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 2013  aprile 26 Venerdì calendario

CROAZIA FA RIMA CON PIGS


Il matrimonio s’ha da fare. E si farà. Ma gli sposi arrivano alla cerimonia senza entusiasmo. A convolare a nozze saranno l’Ue e la Croazia, in dirittura d’arrivo per diventare il 28esimo membro del club europeo. Croazia che «sarà pronta per entrare nell’Unione il primo luglio 2013», ha assicurato a fine marzo la Commissione europea, nell’ultimo rapporto di monitoraggio di un Paese che in meno di vent’anni è riuscito a lasciarsi alle spalle la sanguinosa guerra per l’indipendenza dalla Jugoslavia, il nazionalismo dell’era Tudjman, padre-padrone della patria, una fase di faticose e non sempre riuscite riforme. Ma che cosa porta in dote Zagabria all’Europa? L’orgoglio di avercela fatta. E mille nuovi problemi.
L’ex Repubblica jugoslava issa la bandiera blu a 12 stelle dopo quattro anni di recessione, con un Pil in flessione nel 2012 del 2 per cento e crescita zero nel 2013, causa consumi, investimenti ed export al palo. Una recessione gravissima che, malgrado il florido settore turistico, ha portato a un crollo complessivo del Pil dell’11 per cento dal 2008 a oggi. «La seconda più grave contrazione registrata nel mondo», sottolinea un rapporto Barclays. Come se non bastasse, Zagabria paga l’onta del giudizio di "spazzatura" assegnato ai suoi bond da due agenzie di rating su tre. E in valigia il Paese balcanico nasconde anche una seria questione sociale, con una disoccupazione da codice rosso che ha superato il 18 per cento secondo i dati Eurostat, il 21 per cento (48 per cento nel caso degli under 25) per quelli dell’Istat locale. Peggio fanno solo Grecia e Spagna, altre nazioni che condividono simili affanni, come l’alto deficit trainato da sanità e pensioni, bassa competitività, un ipertrofico settore pubblico.
Un quadro a tinte fosche. Così, mentre si attendono gli ultimi benestare dei Ventisette al trattato d’adesione di Zagabria (in primis quello di una riluttante Berlino, fra le prime capitali a riconoscere l’indipendenza croata e oggi fra gli ultimi Paesi Ue a ratificarne l’ingresso) non ci si può non interrogare: la Croazia è veramente pronta? «Ci piace pensare che l’adesione dipenda solo dalla soddisfazione dei criteri stabiliti da Bruxelles, ma è qualcosa di più e di diverso di questo», spiega James Ker-Lindsay, esperto di politiche del sud-est Europa alla London School of Economics, che già in passato aveva espresso alla Cnn dubbi sullo stato di salute di Zagabria. «Bisogna aver gli amici giusti che ti sostengano» e che chiudano un occhio sui problemi strutturali del Paese. E la Croazia «li ha avuti questi amici, Germania e Austria in testa», sottolinea Ker-Lindsay. «Se si dovesse adottare un approccio molto severo», come in parte è stato fatto dopo l’adesione di Romania e Bulgaria, «allora forse si troverebbero gli argomenti per sostenere che la Croazia non dovrebbe ancora entrare». Unico aspetto positivo: l’attuale situazione politica a Zagabria è migliore e più stabile di quella di Sofia o Bucarest nel 2007, grazie anche al governo del dinamico premier socialdemocratico Zoran Milanovic.
«Non è un periodo favorevole né per la Croazia né per l’Ue», cerca una difesa d’ufficio Paul Stubbs, sociologo presso l’Ekonomski Institut di Zagabria. Va però ricordato che il Paese è «piccolo», poco più di 4 milioni di abitanti e che con esso la popolazione dell’Ue «crescerà solo dell’1 per cento». E va pure osservato che «il Pil pro capite in Croazia è circa il 61 per cento della media Ue, molto superiore a quello romeno e bulgaro» e prossimo a quello polacco. «Certo», precisa Stubbs, «se Bruxelles girerà le spalle a Zagabria dopo l’adesione, lasciandola in un angolo, la Croazia potrebbe diventare un problema ma penso che ciò non accadrà». Allo stesso tempo, è «poco chiaro se nel lungo periodo essa farà parte del club dei Paesi dell’Europa centrale che dovrebbero conoscere una crescita relativamente stabile, anche se debole, o di quello della periferia dell’Europa meridionale, in compagnia dei famigerati Pigs». A Stubbs fa eco Vladimir Cvijanovic, economista all’Università di Zagabria: «Il Paese è più o meno in stagnazione dal 1980, questa crisi non è un’eccezione né si può dire che fosse inaspettata. Nel corso del decennale processo per entrare nell’Ue la Croazia avrebbe dovuto fare di più per ristrutturare alcune aziende, come i cantieri navali (per vent’anni un buco nero di denaro pubblico) che hanno registrato un vistoso crollo della produzione e dell’occupazione. E avrebbe dovuto potenziare la capacità di attrarre fondi Ue».
