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 2013  aprile 26 Venerdì calendario

ALL’ETÀ DI SETTANT’ANNI IL PICCOLO PRINCIPE PERDONA CHI L’HA UCCISO: IL NIPOTE DI SAINT-EXUPÉRY HA INCONTRATO IL PILOTA TEDESCO CHE ABBATTÉ LO SCRITTORE-AVIATORE. 
E I DUE VECCHI SOLDATI SI SONO STRETTI LA MANO

ALL’ETÀ DI SETTANT’ANNI IL PICCOLO PRINCIPE PERDONA CHI L’HA UCCISO: IL NIPOTE DI SAINT-EXUPÉRY HA INCONTRATO IL PILOTA TEDESCO CHE ABBATTÉ LO SCRITTORE-AVIATORE. 
E I DUE VECCHI SOLDATI SI SONO STRETTI LA MANO –
Il braccialetto luccica come lo scrigno d’acqua, trafitto dal sole, nel quale sparì una luminosa mattina d’estate: uno di quei giorni che cielo e mare si sottraggono a vicenda l’orizzonte così come si portarono via per lui, Antoine de Saint-Exupéry, senza più farlo passare per la terra. Un Icaro generoso e impetuoso, che aveva forzato il suo reintegro nella squadriglia, bruciato all’ultimo volo: quella sera stessa il capitano Gavoille, comandante del gruppo 2/33 di stanza in Corsica, avrebbe appiedato «il pilota di guerra più vecchio del mondo» – come Saint-Ex sorrideva di sé, (dis)armato anche quel mattino solo di una macchina fotografica e della sua stilografica – che quel braccialetto americano, addì 31 luglio 1944, portava al polso.
«Sembrerà che io mi senta male… Sembrerà un po’ che io muoia. È così. Non venire a vedere, non vale la pena», aveva fatto dire, proprio in America, l’anno prima – impugnando gli acquarelli oltre alla stilografica – a un bambino «dai capelli d’oro», il ritratto di quand’era piccino: al suo Piccolo Principe «apparso sulla terra e poi sparito». Epperò, senza mai andarsene davvero, se da 70 anni esatti quel bambino biondo abita ancora questo nostro pianeta – che scese a visitare dal suo asteroide B 612 – avendolo (dis)seminato ormai di 145 milioni di copie con il suo nome in tutte le lingue e i dialetti del mondo, ché le sue traduzioni sono arrivate a essere oggi 270. Inferiori, per numero, soltanto a quelle della Bibbia.

Impigliati nelle pagine. Il braccialetto luccica come un’intermittenza del cuore, sotto lo sguardo accaldato di una lampadina, nella teca di vetro che lo contiene, al 21 di rue de l’Université, a Parigi, dove (da domani) è in mostra per festeggiare (assieme a disegni e manoscritti originali) il compleanno di quel settantenne bambino dai riccioli d’oro, ingenuamente saggio già allora. Rimase impigliato, quel braccialetto con impresso il suo nome – e quello dell’editore americano del Piccolo Principe, Reynal and Hitchcock, che a Saint-Ex lo donò – nella rete di un pescatore, nel mare che guarda la Provenza, così come milioni di lettori sono rimasti impigliati nelle pagine di quel piccolo libro per bambini diventato un grande libro per adulti, con quella sua didattica, mai andata fuori corso, fatta di legame&partecipazione, impegno&responsabilità. E racchiusa in quel comando che Saint-Ex – padre, fratello e figlio del bambino in cui si specchiò – dette alla sua vita aerea e appassionata, per visione e professione che incantò Sartre: «L’avenir tu n’as point à le prévoir mais à le permettre». Il futuro non va previsto ma reso possibile.

