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 2013  aprile 26 Venerdì calendario

Notizie tratte da: Pasquale Chessa, L’ultimo comunista. La presa del potere di Giorgio Napolitano, Chiarelettere 2013, 13,90 euro

Notizie tratte da: Pasquale Chessa, L’ultimo comunista. La presa del potere di Giorgio Napolitano, Chiarelettere 2013, 13,90 euro.

(vedi anche biblioteca in scheda 2235851
e libro in gocce in scheda 2237082)

• Giorgio Napolitano nelle biografie di Togliatti non è mai citato. Paolo Spriano lo nomina una sola volta in una nota a pie’ di pagina alla fine dell’ultimo dei suoi volumi della Storia del Partito comunista (Einaudi). Nel volume successivo della stessa opera, scritto da Renzo Martinelli, Napolitano non c’è. Negli ultimi due volumi della Storia d’Italia di Giovanni Sabbatucci e Vittorio Vidotto (Laterza) figura una sola volta nel testo e un’altra in nota.

• Napolitano secondo Luigi Compagnone: «Nu guaglione fatt’a viecchio».

• L’aneddoto del pernacchio uscito dalla bocca del poeta Paolo Ricci il giorno in cui Napolitano, nel suo studio, si lasciò convincere a recitare a occhi chiusi una scelta di malinconici versi di Salvatore Di Giacomo.

• «Il suo stemma araldico dovrebbe essere un coniglio bianco in campo bianco» (Giuliano Ferrara).

• «Napolitano era ed è un protagonista laterale […], la sua tonalità preferita è quella sobria di chi affronta con sobrietà i cambiamenti» (Edmondo Berselli).

• «Comunista liberale alla napoletana» (Raffaele La Capria).

• A Pertini si attribuiscono 341 esternazioni, a Cossiga 736, a Scalfaro 967, a Ciampi più di mille. «Era stato Cossiga a prevedere che il “postcomunista” Napolitano, “data la caratura politica”, avrebbe superato ogni limite precedente».

• Eletto la prima volta al Quirinale, i sondaggi mostrano un gradimento tra la gente superiore al 60%. Poi comincia a salire fino a sfiorare il 90% nell’estate 2011. Nelle prime rilevazioni del 2013 arriva al 92%.

• «In questi sei anni di Quirinale ho potuto meglio comprendere come il presidente della Repubblica italiana sia forse il capo di Stato europeo dotato di maggiori prerogative» (Giorgio Napolitano a Eugenio Scalfari, 5 luglio 2012).

• Sedicenne sfollato a Padova con tutta la famiglia per sfuggire ai primi bombardamenti inglesi, ospite della sorella della madre, frequenta in anticipo la terza liceo al “Tito Livio”. Rientrato a Napoli, è costretto dal padre avvocato a scegliere gli studi giuridici a discapito delle sue inclinazioni letterarie. S’iscrive ai Guf, l’associazione dei giovani universitari fascisti. Nel 1942 scrive di critica cinematografica per il giornale “IX maggio”. A quei tempi mette in scena al Mercadante di Napoli un testo teatrale di Eugene O’Neill, “In viaggio per Cardiff”.

• Avvicinatosi al comunismo, nel 1944 porta a Curzio Malaparte, allora residente a Capri, la rivista “Latitudine”. Annota Malaparte: «Alle 11 è venuto a trovarmi Giorgio Napolitano. Un giovane molto intelligente». Diventano assidui. Ad aprile Malaparte chiede a Togliatti l’iscrizione al Pci: ottiene invece di scrivere per l’Unità con lo pseudonimo di Gianni Strozzi, inviato al seguito degli angloamericani per raccontare la liberazione dell’Italia dai neonazisti. Il suo stile non passa inosservato: lo scoprono quelli del Pci romano che, in un’assemblea infuocata, lo giudicano indegno di scrivere sul giornale fondato da Gramsci. Malaparte non scriverà più per l’Unità e si convertirà subito all’anticomunismo più viscerale. Con Napolitano non si saluteranno più fino alla morte dello scrittore, avvenuta nel 1957.

• La sua vita a Capri: studia l’inglese prendendo lezioni da Maria Miradois, tedesca poliglotta, e lavora presso la Croce rossa americana che sull’isola ha allestito un campo di riposo per aviatori dove già lavora sua madre Carolina.

