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 2013  aprile 26 Venerdì calendario

«LIBERATE INVESTIMENTI LA RIPRESA ARRIVERÀ»

Un pericoloso mix di autolesionismo e incapacità di valorizzare le nostre doti di innovazione impedisce all’Italia non solo di mitigare le conseguenze della crisi globale ma anche di guadagnare un posto in prima fila nella nuova agognata fase di sviluppo. Efficienza della burocrazia, responsabilizzazione delle comunità locali che bloccano spesso e con assoluta ottusità gli investimenti in innovazione e in infrastrutture, veri passi verso la tanto promessa riforma della macchina amministrativa «iniziando dalla ormai ineludibile abolizione delle province», ammonisce Fulvio Conti (nella foto) ad Enel e vicepresidente di Confindustria. E intanto, subito, «una rivitalizzazione della domanda interna alleggerendo innanzitutto il carico fiscale su famiglie e imprese». Ecco le carte da giocare. Federico Rendina
e Laura Serafini La crisi morde, l’industria ansima. Un governo prende forma in queste ore e si cercano suggeritori per buone ricette. Fulvio Conti gode di un doppio osservatorio privilegiato. È il numero uno dell’Enel, che può (non si sa quanto il compito sia gradito) misurare attraverso i consumi di questo bene energetico essenziale, giorno per giorno, minuto per minuto, lo stato e gli sforzi del Paese per tirare su la testa. È vicepresidente di Confindustria, che mai come in queste settimane sta mobilitando tutte le energie possibili. Come stanno davvero le cose? Attraversiamo un periodo di recessione prolungata di proporzioni storiche. La caduta della domanda di energia elettrica ne è specchio fedele. Nel 2012 è tornata ai livelli del 2004. Abbiamo annullato in un colpo otto anni di progressi. L’industria ha perso il 25% della sua attività dal picco pre-crisi. Ma la fase recessiva non sta solo riducendo l’attività produttiva e quindi la capacità di investimento. Sta anche disegnando un modo nuovo e più efficiente per relazionarci con il sistema economico e sociale del Paese. Crea un nuovo paradigma i cui impatti sulla società non sono ancora compiutamente definiti. Urgono punti fermi. Nasce, o per meglio dire sta tentando di nascere, un governo targato Enrico Letta. Merita fiducia? Letta merita tutta la mia fiducia, anche perché conosce bene i problemi dell’industria. Ci auguriamo che operi subito per rilanciare l’economia reale. Fa bene il vostro giornale a mettere in evidenza un contatore delle imprese che chiudono. È la grande emergenza italiana. Non lo dico solo perché molte di queste imprese rappresentano nostri clienti che scompaiono, ma perché il Paese sta perdendo forza produttiva e capacità di creare posti di lavoro. Il Governo agisca subito sui punti indicati nelle settimane scorse dal documento di Confindustria: pagamenti alle imprese, cuneo fiscale, investimenti, burocrazia. Lì c’è tutto quello che va fatto, e anche come finanziarlo. L’Enel, un gigante industriale, sta facendo la sua parte? Riteniamo di sì. Anche perché l’energia continuerà a essere un motore dello sviluppo economico e sociale del Paese, qualunque sia la sua evoluzione. La fame di energia non si esaurisce. La sua domanda servirà per produrre più cose valorizzando i nostri punti di eccellenza. Ecco perché siamo e rimaniamo un asset fondamentale del Paese. A maggior ragione nell’auspicata ipotesi di un rapido ritorno alla crescita. Certo, le politiche fiscali degli ultimi anni non aiutano... In particolare in Italia e Spagna, proprio i due Paesi in cui abbiamo la presenza più significativa, ci dobbiamo confrontare con tre fenomeni di cui uno è appunto la caduta della domanda, conseguente alla crisi dell’economia reale. Il secondo è l’impetuosa crescita delle rinnovabili. Il terzo è un ricorso, a volte disinvolto e improvvisato, sicuramente controproducente, alla leva fiscale che penalizza in maniera particolare proprio le imprese energetiche. Le rinnovabili vengono però indicate come un benefico moltiplicatore di sviluppo. Peccato che questo teorico moltiplicatore sia stato decisamente mal gestito, qui da noi. Producendo un risultato per molti versi contrario. Con una crescita molto rapida, sull’onda di incentivi non