Nato con l’aviazione. Quando me ne andrò «non venire a vedere. Non ne vale la pena. Sembrerà un po’ che io muoia. È così». E difatti nessuno vide – o chi vide tacque a lungo – quando si inabissò (proprio come il Fabien di Volo di notte, il suo primo romanzo, prefazione di Gide) infilato in quella tuta di cuoio che ormai lo faceva sembrare il bibendum della Michelin. Dentro una carlinga che conteneva a malapena il pezzo d’uomo che era diventato. Ai comandi di un aereo americano, il Lightning P38, che filava a velocità inimmaginabile per il pilota che Saint-Ex era stato fin lì: per il bambino che aveva volato a 12 anni; per il pilota che divenne nel ’21; e poi, per l’uomo di Aéropostale a Capo Juby, sulla rotta Tolosa–Dakar nel ’27; e per il direttore di Aeroposta in Argentina nel ’29; e per il trasvolatore che cadde due volte (tre giorni a vagare nel deserto Libico dove si schiantò dopo 19 ore di volo nella Parigi-Saigon del ’35 e in coma in Guatemala, le ali spezzate nella New York-Terra del Fuoco del ’38); e persino per il Pilota di guerra in ricognizione, solo quattro anni prima, sui cieli già perduti di Arras – prima dell’esilio americano, per chiedere agli Usa di intervenire nel conflitto – mentre per la Francia è la disfatta.
Perché, come disse John Phillips, l’ultimo a fotografarlo prima che si bruciasse le ali, tenendolo inquadrato nel suo obiettivo mentre rullava sulla pista, pronto a decollare verso l’addio, «lui e l’aviazione avevano pressappoco la stessa età (Saint-Ex era nato il 29 giugno 1900, ndr) ed erano cresciuti insieme, legati da un amore profondo quando l’aviazione francese era agli esordi come servizio postale al tempo in cui gli aerei erano più lenti delle auto veloci. Ma quando riprese a volare nel ’43, Saint-Exupéry e l’aviazione non erano più coetanei. E ci teneva col fiato sospeso quando il suo aereo compariva sul campo». Il suo tempo volante era finito e lui, in qualche modo, lo sentiva.
Sicché su quell’aereo che mai fece ritorno, le leggende crebbero a dismisura. Come neanche i baobab sull’asteroide del Piccolo Principe quando «non si fa con cura la pulizia del pianeta» – oggi «espressione di moderna ecologia», come suggerisce lo scrittore Jean-Pierre Guéno mostrando l’allestimento a tema della mostra. E così il destino dell’ultimo volo di Saint-Ex fece precipitare, con lui, pure la fama mondiale di uno scrittore ridotto, da un Paese che non lo ha mai amato troppo, in un romanziere banale e in filosofo-da-boy-scout («Non era marxista e non era gaullista e fece la fine di Camus», afferma Olivier d’Agay, il pronipote e direttore della Succession Antoine de Saint-Exupéry- d’Agay) a vantaggio dell’epico pilota che svanì nel nulla.
E che forse volle suicidarsi, puntando il mare, per congedarsi da un mondo che non riconosceva più. O forse finì per schiantarsi sulle Alpi, per mancanza di ossigeno, lui che dal boccaglio americano respirava le vernici «e l’aria di New York sul cielo di Francia». O forse venne colpito dal nemico perché decise di volare, per l’ultima volta, sopra Agay e i luoghi dell’infanzia. O forse perché il suo aereo fu sabotato, lui e De Gaulle così invisi uno all’altro. O forse volò via come il Piccolo Principe – il libro che in Francia uscì solo dopo la sua morte, il libro che lo consacrò, da disperso della letteratura, ma costringendolo in una taglia troppo stretta, come la sua ultima tuta da pilota – guadagnando il cielo e le stelle, appeso a uno stormo di uccelli. E imprendibile per qualsiasi stormo di caccia. Un’immagine, tra sogno e poesia, che è rimasta sempre impigliata alla sua sorte. Infine nota.