• A Napoli alla fine del 1944 gli viene affidata l’iniziativa Alleanza culturale napoletana con l’obiettivo di radicare il Pci nelle classi medie partenopee e scegliere i nuovi comunisti fra i giovani rampolli della borghesia. Soddisfazione quando riesce ad avere in una conferenza il suo poeta preferito, Paul Éluard.

• Napolitano s’iscrive al Pci nel novembre del 1945. Per cercare di far cambiare idea al padre, contrario, si rivolge al padrino Gherardo Marone. Questi, avvocato antifascista, intellettuale e poeta, era stato al fianco del padre di Napolitano nella difesa di Giorgio Amendola.

• Il padre Giovanni Napolitano, avvocato e autore prolifico di opere letterarie (tra cui “La volontà di vivere”, il saggio “L’amante di Lady Chatterley o del pudore”). Anche poeta, si trovarono versi scritti dopo la nascita del secondogenito Giorgio: «Nella gioia di stringerli, / ora, eccomi fatto diverso: / stanco d’aver finito, / sono pronto a ricominciare, / pur di vederli giocare / e portar loro ogni giorno / con un giocattolo / una nuova immagine dell’universo».

• La madre Carolina Bobbio, di famiglia piemontese scesa nel meridione. A Napoli incontra e sposa Giovanni Napolitano che viene da una famiglia di piccoli ma benestanti proprietari di terre.

• Fratelli: Massimo, classe 1922, Riccardo del 1928, Maria Giacinta del 1931. Giorgio è il secondogenito, nato nel 1925. Massimo era un noto architetto (morto nel 2004), Riccardo, iscritto al Pci, animatore con Zavattini dei Circoli del cinema, ideatore delle Giornate del cinema di Venezia e tanto altro ancora (morto nel 1993). Grande riserbo sulla sorella Maria Giacinta, sposata con un ufficiale dell’esercito americano, ora residente in una casa di riposo a Roma.

• Poesia che secondo la vulgata (smentita più volte dal Quirinale) è stata scritta da Giorgio Napolitano con lo pseudonimo di Tommaso Pignatelli: «Aggio veduto mamma mia / scenne a coppa ’a Vesuviana / cu na prejézza ’nta ll’uòcchie, / ammagliat’ ’e na suttana / comme nu bracalasso / […] Nun m’ha guardato. Aggio allucato: / “Mammà, so’ i’, o carnente tujo. / Nibba! Nun m’ha accumenito […]» (ho visto mia madre scendere dalla Vesuviana con un’allegria negli occhi, cinta da una sottana come un fantasma […] Non mi ha guardato. Ho gridato: “Mamma sono io, tuo figlio”. Niente! Non mi ha riconosciuto».

• Il primo lavoro politico di Napolitano: fare da vicepresidente del Ciem, Centro economico italiano per il Mezzogiorno. Napolitano ricorda «il bagno di concretezza», l’impegno «altamente istruttivo» nato dal confronto diretto con la cultura del capitalismo industriale. Presidente del Ciem era Giuseppe Paratore, già ministro dell’Economia nel governo Facta (l’ultimo prima di Mussolini) e nuovo presidente dell’Iri. Era coinvolto nel progetto anche Giuseppe Cenzato, che durante il fascismo aveva ricoperto un ruolo di primo piano nella Società meridionale di elettricità (Sme).

• Nel 1951 Napolitano diventa segretario della federazione di Caserta. È eletto alla Camera nel 1953.

• A Napolitano il compito di ribadire e difendere la linea del Pci a favore dell’intervento sovietico in Ungheria al V congresso provinciale della federazione comunista di Caserta e all’VIII congresso del Pci a Roma (8-14 dicembre 1956). «È un documento esemplare di applicazione retorica del “paradosso togliattiano”: difendere il ruolo del Pci impegnato a rafforzare la democrazia “borghese” in Italia, premessa di una compiuta rivoluzione socialista, meglio se per via parlamentare, senza concedere niente alla revisione della storia ideologica del comunismo che nell’Urss trova, per definizione, la sua massima rappresentazione internazionale».

