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 2013  aprile 27 Sabato calendario

UNA FOTO E UN VOLTO NUOVI. IL FANTASMO DEL TERRORE ISLAMICO

Il fantasma quando esce dal suo rifugio usa nomi cristiani. Altrimenti dice di chiamarsi Sami Isa, ma anche Al Faqar. Una delle molte identità create per proteggersi. Nel sito dell’Interpol compaiono due sue foto. Datate. Nessuno potrebbe riconoscerlo. Ma ora, da Haret Hreik, quartiere meridionale di Beirut, è uscita un’altra immagine. Sfocata, però nuova, che ha dato un nuovo volto a Mustafa Amin Badreddine. È lui il fantasma. Il responsabile delle operazioni clandestine dell’Hezbollah, il movimento libanese filoiraniano. Per questo si nasconde. È veterano di mille esplosioni, una gemma preziosa per la milizia sciita. Un estremista capace come pochi con l’esplosivo che però ha coltivato la passione per gli affari. Organizza attentati e gestisce un patrimonio milionario, con interessi economici che vanno dai parchi giochi ai gioielli. Iniziativa privata unita alla necessità di far fruttare i finanziamenti iraniani.
Badreddine è sospettato di aver orchestrato l’attentato contro una comitiva di turisti israeliani a Burgas (Bulgaria, nel luglio scorso), ha cercato di fare lo stesso a Cipro ma la sua «vedetta» è stata catturata. Poi ci sono ancora tracce in Sud America e in Thailandia dove, sempre nel 2012, hanno bloccato una cellula di iraniani. Trame portate avanti da Jihad Harb, alias Adam Reef, 33 anni, uno degli uomini dell’Unità 901, il reparto che Badreddine gestisce insieme ad un altro personaggio dell’Hezbollah, Talal Hamyah. Un paio di rovesci non hanno scoraggiato gli Hezbollah. Fonti della sicurezza ritengono che il team, spesso composto da libanesi che hanno vissuto in Occidente, sia al lavoro. Lo confermano un paio di segnalazioni piuttosto precise dopo il fermo di persone sospette, in Nepal e di nuovo in Bulgaria. L’apparato segreto del «partito di Dio» è paziente, non ha fretta. Badreddine neppure. Se è ancora in giro lo deve alla sua professionalità.
Gli americani hanno imparato ad assaggiare la spada del terrorista all’inizio degli anni 80. Insieme al suo predecessore, Imad Mugniyeh, mette a segno una serie di attacchi impressionanti. Tra questi l’attentato contro i comandi Usa e francese a Beirut, nell’83, rapimenti di cittadini occidentali tenuti per anni in catene, una campagna di bombe in Kuwait. È qui che per una volta la volpe entra in una trappola. La polizia arresta Badreddine. E lui chiede aiuto. L’Hezbollah, agendo sotto la firma fumosa della Jihad islamica, risponde sequestrando jet pieni di passeggeri da scambiare con Mustafa. La libertà arriva grazie ad un nemico, Saddam Hussein. Con l’invasione irachena del Kuwait — siamo nel 1990 — molti prigionieri evadono dalle prigioni kuwaitiane, tra loro l’uomo-bomba.
L’attentatore raggiunge l’Iran dove, raccontano, si sottopone ad una plastica facciale. Quindi rientra in clandestinità per portare avanti la missione. È sempre al fianco di Mugniyeh, un sodalizio politico cementato da vincoli familiari. Il fantasma conosce molti segreti e partecipa ad operazioni difficili. Ed è quasi naturale che dopo l’uccisione del capo a Damasco — il Mossad gli ha piazzato una bomba nell’auto nel 2008 — il suo vice assuma la guida.
Badreddine, oggi cinquantenne, è ricercato, insieme ad un pugno di complici, per l’assassinio dell’ex premier libanese Rafiq Hariri così come di altri esponenti politici locali. Attraverso le sue unità crea nuclei che intervengono in Iraq e di recente in Siria, dove assiste il regime di Assad nella lotta contro i ribelli. I guerriglieri non mancano, il denaro messo a disposizione dall’alleato iraniano risolve molti problemi. L’aspetto interessante è che Badreddine non disdegna gli affari, mandati avanti da alcuni intermediari e per conto dell’Hezbollah. Interessi nel settore dei divertimenti (un grande parco), commercio di gioielli con una società vicino al campo profughi palestinese di Mar Elias (Beirut), costruzioni su larga scala dal Libano alla regione di Bassora (Iraq), qualche albergo.
Quando si muove, Badreddine è ovviamente molto attento alla sua sicurezza. Claudicante per una vecchia ferita, si affida ad una scorta di «angeli» il cui passato e presente sono stati analizzati fino all’ultimo dettaglio. Si finge cristiano per incontri — diciamo — molto personali. È consapevole che gli errori si pagano. Lo sa per esperienza diretta: Imad Mugniyeh lo hanno fregato quando hanno individuato la donna che frequentava a Damasco.
Guido Olimpio