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 2013  aprile 26 Venerdì calendario

«LA SCIENZA SA IL COME, NON IL PERCHÉ DELLA VITA»

Margherita Hack non ama le scorciatoie. O gli alibi. «Io della maggior fatica, in quanto donna, non ne sono mai stata cosciente. Alle ragazze mettono addosso dei complessi, fin da bambine, di essere meno adatte alla ricerca e poi il tetto di cristallo e tutte queste belle cose. A monte, smitizziamo. Se uno vuole riuscire, riesce. C’è meno fiducia spesso nelle donne, poca abitudine. Quindi tocca alle donne imporsi, pretendere di essere considerate. Non credo sia così difficile. Dipende da noi. Anche gli uomini che si oppongono, quelli che hanno poca fiducia in te, possono essere stimolanti. Ti obbligano a reagire». L’astrofisica italiana più famosa di sempre lascia questo testamento ideale alle scienziate che muovono oggi i primi passi nel mondo della ricerca. E non solo a loro, evidentemente. Dall’alto dei suoi 90 anni, semina pillole di saggezza, ripercorrendo una vita, la sua, straordinaria. Fin da quegli inizi, un po’ stentati, al liceo classico. «A scuola me la cavavo, i miei voti erano fra il 6 e il 7. In seconda ginnasio sono stata rimandata in matematica».
Allora è vero che non si nasce scienziati. Qual è il segreto del successo?
«Non ci sono segreti. Uno deve fare quello che gli interessa di più. A me piacevano la matematica e la fisica. Le altre materie meno. È stato tutto un po’ per caso. Mi sono iscritta a fisica, mi sono trovata bene, ho iniziato a lavorare per la tesi, a capire cosa volesse dire fare ricerca. Non è che si programma di fare lo scienziato. Capita. La scienza è una grande maestra. Insegna la pazienza, la tenacia, il sacrificio».
Quello che manca all’italiano medio?
«Siamo tutti uguali. C’è chi ha più costanza, chi meno. Perché ci vuole costanza, non bisogna scoraggiarsi. Ma non esistono popoli migliori o peggiori».
I politici hanno queste doti? Lei si è candidata molte volte. Poi ha rinunciato...
«Me l’hanno chiesto di candidarmi. L’ho fatto più per l’insistenza loro. Ma non è un tipo di lavoro che mi piaccia».
Non ci vuole forse uno scienziato per fare buona politica?
«Non necessariamente. Un buon politico si rende conto di quali sono i bisogni della società e sa come andare incontro a questi bisogni. Per esempio, oggi c’è tanta disoccupazione. Bisognerebbe metter su una serie di lavori pubblici per restaurare le nostre città e far lavorare la gente. Un buon politico troverebbe il modo per far lavorare più gente possibile».
Quando prese la cattedra di astronomia a Trieste, nel ’64, trovò un laboratorio quasi in stato di abbandono. Oggi è un centro con 100 ricercatori, noto a livello internazionale. Un buon esempio, dicono che l’Italia della ricerca è in crisi...
«C’è un’Italia che lavora. Dalle nostre università escono dei bravi ricercatori, infatti ce li cercano, ce li prendono. Vuol dire che son davvero bravi. Spesso si spreca quello che abbiamo. Come numero di ricerche pubblicate sulle riviste scientifiche non siamo mica messi male».
Cosa manca allora?
«Ci vorrebbe maggiore sicurezza per i giovani, che non hanno possibilità di andare avanti. Oggi vivono nella completa incertezza. Se un laureato è bravo, dopo un certo numero di anni dovrebbe avere un contratto a tempo indeterminato. Per potersi dedicare al proprio lavoro con tranquillità».
Colpa della crisi, si dice...
«Colpa di una riforma che ha tolto i contratti a tempo indeterminato ai giovani ricercatori».
Dice di essere stata una donna introversa e che, se non fosse stato per suo marito, forse avrebbe mancato anche qualche occasione. Dietro una grande donna c’è sempre un grande uomo?
«Aldo mi ha sempre aiutato, spinto. Per timidezza a volte non consideravo neppure la possibilità di lavorare con i più grandi astrofisici dell’epoca. O di chiedere borse di studio. Aldo è stato di incoraggiamento. In fondo, abbiamo bisogno tutti di aiuto nella vita, di essere incoraggiati e non delusi».
Non le piace la filosofia, eppure nel libro si pone tanti interrogativi, tanti perché che sono poi gli stessi che si sono sempre fatti i filosofi. E non sa le risposte.
«La scienza spiega il come ma non il perché dei fenomeni. Le osservazioni mi permettono di capire come si è evoluto l’universo, di cosa sono fatte le stelle, perché brillano. La scienza non mi spiega però perché è così, perché ci sono queste leggi della natura. Sono dati di fatto che dobbiamo accettare. E non ci spiegano l’esistenza di Dio».
Bisogna essere atei per essere buoni scienziati?
«No, non necessariamente».
Ha paura della morte?
«No, assolutamente no. Non ha senso. Io non credo ci sia nulla dopo la morte. Resterà la mia materia, quella di cui sono fatta io, che servirà a fare altre cose. Altri oggetti, altre persone, altri esseri viventi. Io non ci sarò più. Perché averne paura?».
A proposito di materia, anzi di materia oscura. Riusciremo a capire questo grande mistero dell’universo?
«Certo. Potrebbe anche essere un falso problema, dovuto a misure sbagliate».
Crede nella teoria dell’unica legge fisica che spieghi l’universo, la legge del tutto?
«Sono chiacchiere. Esistono leggi fisiche che spiegano il mondo, e potrebbero anche essere collegate tutte fra loro. Ma l’importante è riuscire a capire come funziona il mondo. La scienza lo scoprirà. Che poi la si chiami legge del tutto o con nomi diversi ha poca importanza».