• Nel 2006, anno della prima elezione al Quirinale, fu invitato a Budapest per commemorare le vittime dell’invasione sovietica. Nove reduci del Cinquantasei scrissero una lettera per chiedergli di non partecipare: «Napolitano in quel tempo non era un bambino e aveva un’opinione. La comunità dei veterani del ’56 sente che quest’uomo non deve partecipare alle commemorazioni. Chissà cosa direbbero quelli che sono stati impiccati in seguito alla repressione». Risposta di Napolitano sull’Unità: «La mia riflessione autocritica sulle posizioni prese dal Pci, e da me condivise, nel 1956, e il pubblico riconoscimento da parte mia ad Antonio Giolitti “di aver avuto ragione” valgono anche come pieno e doloroso riconoscimento della validità dei giudizi e delle scelte di Pietro Nenni, e di gran parte del Psi, in quel cruciale momento».

• Napolitano, a settembre 2006, depositò un mazzo di fiori sulla tomba di Imre Nagy: «Anche tra quanti non compresero l’autentica natura della rivoluzione ungherese nel momento in cui veniva sopraffatta dalla violenza dell’intervento sovietico, vi fu chi giunse poi – rivedendo radicalmente le proprie posizioni – alla chiara consapevolezza del significato di quello storico evento».

• Nel 1957 Napolitano lascia il ruolo di segretario della federazione comunista di Caserta per assumere la direzione della commissione meridionale del partito a Napoli. Confesserà anni dopo di aver partecipato in prima persona alle decisioni che portarono nel 1959 alla scelta di Taranto per la costruzione voluta dall’Iri di un «centro siderurgica a ciclo integrale».

• Nel 1961 al comitato centrale riunito a Roma, sostiene le posizioni di Giorgio Amendola in dissenso con Togliatti, denunciando la scarsa democrazia interna e l’abbandono della critica allo stalinismo. Per la prima e unica volta l’Unità non pubblica i resoconti e la risposta di Togliatti è secretata. Napolitano viene nominato segretario della federazione napoletana e, su espressa decisione del partito, deve dimettersi dalla carica di parlamentare per incompatibilità.

• Come segretario a Napoli organizza convegni sull’Iri, sul porto di Napoli, sull’industrializzazione, lotta per l’unità delle sinistre almeno sul piano sindacale. Tutti impegni che gli danno ragione alle elezioni: nel 1963 a Napoli i comunisti avanzano, mentre perdono consensi socialisti e democristiani. Sempre per incompatibilità di cariche (questa la ragione ufficiale) Napolitano non è tra i 166 deputati comunisti eletti.

• Una foto mostra Napolitano nella camera ardente di Togliatti mentre monta la guardia d’onore, in seconda fila. Nella gerarchia della cerimonia dell’addio, si trova in settima posizione, un po’ indietro tra gli officianti.

• Il Pci diviso nell’elezione presidenziale del 1964: la sinistra di Ingrao vota per Fanfani, la destra di Amendola (e Napolitano) per Saragat. Vince quest’ultimo. Il dibattito nel partito è stato aspro, guidato proprio da Napolitano su incarico del segretario Longo.

• Longo segretario del Pci riforma il partito: la segreteria è abolita e le sue funzioni affidate a un ufficio di segreteria, il dibattito sulle decisioni strategiche affidato a un nuovo ufficio politico. Poi c’è il comitato centrale. Napolitano è l’unico, insieme a Longo, che partecipa a tutti e tre gli organismi, con ruolo di coordinamento.

• Longo si ammala: bisogna decidere il successore; con Napolitano si schierano solo due dirigenti. Anche Amendola preferisce Berlinguer e gli dice: «Per dirigere il Pci, occorre avere una forte esperienza e un prestigio internazionale. Berlinguer s’è fatto le ossa al tempo della federazione mondiale giovanile e da anni è presente in difficili missioni all’estero con fermezza e misura. Tu, caro Giorgino, quest’esperienza non ce l’hai». Napolitano lascia il vertice del partito ed entra nella commissione cultura a dirigere gli intellettuali del Pci.

• Alla morte di Pasolini si rivolgono a Napolitano Laura Betti, il pittore Zigaina, Dacia Maraini e Alberto Moravia: chiedono che per il poeta si facciano le onoranze funebri a Botteghe Oscure. Impossibile, risponde Napolitano: un tale onore non era stato tributato neppure a Togliatti. Zigaina minaccia di «dare Pasolini ai radicali di Pannella». Napolitano, come ministro della cultura comunista, trova la soluzione facendo organizzare i funerali alla Fgci e come luogo sceglie la Casa della cultura di via Arenula.