ben calibrati per tecnologie ancora troppo costose rispetto al potenziale sviluppo tecnologico e che hanno spiazzato prematuramente l’avanzamento di nuove tecnologie nelle rinnovabili e le energie convenzionali, come ad esempio la generazione a gas, a più basso costo, tuttora essenziali per il nostro Paese. Con uno scompenso che ha danneggiato tutti cittadini e che ha favorito l’impennata di importazioni di apparati di origine estera, prevalentemente orientale. Tutto ciò non ha contribuito a creare una filiera industriale nazionale e, nel contempo, ha assegnato alla platea dei consumatori sovraccosti in bolletta sotto forma di oneri accessori per quasi 12 miliardi solo nel 2012, che stanno ulteriormente crescendo. E intanto ci troviamo con un eccesso di capacità nel mercato italiano fatto di impianti termoelettrici tecnologicamente avanzatissimi e nuovi, che operano in un settore nel quale si sono investiti negli ultimi anni 110 miliardi di euro, di cui 40 da parte di Enel. Cifre importanti nel panorama dell’economia reale italiana. Anche per questo sollecitate un meccanismo di capacity payment, in sostanza la remunerazione in bolletta anche delle centrali tradizionali che restano spente? Deve essere chiaro che più avanzano le cosiddette energie intermittenti, frutto dell’avanzata delle rinnovabili, più il Paese ha bisogno di un backup per garantire la sicurezza con una potenza di riserva immediatamente disponibile. Serve un sistema di reti e di centrali dislocato sul territorio in modo più razionale. Ma c’è il problema delle resistenze locali. C’è chi propone di rivedere il meccanismo del prezzo unico nazionale dell’energia, introducendo una differenziazione sul territorio. Che ne pensa? Se ne può e se ne deve parlare. Sapendo che l’energia è un bene che deve essere garantito a tutti alle migliori condizioni e con il migliore scenario di riferimento. Ecco perché insistiamo sulla necessità di una minore aggressività nel manovrare la leva fiscale e parafiscale nei confronti delle società energetiche, perché le conseguenze sono minori investimenti e minori dividendi. Problema non solo italiano, come dicevo, ma che qui ha avuto il suo antesignano nella cosiddetta Robin Hood tax, penalizzando in maniera così rilevante e forse non così corretta anche dal punto di vista costituzionale l’industria energetica. Certo, succede anche in Spagna, dove siamo presenti con Endesa. Lì hanno introdotto una nuova tassa sul fatturato delle energie, incluso il nucleare e l’idroelettrico, oltre all’obbligo di ritirare carbone nazionale per produrre energia anche quando non ce n’è bisogno. Un’evidente distorsione e discriminazione dei mercati in Europa. Il nuovo Governo potrebbe fare qualcosa anche su questo versante. Il Governo uscente ha elaborato una strategia energetica nazionale. La ritenete utile? L’apprezziamo, sia nello spirito che nei contenuti. Come apprezziamo il lavoro fatto dal comitato dei saggi istituito dal presidente Napolitano. In particolare, nel richiamo alla necessità di creare un mercato dell’energia libero per tutti. Che potrebbe ulteriormente stimolare l’impegno per proporre ai clienti, alle imprese e al cittadino, un nuovo modo di fornire energia. L’Enel per esempio si sta trasformando in un attivatore e in un consulente per l’uso sempre più razionale ed efficiente dell’energia, attraverso lo sviluppo di soluzioni e tecnologie sempre più innovative. Con la promozione dell’auto elettrica, ad esempio. E, più in generale, per la diffusione dell’energia elettrica come vettore più efficiente anche con dispositivi, come le pompe di calore elettriche nella climatizzazione, che hanno raggiunto un rendimento fino a poco tempo fa sconosciuto. Il piano industriale 2013-17 fa perno su dismissioni per 6 miliardi per ridurre il debito e sul riacquisto di minoranze per oltre 8 miliardi. Una bella sfida. Gli investitori vi hanno dato fiducia, ma vogliono vedere i primi risultati. Arriveranno presto? Il piano risponde a tre necessità tutte essenziali. La prima è la protezione dei margini nei mercati maturi: Italia e Spagna rappresentano ancora il 60% del nostro Ebitda e siamo felici di esserci. Le crisi arrivano e poi con il tempo passano, passerà