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 2013  aprile 26 Venerdì calendario

ENRICO E I "THINK TANK" LE FABBRICHE DELLE IDEE AL CENTRO DELLA POLITICA

«Arcipelago Think tank». Il presidente del Consiglio incaricato Enrico Letta, come noto, è il personaggio politico italiano dotato di maggiore dimestichezza con il mondo dei «serbatoi di pensiero»: si trova al crocevia tra più di una di queste «fabbriche delle idee» (dall’Arel all’Aspen Institute), e ne è stato anche un diretto promotore (come nel caso del frequentatissimo «think net» veDrò).

E, infatti, il suo percorso, anche per ragioni anagrafiche e generazionali (in più occasioni si è proclamato figlio degli Anni Ottanta), ha incrociato in maniera naturale questo (in Italia per tanto tempo) «oggetto non identificato», che è divenuto centrale nell’elaborazione di proposte, contenuti e ricette per la politica proprio nel decennio della crisi delle grandi narrazioni.

Negli Stati Uniti, la loro culla principale, i think tank si rivelavano ampiamente attivi già a inizio Novecento (avendo vissuto una stagione aurea, negli Anni Trenta, con i brain trust e le «teste d’uovo» che strutturarono il New Deal di Franklin Delano Roosevelt), ma è nel corso degli Ottanta che, anche sull’onda della globalizzazione e del primato planetario della cultura anglosassone, si costituiscono, sempre di più, come un punto di riferimento imprescindibile. Un concetto antico come quello di costruzione dell’egemonia culturale torna, infatti, a nuova (e postmoderna) vita precisamente grazie a questi istituti di ricerca privati assai diversi dai centri studi dei partiti che, in Italia, avevano vissuto un periodo significativo nei decenni precedenti. La loro diffusione – che accompagnò molto da vicino le vittorie e l’ascesa al potere, per fare due esempi di rilievo, di Ronald Reagan (Heritage Foundation e Rand Corporation) e del New Labour di Tony Blair (Demos e Institute for Public Policy Research) – corre in parallelo al progressivo indebolimento dell’elaborazione programmatica e dell’organizzazione delle formazioni partitiche, cui i think tank mettono a disposizione le proprie expertise e competenze, mentre la figura dello specialista rimpiazza quella, ormai definitivamente tramontata, dell’intellettuale organico. Manifestazioni caratteristiche di un’epoca diventata postideologica, di una società dove i media risultano centrali e di un potere (e una governance) che si personalizza, i pensatoi svolgono così una serie di funzioni preziose, che vanno dall’ideazione di policies (ovvero di politiche concrete) e dalla produzione di cultura politica alla creazione di network relazionali, dalla raccolta di fondi alla preparazione di campagne di orientamento dell’opinione pubblica, divenendo via via più influenti, e indispensabili.

Abituali (e irrinunciabili) componenti del paesaggio politico delle nazioni anglosassoni – a tal punto che esistono i «Prospect Awards», una specie di Oscar con i quali il prestigioso mensile culturale britannico premia i think tank dell’anno – i serbatoi di pensiero sbarcano, al debutto degli Anni Ottanta, anche nella riottosa Francia (che li ribattezza boîtes à idées), per poi arrivare, nel decennio successivo, anche da noi. Dove si trovano, da un lato, a vivere la metamorfosi che li ha portati, in alcuni casi, a trasformarsi nei cosiddetti think tank «personali» (una tipologia che va dalla dalemiana Fondazione Italianieuropei alla montezemoliana Italia Futura, sino alla renziana Big Bang), e, dall’altro, a scontrarsi con il (ciclicamente riaffiorante) disagio rispetto alla modernità di una certa sinistra, per la quale non differiscono granché dalle detestate «lobby». Quando invece, a ben pensarci, la presenza dei think tank fa tanto (agognata) politica da «Paese normale».