• Clio Bittoni, figlia del farmacista antifascista e comunista Amleto Bittoni, sindaco di Chiaravalle (Marche) dopo la liberazione, e di Diva Campanella, socialista. Nata il 10 novembre 1934 a Chiaravalle, nelle Marche, fin da piccola andava in sezione con la madre. Conobbe Giorgio Napolitano a Napoli, poi si ritrovarono a Roma, dove lei divideva una stanza con una collega durante la pratica da avvocato. «Lui ha cominciato a invitarmi a cena. Allora la mia famiglia diceva: “L’ha presa per fame”». Già deputato e considerato “di belle speranze”, da fidanzati andarono in montagna insieme «naturalmente con un’organizzazione dell’Emilia Romagna»: «Poi al ritorno andammo a Venezia a trovare Giorgio Amendola, che si trovava lì forse per la mostra del cinema, poi scendendo siamo andati nelle Marche, dove gli ho presentato i miei genitori, che vivevano già a Napoli ma erano in vacanza lì». Quindi la presentazione con Giorgio Amendola è avvenuta come prima presentazione. Si sposarono che lei aveva 25 anni e lui 34, a Roma nel 1959: matrimonio laico, giusto qualche foto di rito sulla scalinata del Campidoglio. Viaggio di nozze con treno e corriera a San Gimignano.

• «Io glielo dico sempre: “Tu hai avuto fortuna, perché qualsiasi persona avessi incontrato ti saresti sposato.” Perché era proprio il momento giusto, in cui uno sente il desiderio di avere una famiglia, un figlio». (Clio Bittoni).

• La madre di Napolitano, preoccupata per lo stile di vita un po’ troppo comunista della nuora. Contrariata anche dal di lei rifiuto di battezzare il figlio Giovanni.

• Successo della missione di Napolitano negli Stati Uniti (aprile 1978, partenza poche settimane dopo il sequestro Moro, ritorno proprio nelle ore in cui trova conferma la sua uccisione). Invitato da varie università (Harvard, Princeton, Cambridge) a tenere delle conferenze, era il primo politico comunista in viaggio nel primo paese capitalista. Molti accorrono per ascoltare un «real communist in our midst», un comunista in carne e ossa.

• La svolta di Vietri, che allontana Napolitano dal centro del partito. Il 28 novembre 1980 Berlinguer convoca una conferenza stampa all’hotel Raito, a Vietri, che in sostanza segna la fine del “compromesso storico”: propone un governo a guida comunista con i socialisti migliori e quella parte della Dc «che sia capace d’esprimere posizioni avanzate e persone oneste». Napolitano ricorda in seguito: «Non fummo in pochi a restare sconcertati per l’estemporaneità dell’annuncio della nuova linea, che ci sembrò piuttosto propagandistica e generica. Naturalmente non si poteva su quella base costruire alcuna prospettiva politica».

• Napolitano sconcertato anche nel leggere l’intervista di Berlinguer sulla Repubblica (28 luglio 1981) in cui si pone la questione morale («I partiti hanno degenerato e questa è l’origine dei malanni d’Italia…») e la superiorità etica del Pci. Insieme a Gerardo Chiaromonte concordano di «arginare una deriva che minacciava di oscurare le acquisizioni fondamentali maturate nel corso della lunga storia del Pci».

• All’intervista di Berlinguer risponde Napolitano il 21 agosto 1981 con un articolo sull’Unità: «Dinanzi alle degenerazioni prodottesi nella vita pubblica, non ci limitiamo a sottolineare la nostra estraneità a quei fenomeni e a quei comportamenti, non ci chiudiamo in un’orgogliosa riaffermazione della nostra “diversità”, ma intendiamo far leva sulle “peculiarità” del nostro partito per contribuire al corretto rilancio della funzione dei partiti in generale come elemento insostituibile di continuità e di sviluppo della vita democratica».

• Il 5 ottobre 1981, dopo una giornata di scontri e discussioni con Berlinguer, Napolitano lascia la segreteria del Pci per assumere la presidenza del gruppo parlamentare alla Camera. Si comincia a parlare di lui come «migliorista», con intento spregiativo, a evocare la discendenza del nome dal socialista Camillo Prampolini (1859-1930), che alla rivoluzione preferiva la lotta per le piccole riforme.

• «Napolitano, il compagno che comprese prima di altri», secondo Piero Fassino (2001).