anche questa. Essere leader in questi due mercati è fondamentale: qui dobbiamo lavorare ancora di più sull’efficienza e sull’innovazione riducendo i costi. Manteniamo il livello degli investimenti nel nostro Paese, anche se li abbiamo riallocati nello sviluppo e nell’innovazione tecnologica della rete di distribuzione e in attività che portino efficienza energetica. Gli investimenti sulla generazione di energia sono concentrati invece nei Paesi dove c’è una forte crescita. L’America Latina cresce. Avete appena completato l’aumento di capitale (6 miliardi) della cilena Enersis. Quando inizierete l’acquisto delle minoranze di questa società? La crescita è il secondo obiettivo del piano. Passa attraverso investimenti nelle energie rinnovabili (6 miliardi di euro in gran parte fuori Italia) e nei Paesi del Sud America. L’aumento di Enersis, la più grande operazione di questo tipo in America Latina, è dedicato a sviluppare la presenza in quell’area geografica attraverso tre canali: la crescita organica, in mercati che ci portano 400mila nuovi clienti ogni anno, investendo in nuovi impianti usando i flussi di cassa e parte dei fondi dell’aumento; l’acquisto di minoranze per aumentare flussi di cassa e dividendi; eventuali operazioni di merger & acquisition. Alcune piccole operazioni di acquisto le abbiamo già fatte. Nei prossimi mesi porteremo a termine alcune trattative che abbiamo in corso. La vostra preoccupazione maggiore non è la riduzione del debito, a quota 43 miliardi? È appunto la terza priorità del piano. La riduzione del debito sarà realizzata con le cessioni e l’emissione di bond ibridi. Le società di rating ci valutano sotto diversi aspetti: il business, il rischio-Paese e il regolatorio. Negli ultimi anni, per effetto della crisi del debito sovrano, Italia e Spagna sono stati visti come Paesi a più alto rischio. A ragion veduta: basti pensare, come abbiamo detto, alle tasse che in questi due Paesi sono state imposte alle utility, sottraendo fondi agli investimenti per sostenere la crescita e gli azionisti. I Governi continuano a vedere il sistema elettrico come una fonte di cassa cui attingere. Vi aspettate nuove tasse? Ho i miei dubbi che esistano ulteriori margini. Siamo arrivati al limite massimo. Le misure fiscali e il calo di domanda in questi mercati hanno avuto un notevole impatto sul nostro bilancio e il nostro impegno ora è mantenerne la solidità. Seguendo il programma di dismissione e di rifinanziamento del debito con gli strumenti ibridi nei prossimi due anni, saremo in grado di mantenere l’investment grade di cui abbiamo bisogno per usare al meglio la leva finanziaria necessaria per continuare a crescere. Sinora abbiamo sempre mantenuto le promesse fatte al mercato ed è nostra ferma intenzione proseguire in questa direzione. Annuncerete già quest’anno qualche dismissione o una tranche di bond ibridi? Penso proprio di sì. Sui bond ibridi stiamo già lavorando, preparando la documentazione necessaria. Il piano di dismissioni sembra orientarsi nell’Europa dell’Est in particolare. Senza escludere qualche pezzo pregiato nell’Unione europea, come la centrale termoelettrica belga di Marcinelle. Conferma? Confermo solo il riserbo dovuto a queste operazioni. Ribadisco il fatto che saranno asset di due tipi: o partecipazioni in cui abbiamo una posizione di minoranza o asset la cui cessione non intacchi la strategia del gruppo e che potranno essere venduti con facilità in quanto hanno già dei compratori naturali. Si parla anche di un disimpegno dal controllo dell’operatore ex monopolista slovacco Slovenske Elektrarne (SE), forte soprattutto nel nucleare. Valgono le considerazioni di cui sopra. Posso solo osservare che proprio lì, in Slovacchia, stiamo costruendo due nuove centrali nucleari. Il nucleare continua a rimanere strategico? Sì. Per l’Enel il nucleare costituisce il 14% della produzione di energia elettrica. E lo consideriamo parte strutturale del nostro mix di generazione. Rivedremo, o dovremo rivedere, anche il no all’atomo in Italia? Un giorno chissà. Magari con una tecnologia più evoluta. Oggi sicuramente no, tenendo conto di due successivi referendum e anche dell’attuale eccesso di potenza di generazione.