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 2013  aprile 28 Domenica calendario

UN ANTI-BERLUSCONI ALL’ECONOMIA

Se Silvio Berlusconi ha dato il via libera alla lista dei ministri del governo di Enrico Letta,è probabile che la bozza consegnatagli avesse un errore di battitura. Forse alla voce «Economia » era scritto «Saccomanno». Ex parlamentare del Pdl, poi finito in Fratelli di Italia, Michele Saccomanno all’epoca del governo di Mario Monti è stato uno dei pochissimi a battersi contro l’introduzione dell’Imu sulla prima casa, facendo perfino passare due emendamenti per esentare dal pagamento almeno i disabili. Saccomanno certo avrebbe garantito meglio di chiunque altro quella condizione programmatica posta dal Cavaliere alla nascita del governo delle larghe intese: via Imu prima casa, e restituzione delle somme tolte agli italiani nel 2012.
Deve essere proprio stato quell’errore di battitura a fare cambiare rotta e idee a Berlusconi che il 26 aprile era stato nettissimo: «Dico no a Fabrizio Saccomanni all’Economia: abbiamo già dato con i tecnici, veniamo da un governo che ha fatto disastri con il suo eccesso di rigore». Quel refuso invece ha dato un’impronta tecnica assai marcata alla nascita dell’esecutivo Letta jr. Perché sarà anche il governo delle larghe intese politiche, con premier il leader reggente del Pd e vicepremier il segretario del Pdl. Ma sono restati in mano ai tecnici i due ministeri chiave su cui poggia la politica economica: quello dell’Economia, affidato all’attuale direttore generale della Banca d’Italia; e quello assai rilevante del Lavoro, dove arriva l’attuale presidente dell’Istat, Enrico Giovannini. La politica economica quindi inevitabilmente sarà in perfetta continuità con l’esperienza del governo precedente. Saccomanni è un bocconiano come Mario Monti, e le affinità fra i due non si fermano lì. Durante l’ultimo anno il direttore generale della Banca d’Italia si è quasi spellato le mani a forza di applaudire i miracoli dell’esecutivo tecnico. Come fece con eccesso d’ardore il 31 gennaio 2012, poco dopo l’approvazione del decreto salva-Italia: «Le misure», disse, «varate dal governo Monti hanno come effetto un ritorno positivo sulla crescita». Nessun italiano a distanza di 15 mesi da allora se ne è probabilmente accorto. Ma si sa, i banchieri centrali hanno visioni lunghe e bisognerà ancora aspettare. Fra gli applausi dell’epoca uno che sicuramente rischia di fare accapponare la pelle a Berlusconi. Era il 22 novembre 2011, e Saccomanni si trovava a Parigi. Parlò naturalmente benissimo dell’esecutivo Monti che stava nascendo e prima ancora che fosse inserita in un decreto legge, elogiò «l’intenzione di reintrodurre l’Ici sulla prima casa: l’Italia è l’unico grande paese senza una tassa di questo tipo. La sua reintroduzione è una delle strade utili per il recupero dell’evasione fiscale».
Se per Monti il nuovo ministro dell’Economia ha sempre avuto una passionaccia, non si può dire che nutrisse analogo sentimento nei confronti di Berlusconi. Saccomanni infatti ha considerato un vero e proprio sopruso la decisione dell’esecutivo del cavaliere di non proporre la sua nomina a governatore della Banca d’Italia quando Mario Draghi prese il volo per la Bce. Berlusconi gli preferì IgnazioVisco, che era un suo sottoposto, come soluzione di mediazione per fermare la guerra contro il direttore generale della Banca d’Italia intentata da Giulio Tremonti, che in via Nazionale voleva piazzare il suo Vittorio Grilli.
Una scelta mai digerita. Tanto che dopo avere fatto sedimentare la rabbia per qualche mese, Saccomanni decise di togliersi più di un sassolino dalla scarpa in una intervista al settimanale Espresso che fece rumore.
«Nei miei confronti», disse, «è stata commessa - per motivi direi futili - una grave ingiustizia che credo di non aver meritato». A dire il vero non fu quella la prima volta in cui un direttore generale della banca centrale fu scavalcato nella carriera da un suo vicedirettore generale: l’amara esperienza era già accaduta a Lamberto Dini, a cui fu preferito il vice Antonio Fazio. È stato proprio in quella intervista che Saccomanni suggerì la riparazione a quel torto che gli sembrava di avere subito:«Non posso negare», buttò lì, «di sentirmi attratto dalla politica come servizio pubblico». Messaggio che fu raccolto dall’unico sponsor che gli era rimasto. E che sponsor: il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
È così che il nome di Saccomanni è sbucato in ogni griglia di governo dal 25 febbraio in poi: prima come ministro dell’Economia di Pier Luigi Bersani, poi come premier tecnico di un governo del presidente, ora come ministro chiave dell’esecutivo Letta jr.
Saccomanni è radicalmente europeista (se ne andò dalla Banca d’Italia quando c’era Fazio perché era euroscettico), ed è un talebano del rigore. Riconosce la necessità di abbassare la pressione fiscale, ma sostiene che non è fattibile se prima non si persegue l’obiettivo del deficit zero. Assai rigido nel credo economico, lo è molto meno dal punto di vista personale. Hauna grande carica di simpatia, romanaccio di radici e nell’anima. Non vive di sola economia: è amante del teatro (da giovane voleva fare il regista), cinefilo e melomane con una vera passione per Riccardo Muti. Per hobby si diletta a scrivere sonetti in romanesco. Li fa leggere di solito agli amici (ne sta preparando uno sull’euro), e ne ha resi pubblici solo due: uno che scrisse per i 70 anni di Carlo Azeglio Ciampi e un altro per Tommaso Padoa Schioppa.