• Nel 1988, dimessosi Natta per problemi di salute, si pone il problema di scegliere il nuovo segretario del Pci. Su Tango, inserto satirico dell’Unità, Michele Serra propone di far scegliere agli elettori il nuovo segretario e compila schede di tutti i possibili candidati. Di Napolitano scrive: «Gradito ai socialisti, gradito agli intellettuali modernisti, gradito alla Nato, gradito a Salvatore Veca, gradito agli imprenditori liberali, se fosse gradito anche ai comunisti sarebbe segretario già da un pezzo».

• Il 9 novembre 1989, giorno della caduta del muro di Berlino, Napolitano è a Stoccolma, dov’è stato invitato come osservatore al congresso Internazionale socialista. Parla in privato con Willy Brandt. «Il più comunista dei socialdemocratici europei e il più socialdemocratico dei comunisti italiani», parlano per due ore: Napolitano cerca di convincerlo ad accogliere il Pci nell’Internazionale.

• Il 9 giugno 1989 Napolitano dice: «Il cambiamento del partito può essere preso seriamente in considerazione. Anzi, alla luce della tragedia cinese e per l’impatto che essa ha nell’opinione pubblica, si pone il problema di accelerare il dibattito sul Pci».

• A Bologna il 12 novembre 1989, quartiere Navile, si celebra l’anniversario della battaglia della Bolognina contro i nazifascisti, quarantacinque anni dopo. «Il muro di Berlino sta per travolgere anche il Pci. Occhetto infatti dice: “Bisogna inventare strade nuove”».

• Il 20 novembre 1989, nella riunione del comitato centrale chiamato a discutere la svolta della Bolognina, il partito sembra sull’orlo della frantumazione: la sinistra di Ingrao è contraria alla nascita di un nuovo partito. Occhetto decide che si voti la mozione della svolta. Vincono i sì, grazie ai miglioristi di Napolitano: 219 voti sono a favore, 73 contrari, 34 gli astenuti. È la morte del Pci, che negli undici mesi successivi si chiamerà “la cosa”.

• Al XX Congresso del Pci di Rimini, nel febbraio 1991, Napolitano issato su un tavolo senza sedie, si scaglia contro la sinistra del partito e contro il segretario, intenzionati a premere per il ritiro dei soldati italiani dalla guerra del Kuwait, scoppiata da due settimane. È convinto che il pacifismo a oltranza nasconda riflessi neocomunisti, antiamericani e terzomondisti, «sottili tossine ideologiche che dal Pci stanno per transitare nel Pds».

• Lo scontro di Napolitano con D’Alema, nel luglio 1991. Il primo incita: «Niente incertezze verso il Psi». Il secondo risponde: «È difficile andare alla campagna elettorale adottando la parola d’ordine di un altro partito». Prende piede nel Pds la vulgata di Napolitano quinta colonna dei socialisti e arriva sui giornali. Minzolini sulla Stampa dà per certa la fuga dei miglioristi milanesi dal Pds di Occhetto e riporta una battuta di Goria: «Vedrete, prima del prossimo anno Napolitano passerà con i socialisti».

• Il 25 aprile 1992 Francesco Cossiga lascia la carica di presidente della Repubblica in seguito all’elezione, come presidente della Camera, di Scalfaro, politico a lui ostile. Le trattative per scegliere il nuovo presidente vanno per le lunghe finché Pannella non propone lo stesso Scalfaro. Napolitano lavora per indirizzare il voto dei miglioristi su quel nome: in tal modo potrà tornare tra i papabili per la presidenza alla Camera. Però Stefano Rodotà, presidente del Pds e vicepresidente alla Camera, si ritiene il naturale successore di Scalfaro e non è disposto a ritirare la candidatura. Si susseguono le votazioni e lo scontro diventa aspro. Di nuovo interviene Pannella: propone Napolitano come presidente del Consiglio. Considerata eccessiva la proposta, la classe politica si ricompatta e sceglie Napolitano alla Camera. Commento di Rodotà: «Una piccola schiera di imbecilli ha ridotto tutto a una fame di poltrone che, se fosse esistita, molti erano pronti a saziare con ragguardevoli bocconi».

• Il gruppo di neofascisti guidati da giovani deputati del Msi (tra cui Gasparri e Matteoli) che, nel 1992, bloccano l’ingresso ai deputati di Montecitorio. Sulle magliette la scritta: «Arrendetevi, siete circondati». Napolitano manda la polizia.

