal delitto esce in permesso per andare all’università. La sera torna in cella. Fino al 25 giugno, quando il portone della Giudecca si chiuderà alle sue spalle. Con lei che ripete: «Non mi importa più degli anni passati in prigione. Preferisco avere trascorso metà della vita dentro da innocente, piuttosto che essere l’assassina di Carlo». Intanto Parma continua a voltare lo sguardo e a difendere il suo perbenismo patinato. Senza però dimenticare Katharina.