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 2013  aprile 26 Venerdì calendario

NEW YORK IL POPOLO DEL SOTTOSUOLO

Monir è steso sopra un materasso in una stanza buia, dentro un seminterrato del Queens: fuma e indossa un sarong. Ha una cinquantina d’anni e ha perso gran parte dei suoi capelli e del suo spirito vitale. Ha lasciato il Bangladesh 36 anni fa: prima è andato in Germania, dove ha lavorato nei ristoranti, poi a New York e poi nel Michigan, dove ha comprato una casa che ha perso durante la crisi dei pignoramenti. È tornato per un periodo in Bangladesh e ora è di nuovo a New York: guida un taxi e guadagna soldi che manda a casa ai suoi tre figli; la più grande sta per laurearsi in medicina. Qui non ha nessuna rete di supporto finanziario, nel caso le cose gli dovessero andar male. Perciò, negli ultimi due anni e mezzo, è stato costretto a vivere sotto terra in questa cella senza finestre: perché costa solo 300 dollari al mese, riscaldamento, elettricità e televisione compresi.
Nella parte anteriore dell’appartamento c’è un salotto, poi tre porte di legno lungo il corridoio, che danno accesso ad altrettante stanzette. Di fronte a ogni porta ce n’è un’altra, con un numero da 1 a 3: sono i vani dove ognuno dei residenti può stipare la sua roba. Sul retro c’è una cucina e il locale caldaie, e delle scale che portano a un cortile cosparso di spazzatura.
Monir non ha finestre, noto guardando la sua stanza di circa tre metri per tre che contiene, oltre al materasso, una sedia, una scrivania, un armadio pieghevole in vinile e un calendario appeso al muro. «Sì che ce l’ho una finestra», risponde lui indicando un’apertura di 15 centimetri per 30 vicino al soffitto, coperta con la plastica.
C’è aria a sufficienza nell’appartamento, insiste lui. In estate mettono un condizionatore portatile in salotto. L’ingresso posteriore è sempre aperto e non hanno paura dei ladri perché intorno al cortile c’è una staccionata di oltre due metri. Peraltro i ladri non avrebbero molto da rubare nel loro appartamento: i mobili sono di quelli che si lasciano sul marciapiede quando passano i camion della raccolta differenziata e gli
unici apparecchi elettronici sono un televisore a schermo piatto di medie dimensioni e un lettore dvd. Ma l’appartamento è pulito e accogliente. E anche illegale.
I newyorchesi che vivono come Monir sono mezzo milione, sparpagliati nei 100-200mila spazi sotto le case che si trovano in tutta la città. Quando metà o più dell’appartamento è situata al di sotto del livello stradale tecnicamente si tratta di una “cantina”, che secondo la normativa edilizia del Comune non può avere l’abitabilità. Il padrone di casa di Monir potrebbe essere condannato a un anno di carcere o a una multa fino a 15mila dollari per far vivereMonir nel suo seminterrato.
La stragrande maggioranza di queste cantine riadattate si trova nei quartieri per immigrati del Queens e di Brooklyn. In alcuni casisitrattadisqualliditugurisenza arianéluce;inaltricasisonoposti dove potremmo vivere anche voi e io. Alcuni vengono affittati da padroni di casa senza scrupoli che si approfittano di inquilini che non conoscono i loro diritti o non sono in grado di farli valere. Altri sono sistemazioni comunitarie dove l’inquilino e il proprietario della stessa origine etnica diventano un’unica famiglia, dandosi una mano a vicenda per orientarsi nella nuova nazione.
La definizione di “emergenza abitativa” per lo Stato di New York è quando la percentuale di case sfitte scende sotto al 5 per cento (che significa che c’è una forte domanda di case in affitto e quindi i prezzi salgono): attualmente in città siamo al 2,1 per cento. Metà di tutti i newyorchesi spende più di un terzo del proprio reddito per l’affitto; un terzo spende più della metà. Queste persone hanno un disperato bisogno che ci siano più alloggi e a un prezzo più contenuto. Una delle soluzioni più ovvie sarebbe legalizzare gli alloggi nei seminterrati, ma pochi politici sono disposti ad affrontare la questione, per paura di alienarsi le simpatie di tutti quelli, nei consigli di quartiere, che vogliono questa misura, ma non nella loro zona. Il risultato è che centido,
naia di migliaia di newyorchesi vivono in una sorta di zona grigia, in clandestinità e al tempo stesso sotto gli occhi di tutti.
Tutti sanno che ci sono persone che vivono illegalmente nei seminterrati e queste persone restano lì perché il Comune non saprebbe dove metterle se fossero sfrattate. Eppure le autorità e i politici non sono disposti a legalizzare questi alloggi, evocando pericoli di densità abitativa, sovraffollamento delle scuole e carenza di posti auto.
Mi sono reso conto della vastità del problema quando sono andato a fare un giro per il quartiere di Jamaica, nel Queens, in un giorno di giugno caldo e umido, accompagnato dal personale di Chhaya, un’organizzazione per lo sviluppo del quartiere che stava conducendo un’inchiesta sulle cantine riadattate illegalmente ad appartamento. «Noi siamo vecchio stampo», mi ha detto Seema Agnani, la direttrice dell’organizzazione. «Bussiamo alla porta».