• Le rivelazioni firmate da Vladimir Voronov finite sui giornali italiani il 9 settembre 1993: «Volete sapere cosa è venuto a fare nel giugno del 1987 Giorgio Napolitano a Mosca? Non a discutere problemi politici, ma a promuovere affari per le banche e le industrie italiane». Il caso si sgonfia in poche ore.

• Napolitano nel 1993 indagato per le confessioni dell’imprenditore Vincenzo Maria Greco su un appalto da 500 milioni per la metropolitana di Napoli nel 1987: «Pomicino ebbe a dirmi che aveva preso l’impegno con il capogruppo alla Camera del Pci dell’epoca, onorevole Giorgio Napolitano, di permettere un ritorno economico al Pci». Pomicino poi nega di aver mai consegnato soldi al migliorista, segretario provinciale, Umberto Ranieri, su indicazione di Napolitano.

• Craxi interrogato da Antonio Di Pietro, il 17 dicembre 1993: «Come credere che il presidente della Camera, onorevole Giorgio Napolitano, che è stato per molti anni ministro degli Esteri del Pci e aveva rapporti con tutta la nomenclatura comunista dell’Est a partire da quella sovietica, non si fosse mai accorto del grande traffico che avveniva sotto di lui, tra i vari rappresentanti e amministratori del Pci e i paesi dell’Est? Non se ne è mai accorto?».

• Giovedì 19 maggio 1994, la Camera riunita per votare la fiducia al governo Berlusconi. Presidente è Irene Pivetti. Napolitano, rieletto deputato, prende la parola: «Siete chiamati a governare, ma non potete giustificare qualsiasi intento con la formula “il popolo l’ha voluto”». Critica le ipotesi di modifica costituzionale, parla di nuove leggi per equilibrare i poteri, ammonisce contro la dittatura della maggioranza. Poi tace. Prima ancora che si sieda, annota lo stenografo in aula, «il presidente del Consiglio dei ministri Berlusconi si reca al banco del deputato Napolitano e si congratula con lui. Vivissimi, generali applausi».

• Nel 2004 la fine del mandato di parlamentare europeo, a quasi 79 anni. Gli viene naturale pensare di raccontare la sua esperienza nell’autobiografia, pubblicata da Laterza nel 2005, in coincidenza con la nomina di senatore a vita. Non molte le recensioni: Mafai su Repubblica («per Napolitano, come per altri dirigenti comunisti, fare i conti con il proprio passato è sempre un’operazione contrassegnata da un alto senso di responsabilità e persino, forse, da qualche reticenza»). Paolo Franchi sul Corriere della Sera («È stato senza dubbio il primo, e più coerente, nell’indicazione e nella ricerca di un approdo esplicitamente socialdemocratico per il più grande partito della sinistra italiana»), Festa sul Giornale (titolo: «Il peggiore dei miglioristi»). Tutti sono convinti che la sua storia non possa dirsi conclusa.

• Elezioni presidenziali a maggio 2006. Pare che possa diventare presidente della Repubblica D’Alema, da Berselli soprannominato “Migliorino” (in assonanza col soprannome di Togliatti, “il Migliore”): «C’è qualcuno meno giustizialista del Migliorino? C’è qualcun altro più avvezzo a trattare da forza a forza, senza pregiudizi moralistici? Qualcuno più affidabile nella trattativa e nei salvacondotti che Berlusconi richiederà, dopo avergli sentito dire che Mediaset è una risorsa del Paese?».
D’Alema ritira la candidatura quando Fassino, in un’intervista al Foglio, lancia la proposta della «presidenza programmatica»: un programma di governo che prevede nuove elezioni, intervento sulla magistratura, la condivisione della politica estera, la transizione costituzionale. I primi a spiegare che si tratta di un obbrobrio sono i costituzionalisti.

• D’Alema facendo il passo indietro: «Volevate uno che non ha responsabilità politiche: eccovi Napolitano».

• I nomi di Berlusconi: Amato, Marini, Dini e Monti.

• Il nome di Napolitano rimane schermato fino alla quarta votazione. Il 10 maggio diventa presidente della Repubblica con 543 voti. Aspirava a di più: «Occorrerà non scendere sotto la quota 600 almeno».