Zagabria soffre di una «depressione sommata a politiche monetarie e fiscali restrittive, non una buona combinazione, soprattutto in vista dell’accelerazione della competizione che si registrerà da luglio», sostiene l’economista. Il quale tuttavia ricorda anche i benefici che derivano dall’integrazione europea: riforma della pubblica amministrazione e del sistema giudiziario, definizione di più alti standard in materia di ambiente e libertà politiche. La speranza è che alcuni svantaggi, come certe pressioni Ue per lo smantellamento del welfare, non vengano imposti anche ai croati. «La Ue non deve essere preoccupata solo dalla situazione locale», chiosa Cvijanovic, «ma da quella della maggior parte degli Stati membri. E focalizzarsi nella formulazione di politiche sociali che permettano loro di prosperare. Potete immaginare cosa ciò significherebbe in un’area che ha sperimentato un passato turbolento».
Come turbolento è il presente di una Ue "balcanizzata" dalle marcate divisioni tra Nord e Sud che anche in Croazia, malgrado i 600 milioni di euro di fondi Ue in arrivo già nel secondo semestre 2013, hanno fatto perdere appeal all’Ue. Alle storiche elezioni per l’Europarlamento, nelle quali i croati hanno appena scelto i loro primi 12 eurodeputati, l’affluenza è stata del 20,8 per cento, la più bassa mai registrata nel Paese per qualsiasi tipo di consultazione. Gli analisti oscillano nelle valutazioni di un dato così basso tra l’apatia dell’elettorato e la protesta. Chi di certo non ha votato, per protesta contro Bruxelles, sono i tanti che hanno di recente sottoscritto la petizione del movimento Sollevazione referendaria perché si rifaccia il referendum che nel 2012 ha sancito il "sì" croato all’Ue con il 66 per cento di favorevoli, ma con una partecipazione ferma al 43 per cento. «Abbiamo raccolto 116 mila firme», racconta Zoran Mihajlovic, uno dei promotori. Ne servivano 400 mila, obiettivo dunque fallito, ma quelle raccolte rivelano «una diffusa insoddisfazione verso la Ue, progetto utile solo alle banche. La Croazia verrà schiacciata una volta ammessa, anche se tutti i croati amano l’Europa come idea». Non tutti in realtà: stando ai sondaggi quattro croati su dieci sono contro.
Numeri che rivelano i timori del gran passo. Ma chi, alla fine, deve aver paura del matrimonio tra Zagabria e Ue? «Entrambi, la Croazia perché aderirà nel corso di una delle più gravi crisi finanziarie europee, mentre le misure di austerità stanno generando nazionalismo. La Ue perché anche la Croazia è in stagnazione, con alta disoccupazione, affari di corruzione e risorgente nazionalismo», risponde il filosofo Srecko Horvat. Nazionalismo che ha portato in piazza a Zagabria a inizio aprile 20 mila persone, per protestare contro la prossima introduzione a Vukovar, città martire della guerra dove ancora oggi vive una folta minoranza serba, di cartelli stradali in cirillico, l’alfabeto serbo, come prescritto dalla legge. Ma in fondo, dopo il premio Nobel per la pace alla Ue, l’ingresso di Zagabria, commenta Horvat, «rimane almeno per le élite al potere, la miglior legittimazione del progetto europeo. Anche se l’Europa ha ancora i suoi muri, come a Cipro, anche se osserva divisa la controversa guerra delle truppe francesi in Mali e ha problemi con gli immigrati, il messaggio è siamo in crisi, ma l’allargamento è ancora possibile e nuovi Paesi sono i benvenuti, Croazia inclusa».