Ci siamo messi in marcia lungo strade costeggiate da villette monofamiliari, addossate le une alle altre, dove vivono famiglie afroamericane e afrocaraibiche. In ogni isolato c’erano un paio di case abbandonate, chiuse con assi di legno. «La Commissione edilizia ha stabilito che le condizioni di questo stabile mettono a rischio l’incolumità», recitava, con qualche errore di ortografia, il cartello fuori da una casa in pietra, che sfoggiava anche un altro cartello più allegro con sopra scritto “La Petite Maison”. «Qui tantissima gente ha perso la casa», ci ha detto una donna greca di passaggio. Ma “La Petite Maison” non era completamente abbandonata: sulla ringhiera erano stesi ad asciugare i pantaloni di una tuta.
Sopra il marciapiede c’era una massa di cavi neri: fili dell’elettricità, cavi della tv. Le linee finivano a casaccio dentro le case, senza un ordine chiaro.«Se c’è una tempesta, tutto l’isolato potrebbe rimanere al buio», ha osservato Agnani. In un’intersezione c’era un cavo elettrico che era stato tranciato e pendeva giù, a un metro e mezzo dalle nostre teste. Le diramazioni dalla linea principale forse erano opera di residenti che rubavano l’elettricità o i servizi via cavo. Uno degli indizi di una cantina convertita ad alloggio era quando in una villetta monofamiliare c’era più di una diramazione. Altri indizi erano la presenza di campanelli, cassette delle lettere e ingressi in più o di uno sdoppiatore di cavo. Tutti questi indizi venivano sui formulari della Chhaya. Secondo l’inchiesta, l’82 per cento delle case monofamiliari visitate a Jackson Heights e a Jamaica mostravano indizi che il seminterrato fosse abitato.
In questo momento il Comune sembra aver adottato una politica di benevolo disinteresse verso il problema degli alloggi illegali nei seminterrati, anche se pubblicamente è per la linea dura. Secondo una verifica sull’operato delle autorità comunali rispetto alle denunce di conversioni illegali di spazi seminterrati ad uso abitativo nel 2008, la Commissione edilizia ha condotto 23.410 accertamenti sulla base delle denunce presentate. Nel 67 per cento dei casi i funzionari del Comune non hanno potuto accedere all’edificio, nello 0,5 per cento dei casi gli ispettori hanno richiesto un mandato di accesso. Le ordinanze di sgombero emesse sono state in tutto appena 657. Nessuna delle proprietà per cui è stata emessa l’ordinanza è stata poi oggetto di ispezioni per accertarsi che i proprietari avessero ottemperato a quanto disposto. Circa i tre quarti dei nuovi alloggi aggiunti nel Queens negli Anni ‘90 sono illegali.
Qualche politico in città comincia ad accorgersi del problema. Un rapporto diffuso a dicembre dal presidente del borough di Manhattan Scott Stringer osserva: «Continuare con la situazione attuale è pericoloso e inaccettabile. Migliaia di unità abitative accessorie (come vengono chiamati i seminterrati nel gergo burocratico,
ndr) ormai sono collegate alle reti e occupate. Se continueranno nell’illegalità sarà difficile adeguarle alle normative edilizie e violeranno le norme antincendio, le regole sulle vie di fuga e altre normative di sicurezza. Bisogna avviare un processo che porti alla legalizzazione di questi appartamenti».
Gli avversari della legalizzazione spesso tirano fuori storie raccapriccianti di gente che muore tra le fiamme, dato che molti dei seminterrati hanno solo una via d’uscita. Io stesso ho visto tantissimi appartamenti che sono autentiche trappole per topi, come uno dove i sei inquilini, senza corrente da venti giorni, usavano delle candele e una prolunga dall’appartamento al piano terra per illuminare il seminterrato. Se il cavo avesse fatto cortocircuito o la candela fosse caduta, avrebbero rischiato di morire bruciati nel sonno, visto che l’allarme antincendio non funzionava.
Ma se il Comune legalizzasse appartamenti come quello di Monir, che hanno due ingressi, potrebbe risparmiare risorse e concentrarsi su quelli che sono davvero insicuri. Trentacinque appartamenti illegali su cento potrebbero essere resi legali mediante modifiche minori delle leggi e dei regolamenti, secondo un’indagine del Chhaya e del Pratt Center.
Molte altre amministrazioni pubbliche, per esempio il Comune di Santa Cruz e lo Stato di Washington, hanno rivisto i loro regolamenti urbanistici legalizzando le «unità abitative accessorie», senza alcun effetto nefasto sui quartieri. Se il Comune di New York facesse altrettanto, dice il rapporto di Stringer, «questa riforma porterebbe alla luce le oltre 100mila unità convertite illegalmente a uso abitativo e farebbe in modo che questi appartamenti continuino a costituire una parte essenziale dell’offerta di alloggi a buon mercato in città».
Che cosa comporterebbe la legalizzazione per una persona come Monir? «Mentalmente vivi più rilassato perché non sei illegale. Specialmente se vivi con bambini, se hai una famiglia.
Puoi chiamare la polizia, un’ambulanza: non hai esitazioni». Oggi, se dovesse cadere e farsi male, Monir ci penserebbe due volte prima di chiedere l’aiuto delle autorità. Potrebbero venire i poliziotti e portarlo all’ospedale, ma anche denunciarlo perché vive in un alloggio illegale. Perciò Monir non chiede mai nulla al Comune, anche se è un cittadino. Non può mai chiedere l’attivazione di un’utenza a suo nome: deve affidarsi alla generosità di persone che vivono legalmente ai piani superiori e sono disposte a condividere le utenze con lui. «È illegale, mal’amministrazione lo sa»,fa notare lui. Gli appartamenti sotto terra sono per «le minoranze, i poveri o i nuovi arrivati». Piaccia o non piaccia a chi ci vive vicino, i seminterrati sono ovunque e le persone che ci vivono non se ne andranno tanto presto.