Leggenda continua. Perché, ogni dieci anni, queste versioni si sono date il cambio («Volle sparire», «Lassù in volo, ucciso dall’ebrezza», «Il rivale di De Gaulle», «Attaccò per gioco due aerei tedeschi che lo colpirono»), passandosi un testimone senza testimoni: solo impressioni, illazioni, opinioni in libertà. Fino a quando quel braccialetto, ripescato nel 1998, cominciò a parlare: la tomba di Saint-Ex non era sulle vette alpine, né in faccia a Hyeres o Frejus, ma davanti a Marsiglia. E difatti su quei fondali, nel 2008, è stato localizzato l’aereo e di lì a poco rintracciato, grazie al lavoro di ricerca di Jacques Pradel e Luc Vannel, oltre al relitto anche il nome del pilota tedesco che, ai comandi di un Masserschmitt BF109, quel giorno di luglio trafisse a morte un Lightning P38, facendolo precipitare in mare.
Quel pilota aveva divorato tutti i libri di Saint-Ex, un mito per gli aviatori di ogni Paese. Quel pilota non avrebbe mai voluto uccidere Saint-Ex e decise che non avrebbe raccontato mai ciò che fece e vide: e cioè, nessuno che si lanciò col paracadute, nessuno che riapparve in superficie. Spiega Olivier d’Agay, dopo che, per anni, la famiglia non ha voluto sposare alcuna ipotesi: «Non ne abbiamo la prova inconfutabile, ma è molto probabile che sia andata così. Quel pilota della Luftwaffe quel giorno era lì». E solo chi era là poteva sapere che il volo di Saint-Ex, quel giorno, era un “vol louvoyant”: che procedeva come zigzagando. A quota molto più bassa, quindi attaccabile, di quella prevista. E senza mostrare alcuna intenzione di allontanarsi in fretta dal caccia tedesco. Tutte condizioni che, in qualche modo, tengono viva pure la leggenda del Santo Aviatore nelle sue innumerevoli ramificazioni.

Il tempo ritrovato. Mancava però un ultimo gesto, perché il Piccolo Principe potesse riposare in pace nella sua bara di mare. Un gesto di riconciliazione. Che è appena avvenuto, anche se è stato tenuto segreto. Due vecchi soldati, quasi coetanei, si sono incontrati. E si sono stretti la mano.
François d’Agay, il maggiore dei figli di Gabrielle, l’unica dei cinque fratelli Saint-Exupéry ad aver avuto eredi, aveva diciott’anni quando uscì (solo in America) il Piccolo Principe. E non ne aveva ancora venti quando partecipò alla Liberazione della Francia, combattendo nella Provenza che zio Antoine – incrociato l’ultima volta nel ’40, prima dell’esilio newyorchese – aveva sorvolato, l’ultimo giorno della sua vita, proprio per monitorare il nemico, in preparazione dell’offensiva di due settimane dopo. François combatté senza sapere, all’inizio, che Saint-Ex era stato ucciso.
Horst Rippert, aviatore tedesco attivo sui cieli di Avignone e di Orange durante la guerra, aveva 19 anni nel ’41, quando diventò pilota di guerra. E ne aveva 23 quando, la mattina del 31 luglio 1944, incrociò un Lightning P38 che volava basso. Horst lo colpì senza sapere che avrebbe ucciso Saint-Exupery.
Oggi François d’Agay ha 88 anni e Horst Rippert ne ha 91. L’incontro tra i due vecchi soldati, allora giovani figli di quel folle massacro al quale sono sopravvissuti, è stato doloroso ed emozionante. Si lascia scappare Olivier d’Agay: «È vero, si sono visti. E si sono trovati di fronte come due vecchi soldati. Si sono raccontati quello che dovevano raccontarsi». Horst Rippert ha ripetuto: «Se avessi saputo che era su quell’aereo non avrei sparato. Non su quell’uomo». Lui che, durante il conflitto, riportò 28 successi in duello, accreditati sul registro di Friburgo, e una sconfitta: aver tagliato le ali a quell’albatro che Saint-Exupéry era diventato, imprigionato in un fisico, in un’età e in un mondo che faticava a guardare con gli stessi occhi grazie ai quali aveva trovato le parole per far volare, lungo la sua rotta di carta, piloti e suggestioni. E fotografare paesaggi e sensazioni, come nessun altro, dall’alto, aveva mai saputo fare. E monsieur Olivier: «Credo che lo zio François, alla fine, lo abbia perdonato».
François d’Agay è un signore distinto che fa gli onori di casa. È il presidente della Succession ma è anche il ragazzo che lo zio, nel ’40, incoraggiò a lottare per la Francia. Ed è l’uomo che alla domanda su «cosa abbia provato, incontrando l’uomo che abbatté il Piccolo Principe sui cieli di Marsiglia» ha un lampo negli occhi e un groppo in gola. E un moto di leggero fastidio per il segreto ormai rivelato: «Raccontare non si può. Forse bisognerebbe scriverla questa storia: due vecchi reduci che si sono ritrovati».

