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 2013  aprile 27 Sabato calendario

LE TASSE CHE INSEGUONO (SENZA GETTITO) LUSSO E BORSA — I

paradossi fiscali. Ci sono tasse che nascono per colpire la speculazione oppure come mini-patrimoniali sui beni di lusso ma il risultato alla fine non è quello sperato dallo Stato (fare cassa in modo equo). Perché i «protagonisti» hanno modificato rapidamente le proprie abitudini. Non stiamo dicendo che questi connazionali abbiano fatto bene o male, ma solo che è successo. Le imposte in questione sono la Tobin Tax, il balzello sulla nautica e sulle auto di lusso. E, in fondo, anche l’aumento dell’Iva e le accise sui carburanti.
«La storia fiscale è costellata di prelievi che hanno l’effetto contrario, per cui si crea un trade off tra esigenze di cassa e riorganizzazione dei comportamenti da parte dei contribuenti per cercare di evitarli», spiega Giuseppe Marino, professore di Diritto tributario all’Università Bocconi di Milano. La Tobin tax è l’esempio perfetto. Era nata per sensibilizzare il mondo della finanza, alla base dell’ultima crisi. La tassa sulle transazioni finanziarie da noi è stata introdotta a marzo, in anticipo rispetto agli altri dieci Paesi europei che hanno deciso di adottarla di comune accordo (l’Italia sta ora discutendo perché a Bruxelles vogliono applicarla anche ai titoli di Stato). Gettito complessivo atteso: 1,16 miliardi di euro. Nel primo mese di attività dell’imposta però si è registrato un calo del 30% delle transazioni, come riferito da Italia Oggi. In Borsa la riduzione è stata del 16% mentre sugli scambi azionari non regolamentati il crollo è stato pari al 50%. E pensare che il governo contava di fare cassa proprio con le transazioni fuori Borsa (770 milioni di euro sul gettito complessivo). Allo stato attuale gli incassi sono al di sotto delle stime per 300 milioni. E se in Europa dovesse passare la linea della Tobin tax da applicare a Bot e Btp, il costo in più per lo Stato italiano sarà tra i 150 e i 170 milioni di euro all’anno.
Non è andata meglio alla tassa su tutte le imbarcazioni di lunghezza superiore ai 10 metri, possedute o detenute da soggetti residenti nel territorio italiano o da stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti. Gettito stimato: 155 milioni di euro. Incasso: 25 milioni. Una débâcle. Tutti evasori? I diportisti sono scappati in massa oltre confine e hanno gettato l’ancora in Francia o in Croazia per non pagare l’odioso balzello? L’ipotesi non convince Giuseppe Marino: «Penso che gli italiani abbiano fatto il loro dovere. Sono convinto invece che i numeri messi a budget non potessero essere oggetto di stima. È molto probabile che i 155 milioni siano stati indicati a tappo per aiutare a chiudere il bilancio dello Stato». E il motivo sta nel fatto che «fino a tutto l’anno scorso i registri nautici erano tenuti a mano nelle capitanerie di porto. L’informatizzazione di questi dati è cominciata quest’anno. Dunque difficile conoscere esattamente quante sono le imbarcazioni degli italiani. Per sapere ad esempio se Marino è titolare di una barca o lo dichiarava lui oppure la Guardia di finanza avrebbe dovuto inviare una comunicazione al comando generale, che avrebbe fatto un fonogramma a tutte le capitanerie di porto, che una volta ricevuta la richiesta avrebbero controllato nei registri scritti a mano...». Un po’ di fuga, comunque, c’è stata. L’ha certificata Assomarinas che su 150 mila posti barca ha parlato di un calo del 15-20%. Ma la tassa è sul possesso e non su dove si tiene l’imbarcazione. Resta il flop per l’erario.
Vita difficile anche per il superbollo sulle auto di lusso. Dal primo gennaio 2012 è entrata in vigore un’addizionale sul bollo di 20 euro per ogni kilowatt di potenza che superi il limite di 185 kilowatt. Gettito stimato per il 2012 pari a 164,8 milioni di euro. Gli italiani si sono ingegnati. Tra gli stratagemmi trovati c’è la cancellazione dal pubblico registro automobilistico italiano e successiva reimmatricolazione in Germania con risparmio intorno al 42%. Tutto legale, niente da dire. Furbetti a parte, ci sono anche da considerare gli effetti della crisi: calo delle immatricolazioni e famiglie che magari hanno rinunciato all’auto più potente. Per le casse pubbliche, comunque, è stato un gettito inferiore al previsto. Così come è avvenuto con le accise sui carburanti: gli italiani hanno cominciato a usare meno l’auto e a risparmiare sul pieno di benzina. Lo Stato e le Regioni ne stanno risentendo.
Anche l’aumento dell’Iva rischia di essere un boomerang. «L’effetto — spiega Marino — è duplice perché grava sul consumatore: nella migliore delle ipotesi rallenta i consumi, nella peggiore aumenta l’evasione». Tra gennaio e febbraio le entrate dell’Iva sono diminuite del 9,4%, cioè di oltre 1,2 miliardi, rispetto all’anno precedente. I conti non tornano.
Francesca Basso