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 2013  aprile 26 Venerdì calendario

AFRICA, LA PRIMAVERA TECNOLOGICA

Africa 2013: è l’era delle startup. «Non c’è mai stato tempo più fa­vorevole ed eccitante di questo», ha decretato la rivista statunitense Forbes prima di rendere pubblica la lista delle cinque microimprese ad alto valore tec­nologico più innovative a Sud del Saha­ra. La consacrazione definitiva dell’Afri­ca come hub, uno snodo tecnologico da tenere d’occhio, è arrivata a fine gennaio con il tour del presidente di Google, Eric Schmidt. Tappe: Nairobi e Lagos, due ca­pitali che stanno sfruttando le opportu­nità offerte dalle nuove tecnologie e – ha detto Schmidt – si stanno accreditando come ’incubatori’ di imprese innovative nella nuova Africa cablata e connessa.
Nel 2012 i cavi a fibra ottica posti sul fon­do degli oceani hanno completato il pe­rimetro del continente e ormai offrono a quasi tutti i Paesi africani i vantaggi del­la banda larga, ovvero una connessione internet veloce e a basso costo.
Ma la rivoluzione informatica in Africa passa soprattutto attraverso i telefoni cel­lulari, posseduti da oltre 650 milioni di persone: grazie ad applicazioni come M-Farm i contadini africani, dal Kenya al Ghana, possono avere accesso ai prezzi dei prodotti agricoli sul mercato in tem­po reale al costo di un sms. Sempre in Kenya, più di 15 milioni di persone (oltre la metà della popolazione adulta) utiliz­zano M-Pesa, il sistema di pagamento e trasferimento di denaro via sms lanciato nel 2007 dal colosso africano della te­lefonia mobile Safaricom. E in ambito scolastico startup come eLimu stanno cercando di dimostrare come fornire con­tenuti digitali invece dei tradizionali libri di testo sia più economico ed efficace e permetta di raggiungere un maggior nu­mero di studenti, anche nelle aree più po­vere. E così via, dalla sanità alla demo­crazia, passando per applicazioni come BudgIT e CorruptionNET che permetto­no ai cittadini di ’controllare’ la traspa­renza dei propri governi.
Le startup che fioriscono un po’ ovunque, ma soprattutto nelle metropoli africane, non riguardano in senso stretto solo il settore Itc, l’ Information and comunica­tion tecnology nelle sue infinite applica­zioni. Il salto nell’era digitale in Africa ha dato impulso in senso più ampio a una nuova microimprenditorialità, che pun­ta sull’innovazione per rispondere alle e­normi sfide ambientali e sociali del con­tinente. Una tendenza che sta attraendo l’attenzione di finanziatori sia profit che non profit, disponibili a dare ossigeno a imprese che partono dal piccolo, a volte dal piccolissimo, ma che hanno poten­zialità di crescita rapida e su larga scala. «Il sostegno alle startup è una modalità nuova di fare cooperazione internazio­nale » afferma Mario Molteni, direttore dell’Alta scuola impresa e società dell’U­niversità Cattolica di Milano (Altis). «È quella che definiamo Impact Entrepre­neurship: in un contesto in cui ci so­no molti meno soldi bisogna passare dall’idea del trasferimento di denaro all’attivazione di una capacità im­prenditoriale sul posto. D’altra parte questo nuovo approccio obbliga a un certo tipo di rapporto con il territo­rio, a scommettere sulle persone, implica una relazione più parita­ria e anche più rischiosa perché per restare sul mercato bisogna avere il coraggio di aprirsi, a­vere più confidenza nelle tecnologie, scommettere sul fatto che un’impresa ben gestita sia uno stru­mento fondamentale per lo sviluppo». Grazie a un finanzia­mento della Cei, Altis ha avviato nel 2011 un programma di forma­zione di imprenditori a­fricani in collaborazione con il Tangaza College di Nairobi, che fa parte dell’Università cat­tolica dell’Est Africa e l’Institute of social ministry fondato dal comboniano padre Francesco Pierli. Da quest’anno il Master si è trasformato in un vero e proprio pro­gramma di incubazione di startup, tec­nologiche e non. Si svolge interamente in Kenya ed è rivolto a una trentina di gio­vani che hanno già un’idea imprendito­riale che prevede un impatto positivo in ambito sociale o ambientale. I settori van­no dall’agribusiness alle energie rinno­vabili, dalla gestione dei rifiuti, alla sa­nità e all’educazione. «Il 60% delle im­prese sono for profit, le altre non profit» spiega Molteni, «ma anche queste ultime hanno come obiettivo la sostenibilità e­conomica ». Si parte con dieci giorni in cui si discute l’idea, poi per un mese e mezzo le persone interagiscono online con lezioni, esercitazioni, coaching e nel frattempo co­minciano già ad avviare la pro­pria attività. Il master prose­gue con semina­ri intensivi nei week end e un’altra setti­mana full im­mersion, per poi concludersi con una ’competi­zione’ durante la quale gli imprenditori presentano i business plan alla comunità finanziaria del proprio Paese, al mondo del ventu­re capital, del social venture capital e magari anche a qualche investitore in­ternazionale che potrà essere presente o collegarsi via internet. «Il master in que­sto modo diventa un vero e proprio sci­volo verso un nuova impresa» afferma Molteni.
Nel 2011 l’esperimento avviato da Altis ha ottenuto un importante riconosci­mento da Ashoka, fondazione che in­centiva l’imprenditoria sociale, e il pre­mio permetterà quest’anno di avviare un altro Master in Ghana. Altis ha già contatti in Uganda, Sierra Leone, Togo e Mozam­bico: «Il nostro sogno – spiega Molteni – è costruire in Africa una rete di program­mi analoghi e in contatto fra loro, in gra­do di scambiarsi modelli di business e mettere in comune esperienze, operan­do in ottica di franchising ad alta valen­za sociale e ambientale».