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 2013  aprile 27 Sabato calendario

PECHINO ORDINA AI RISTORANTI “BASTA INVOLTINI PRIMAVERA”

PECHINO INVOLTINI primavera addio. Stop a riso fritto, pollo alla soia e ravioli al vapore. Esclusi dal menù anche il maiale in agrodolce e i gamberi caramellati da ripassare nel peperoncino del Sichuan. Per “il cinese”, inteso come ristorante, è la fine. Pechino dichiara guerra alla sua cucina da esportazione.
UNA cucina nella quale ogni pietanza rivela lo stesso sapore, un po’ dolce, un po’ salato e un po’ piccante, e la medesima consistenza, un po’ viscida e un po’ croccante. Tramonta l’era dell’Oriental Food, sinonimo di pasto a prezzi stracciati e vassoi sommersi di cibo dalla natura imprecisata.
La Cina, per rifarsi il look a livello globale, ha deciso di partire dalla tavola. Una nazione in via di sviluppo, segnata dalla fame e dall’emigrazione, non poteva che permettersi locali popolari, dispersi in periferia e condannati al kitsch oro-dragone, stereotipo esotico di un’Asia inesistente aggrappata alle lanterne rosse. La seconda economia del mondo, epicentro dei nuovi miliardari, pretende invece un altro universo: ristoranti di lusso, in pieno centro, atmosfera glamour e pronti a servire il meglio dall’alta gastronomia imperiale. La nuova leadership capital-comunista dunque ha deciso. La ciotola con i bastoncini infilati nei tagliolini in brodo finisce sui manifesti pop della nostalgia maoista. Si apre l’epoca della carpa all’anice stellato, dei nidi di rondine con la glassa al tè verde e dell’anatra alla pechinese arrostita nel forno a legna, da spolverare con kren e vaniglia. Tornano i sapori della dinastia Ming, con l’eccezione del cane arrosto e della zuppa di pinna di squalo, aboliti quelli della rivoluzione proletaria, condannata agli stufati a bagno nell’olio di sesamo, riscaldabili per settimane.
In patria il presidente Xi Jinping lancia l’operazione “piatti puliti”: guerra agli sprechi e ai banchetti dei funzionari, icona della corruzione. All’estero presenta invece il piano “tovaglia inamidata”: lotta alla sporcizia e ai menù costruiti su liofilizzati e precotti esportati dallo Zheijang. Ideologia di base 2.0: l’immagine di un popolo dipende da ciò che mette nel piatto degli altri. Censura e propaganda possono attendere, anche nel tempo del web scocca l’ora dello chef . E il governo, a partire
del premier Li Keqiang, si adegua: maxi-finanziamenti di Stato serviranno a smantellare migliaia di vecchi ristoranti cinesi aperti al di là della Grande Muraglia, a ristrutturarli, ad arredarli come impone la moda e soprattutto a dotarli di cuochi capaci di finire sulla guida Michelin. Perché, per Pechino, il punto è questo: superare India e Giappone nell’immaginario dell’internazionale buongu-staia, invadere le guide gastronomiche scritte in inglese, educare gli Usa alla cultura del sapore e lanciarsi alla conquista dell’Europa ancora convinta che a tavola non si invecchia. Super-potenza gourmet partita da un dubbio atroce, rilanciato dal Quotidiano del popolo: perché nella classifica dei cento cuochi più pagati del pianeta nemmeno uno è cinese? E perché, insulto ad una civiltà, nessun straniero dichiara di pensare alla Cina quando pianifica una cena per fare un figurone? Conclusione del nuovo politburo: tutta colpa dei ristorantini made in China e takeaway, dove al prezzo di una pizza mangia tutta la famiglia, uscendo con il cartoccio del giorno dopo. Business del secolo, ma sciagura politica, con il mondo indotto a sospettare che i nuovi padroni delle Borse e delle aste di vini francesi, seguitino a valere quanto le loro nuvolette all’aroma di scampo. Il “sogno cinese” di Xi Jiping punta più in alto e per arrivarci vuole soprattutto piacere. Servono capitali e portaerei, attori e scrittori, ma anche qualcuno che sappia cuocere come si deve una lastra di fegato d’oca, da presentare su un piatto di porcellana. In Cina la Rete l’ha già ribattezzato «effetto first lady»: tutto deve essere fashion, come Peng Liyuan. Il resto del mondo si prepara invece ad assaggiare l’ultimo, calorico sorpasso. E a rimpiangere una cara e scomparsa Chinatown.