Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  aprile 26 Venerdì calendario

AL CAFÈ ROYAL, AL POSTO DEL VECCHIO TEMPIO MASSONICO, HANNO PREVISTO UNA LOCATION ZEN PER PRATICARE YOGA E MEDITAZIONE

Tweet Dal ristrutturato Cafè Royal, luogo di Re, massoni, artisti, manager, assisto al declino dell’Inghilterra, orfana della Thatcher.

Dimorai a Londra per tutti gli anni ’90 e per metà del primo decennio successivo, assistendo all’implacabile declino del Cafè Royal, il celebre ristorante di Regent Street, nato a metà ’800. Mi ci portò nei primi anni ’80 un collaboratore-amico, Renzo Gay (geniale esperto di vernici per auto, superbo gourmet-amante di vini), mi raccontò con dovizia di particolari la storia del locale, indicandomi dove di norma si sedevano Garibaldi, Mark Twain, Rossini, Joyce, Churchill, il Principe di Galles, che qui presiedeva sia la locale confraternita massonica che i «cafè royalist». In particolare, dove sedevano Oscar Wilde e il suo giovane amante Lord Alfred Douglas, spesso i clienti storici a mezzogiorno venivano con l’amante, alla sera con la moglie: menu e vini diversi, mai l’una seppe dell’altra, privacy a Londra si pronuncia in modo corretto (mai «praivasi» che privacy non è). Gustoso il celebre aneddoto del barman che rifiutò un armagnac a Re Leopoldo del Belgio, gli spiegò che una legge vietava di mescere alcolici dopo le 23, c’era una sola eccezione per il Re d’Inghilterra. Ma l’aspetto più «inglese» del Cafè Royal era il suo vecchio indirizzo postale, di esemplare semplicità: Restaurant, London.

Via via che diventavo londinese scoprii che andava a configurarsi una legge, non scritta, che valeva solo per me, ovviamente per il ruolo che occupavo nella grande azienda che dirigevo. Ricevevo come ovvio molti inviti, decisi che avrei cenato solo con collaboratori e amici, e avrei pagato io, mentre a pranzo ero aperto a mangiare col resto del mondo. Curiosamente, quelli interessati a fare business mi invitavano sempre al Cafè Royal. Confesso che lo trovavo seccante, avevo il sospetto (certezza) che mi considerassero un parvenu: ero d’accordo con loro, perché io parvenu lo ero sul serio, ma lo ero come persona, non accettavo di esserlo come Ceo di New Holland. L’altro aspetto che apprezzavo del Cafè Royal era la sua legge, non scritta ma implacabile «si pranza sempre prima dell’una», un privilegio, come lo era assistere al rito del sommelier che accarezzava il vino come fosse un’amante: trattandosi spesso di vini francesi sapevo che nel loro caso il petting era meglio del rapporto completo.

Di recente ho letto un pezzo del grande storico Richard Newbury sul Cafè Royal, conferma che è stato restaurato secondo l’originale stile a metà strada fra Luigi XVI e Secondo Impero. Bene. Purtroppo, in luogo del vecchio Tempio Massonico hanno previsto una «location zen per praticare yoga e meditazione»: volgarità new age. Ora il declino del Cafè Royal si è interrotto, quello dell’Inghilterra e degli inglesi, specie dopo la morte (definitiva) della Thatcher, prosegue tranquillo.