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 2013  aprile 28 Domenica calendario

TORINO 1913 FATE L’AMORE NON LA PROLE


Nell’ Italia di inizio ’900 il tema del controllo delle nascite comincia a conquistare spazio. A Torino Luigi Berta, un medico socialista, fonda la Lega neomalthusiana e dirige il mensile L’educazione sessuale che promuove l’informazione e il dibattito in materia. Nel dibattito interviene nel 1910 Gaetano Salvemini, sostenendo la legittimità delle pratiche neomalthusiane, prospettate come una scelta di responsabilità nei confronti dei figli e della società. Lo stesso storico, in un articolo dell’anno successivo su Il Pensiero, cita con favore l’opuscolo di un certo
Secondo Giorni, operaio anarchico, autodidatta (nato a Sansepolcro, Arezzo, nel 1885, morirà in Francia nel 1942) che «si è prefisso di esporre brevemente e chiaramente le pratiche necessarie per impedire la fecondazione». L’opuscolo, edito dalla Società editoriale neomalthusiana di Firenze, si intitola L’arte di non far figli e contiene una prefazione di Luigi Berta. Sia l’autore sia il prefatore vengono coinvolti a Torino nel primo processo in Italia per oltraggio al pudore, che si conclude con l’assoluzione. Ma nel frattempo - è una storia che si ripete - il clamore dello scandalo giova al libello che diventa un bestseller e in dieci anni raggiunge sette edizioni per una tiratura complessiva di 85 mila copie.


Il 31 marzo 1912 Bartolomeo Mazzi, Procuratore del Re, trovandosi a passare davanti al chiosco giornalistico posto all’angolo tra le vie Baretti e Nizza, nel quartiere San Salvario di Torino, vede affisso un manifesto che reclamizza un libro dal titolo stupefacente: "L’arte di non far figli". Si fa un dovere di esaminarlo e scopre così che «il contenuto sorpassa i limiti della sfacciataggine più grossolana». L’opuscolo costa 60 centesimi, è composto da 85 pagine in sedicesimo con disegni esplicativi e divulga le varie tecniche antifecondative. È promosso dalla Lega Neomalthusiana allo scopo di aiutare le famiglie operaie a mettere al mondo un minor numero di figli per potersi sollevare dallo stato di indigenza. In quello stesso 1912 Benito Mussolini aveva dichiarato la sua adesione fattiva e completa alla Lega. Più tardi proclamerà che «il numero è potenza», ma per i populisti la coerenza non è stata una virtù.

Il Procuratore del Re, «trepidante per l’azione anarchica che il libello può esercitare per la gioventù maschile e femminile», dà inizio all’azione penale, in ragione dell’art. 339 che punisce «chiunque offende il pudore con scritture, disegni od altri oggetti osceni, sotto qualunque forma distribuiti o esposti al pubblico in vendita». Sono inquisiti l’edicolante Giuseppe Baratteri che si vede sequestrate da parte del questore 34 copie dell’opuscolo, l’autore, «il sovversivo» Secondo Giorni, di 27 anni, impiegato presso la Camera del Lavoro di Bologna, il prefatore, il medico torinese Luigi Berta e altri.

L’opuscolo, scritto con uno stile semplice ed esornativo, è prodigo di consigli sia alla donna sia all’uomo: "Sarebbe ottima abitudine portare in tasca sempre due o tre condoms (sic) e una bocettina cl contagocce contenente una soluzione di allume bianco, solfato di zinco e acido fenico. Tenere tutta questa farmacia nelle tasche sembrerà cosa importuna, ma noi crediamo preferibile all’uso di portare con sé il pettinino per baffi, il bastone da passeggio, il portasigari e via, tutte cose che non preservano da alcun pericolo".

Il Giudice Istruttore valuta che «il dolo è dimostrato inesistente dall’evidente scopo di propaganda delle teorie neo malthusiane in rapporto alla questione economica" e pertanto "non può ravvisare che nella specie sia avvenuta l’offesa al pudore". Ma il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello fa opposizione: la pubblicazione "malgrado la sua apparenza di propaganda scientifica e sociale sfrutta, a fine di speculazione e di propaganda industriale, la curiosità del pubblico, come lo dimostrano la tenuità del prezzo e l’esposizione in vendita in un chiosco giornalistico. E’ resa in tal modo raggiungibile ad ogni classe di pesone, qualunque sia la loro età, il loro sesso e la loro condizione. Perciò non può non ritenersi corrompitrice del senso morale ed offensione del pudore".

