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 2013  aprile 28 Domenica calendario

SACCOMANNI, IL TECNICO CHE NON FA SCONTI ALLA FINANZA MONDIALE

Per spiegare l’origine della crisi finanziaria disse che «affidarsi al giudizio delle agenzie di rating era come farsi consigliare i tagli di carne dall’amico del macellaio». Fabrizio Saccomanni è un tecnico che sa parlare il linguaggio di tutti, con ironia quando capita; pur se, come dirigente della Banca d’Italia, di rado se lo è potuto permettere. E la grande finanza mondiale l’ha sempre avuta come controparte, l’ha frequentata tenendola a distanza: sempre incarichi pubblici, durante tutta la sua carriera.

Stupirà dunque chi, come i grillini, non capisce la differenza tra un rigoroso banchiere centrale e un finanziere di Wall Street o della City di Londra. Anzi, Saccomanni è un esperto, ascoltato nel mondo, di come domare (parola che ha usato nel titolo di un suo libro) i mercati, di come evitare che scatenino disastri. La sua esperienza l’aveva convinto che per salvare l’euro occorreva l’annuncio di interventi potenzialmente illimitati della Bce; ne parlava parecchi mesi prima che Mario Draghi nell’estate 2012 riuscisse ad elaborare il suo compromesso.

Potrà poi dare sollievo che la sua tesi di laurea, alla Bocconi di Milano nel 1966, avesse come titolo «I limiti della pressione fiscale». Da un ex banchiere centrale non ci si può attendere ora una netta smentita alle politiche di austerità. E tuttavia in Banca d’Italia non erano mai piaciuti gli entusiasmi di Jean-Claude Trichet, quando proclamava che «l’austerità, ristabilendo la fiducia, aiuterà la ripresa, invece di ostacolarla». Sapevano che sarebbe stata molto dolorosa la stretta del 2011-2012, pur ritenendola, a quel punto, inevitabile. Tra i molti consigli forniti al governo Monti, c’era anche di non insistere sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ritenuto di importanza marginale.

Da uno che aveva già trovato un ottimo lavoro a 25 anni (assunto in Banca d’Italia, appunto) è doveroso aspettarsi attenzione ai problemi dei giovani; ai quali, mesi fa, riconosceva tutto il diritto di essere «impazienti». Il massimo della capacità di avere idee nuove, ha detto, «si raggiunge prima dei 40 anni»; e se uno è ancora precario, difficile che le possa realizzare. Nella stessa occasione notava con disappunto che nelle aziende italiane i pochi dirigenti giovani sono in genere parenti dei proprietari.

Sarà il Tesoro, ora a coronare la sua carriera, dopo che nel 2011 non è diventato governatore della Banca d’Italia soprattutto a causa del veto di Giulio Tremonti. Ci rimase assai male, lui che come direttore generale era primo in linea di successione a Draghi; però lealmente accettò di collaborare con Ignazio Visco, da vice diventato suo superiore.

I nervi del resto li ha saldi, e il buonumore lo abbandona di rado. Nei primi anni ’90 difendeva la lira dalla speculazione sui mercati valutari, un lavoro che avrebbe tolto il sonno a chiunque, a lui no. La sua pazienza non fu tuttavia sufficiente ad andare d’accordo con il governatore Antonio Fazio, cosicché nel 2003 si spostò a Londra come vicepresidente della Bers, incaricata di finanziare il ritorno al mercato nei Paesi ex comunisti.

Nella capitale inglese lavorava anche Mario Draghi - a sua volta dimessosi dal Tesoro dopo l’arrivo di Tremonti - e lì si consolidò l’amicizia tra i due. Fu Draghi appunto a farlo tornare a Roma nel 2006 come numero due della Banca d’Italia. Adesso in via XX settembre si troverà di fronte a una burocrazia possente e chiusa, difficile da rinnovare specie in un governo dove i due partiti rivali passeranno il tempo a porsi veti. Ma Saccomanni, tra le sue esperienze, ha anche quella di aver fatto cooperare, nel dopoguerra balcanico, serbi e croati.