Coltivare il pianeta. Una storia che sarebbe piaciuta a suo zio. E che a suo zio sarebbe piaciuto scrivere. Una storia che suo zio, la sera prima di morire, forse scrisse davvero, sotto forma di una lettera a Pierre Dalloz, che porta la data del 30 luglio 1944: «Sotto la minaccia della guerra, sono più nudo e più spoglio che mai. Assolutamente puro. L’altro giorno mi hanno sorpreso due caccia. Sono sfuggito appena in tempo (…). Ma che solitudine spirituale. Se verrò abbattuto, non rimpiangerò assolutamente niente. Il termitaio futuro mi spaventa. E odio la loro virtù di robot. Io, io ero fatto per essere un giardiniere».
Per il “cultiver votre jardin” come quel candido fanciullo del Piccolo Principe, puro e spregiudicato assieme, che si prese cura della sua rosa. Quella di Saint-Ex aveva nome Consuelo ed era sua moglie, sposata contro il volere di maman Marie – la donna forte della sua vita – e tradita per le tante Annabella e Sylvia, Vera e Natalie. Il suo mondo fatto di donne che non ha cantato, preso nell’esercizio virile di Terra degli uomini e di Corriere Sud, ma che a quel canto hanno fornito sonorità e sensibilità tutte femminili. Visibili soprattutto nel Piccolo Principe, che porta i suoi 70 anni a meraviglia. «Un libro che ha sempre incontrato il favore del pubblico femminile», spiega Olivier d’Agay, «forse perché è un ritorno al mondo dove Antoine è cresciuto: circondato da donne dopo la morte del papà e dell’unico fratello, il 15enne François». Secondo Guéno, un bambino che ha avuto un posto d’onore «nel cuore del Piccolo Principe quando afferma “sembrerò morto e non sarà vero”». Prima di volare via.
Volare. Se viaggiare fu per lo scrittore-aviatore l’unico verbo coniugabile alla sua vita, beh, volare è stato il suo ausiliare del cuore. Perduto il padre (un infarto) in una stazione ferroviaria, bocciato (due volte) all’ammissione alla Scuola Navale, costretto per campare a girare la Creuse in auto (da rappresentante) per vendere camion, Saint-Ex scelse – con (e come) trasporto – di guardare il mondo, anche quello tragico di Lettera a un ostaggio e di Pilota di guerra, dal suo asteroide con gli occhi di un Piccolo Principe che si impegna eticamente in tutto ciò che fa: «Il mestiere di testimone mi ha sempre fatto orrore. Che cosa sono, se non partecipo? Ho bisogno, per essere, di partecipare». Per questo quel bambino biondo di 70 anni, caduto dal cielo giusto in tempo, prima che il suo creatore si inabissasse – un bambino, in questo odierno mondo, più extraterrestre di quanto lo fosse allora – si fa ancora leggere così tanto e quasi ovunque: ha ancora parecchio da insegnare, ma con quella sua delicatezza di chi non vuole farti la morale.