Si arriva così a un processo che si celebra presso il tribunale di Torino e si conclude con una sentenza di assoluzione piena, il 10 aprile 1913. Da notare che la difesa schiera ben cinque periti di parte, tre dei quali hanno nomi importanti: il senatore del Regno e professore Pio Foà, il professore Felice Momigliano e il direttore della Voce Giuseppe Prezzolini. Purtroppo il fascicolo conservato presso l’Archivio di Stato non contiene il testo delle perizie. Le motivazioni della sentenza sono valide ancora oggi a cento anni esatti di distanza. In essa si esamina dapprima l’oggetto del contendere: «La copertina non reca alcuna illustrazione ed è rimarchevole solo per la sincerità con cui dichiara il contenuto del libro; lungi dall’usare termini velati o capziosi, essa avverte subito il lettore che trattasi di neo malthusianesimo pratico. [...] I termini usati in ciascuna parte del libretto sono per lo più castigati e corrispondenti a quelli usati in ogni opera di scienza».

Il collegio giudicante deplora peraltro le teorie esposte nell’opuscolo incriminato: «Si è giunti alla più esplicita propaganda delle pratiche neo malthusiane fra celibi e nubili, col dichiarato intento di ovviare alle naturali conseguenze dell’amplesso e rendere possibile e spoglio d’ogni responsabilità per tutti i giovani il libero amore e il soddisfacimento dell’appetito sessuale al suo primo manifestarsi». Ma «libro immorale non significa libro osceno. [...] Non può infatti dirsi osceno l’opuscolo in questione nel suo complesso solo perché tratta dell’attuazione pratica della teoria neo malthusiana; ciò equivarrebbe a dire oscena qualunque propaganda di teoria immorale».

Il collegio richiama un precedente illustre: la sentenza emessa il 10 ottobre 1910 con la quale il tribunale di Milano assolve Filippo Tommaso Marinetti dall’accusa di oscenità per aver pubblicato in quello stesso anno il romanzo "Mafarka il futurista". Vi si narra che il re africano Mafarka, dopo aver soddisfatto una quarantina di schiave, si corica nei pressi di un molo: «il suo sesso interminabile, lungo undici metri, era troppo ingombrante!... Quindi egli pensò di arrotolarlo con cura, come una gomena, accanto al letto; poi si addormentò». All’alba passa di lì un marinaio, lo scambia per una fune e l’utilizza per legare una vela. «Mafarka, che dormiva ancora, fu così portato via, e navigò sui flutti del mare col suo membro rigido come un albero vibrante». Anche in quella causa furono spesi nomi illustri per le perizie di parte, fra cui quello di Luigi Capuana, giunto appositamente dalla Sicilia.

In conclusione, «per quanto riprovevole sia stato l’intendimento degli autori, non fu certamente però quello di fare oltraggio al pubblico pudore». Pertanto gli autori del libretto devono «andare impuniti».

Il Procuratore del Re aveva dunque una mente bacata? Se vogliamo essere sinceri, ogni spunto, anche il più innocente, è buono per sviluppare fantasie erotiche. Nell’autunno del 1977 si registrava negli studi della Rai di Torino la prima serie del varietà Non stop . Faceva parte del repertorio del trio La Smorfia uno sketch nel quale il compianto Massimo Troisi si inginocchiava davanti a una immagine della Madonna e le chiedeva perdono «per aver fatto le porcherie» su una pagina di Famiglia cristiana, ispirato dalla pubblicità delle Fave di Fuca dove c’era la statua di una donna seminuda. D’intesa con il regista Enzo Trapani, prima di inserirlo in una puntata sottoponemmo la registrazione dello sketch al direttore di Rai 1 e, al suo parere negativo, confesso di aver provveduto io stesso alla sua cancellazione in modo che non ne restasse traccia. Per una volta nella vita, anch’io sono stato Procuratore non del Re ma della Rai.