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 2013  aprile 26 Venerdì calendario

ROMA —

Ministro lo era per davvero, anche se «solo» della Pubblica amministrazione. La crociata antifannulloni lo stava rendendo finalmente famoso. Giugno 2008, nello studio di Matrix Enrico Mentana chiede a Renato Brunetta se ha mai commesso degli errori. «Volevo vincere il premio Nobel per l’economia», risponde lui. Spero stia scherzando, lo interrompe Chicco Mitraglia. «No no. Ero anche bravo, ero non dico lì lì per farlo però ero nella giusta... ha prevalso il mio amore per la politica e il premio Nobel non lo vincerò più. Ho fatto un errore». Non è un mistero che Brunetta abbia una «grande coscienza di sé», come la definì Mentana quella sera in tv. E non è un mistero nemmeno che il suo sogno sia muovere le leve di quella che, ora più che mai, è la vera sostanza della politica. Fare il ministro dell’Economia, insomma. Ma dietro l’ego smisurato, l’ambizione e le critiche martellanti al governo, Brunetta può rivendicare di aver visto giusto con largo anticipo, se adesso tutti, dal Fmi all’Ocse, ammettono che l’eccesso di rigore di marca tedesca è sbagliato.
Eppure adesso gioca a fare il modesto. Appena uscito dall’incontro con Enrico Letta insieme alla delegazione del Pdl, e quindi vincolato al codice non scritto delle consultazioni, risponde: «Io ministro? Per carità abbiamo parlato solo di programma non di poltrone». D’accordo, ma le piacerebbe? «Me la può fare otto volte questa domanda e io le dirò otto volte la stessa cosa: prima il programma, i nomi vengono di conseguenza». Non esclude nulla, Brunetta, non giura che resterà fuori come fanno altri big del suo partito. E in fondo non può, perché quel sogno lo coltiva dal primo incontro con Silvio Berlusconi. Era il ’94, lui stesso l’ha raccontato così: «Il Cavaliere mi chiese dei colloqui di economia. "Renato mi spieghi", diceva. Prendeva appunti su come andava il mercato, il lavoro, le politiche economiche. Poi, ad un certo punto, io gli dicevo che dovevo andare all’università dagli studenti. E lui mi diceva con gli occhi: "ma torna poi!"». Prima di Berlusconi, era già stato consigliere di Giugni, Craxi, De Michelis, anche di Franco Marini e Carlo Azeglio Ciampi. Al Parlamento europeo è stato eletto da «centomila persone, tante quante ne accoglie lo stadio Maracanã». Quando il Pdl raccoglie 6 mila delegati alla Fiera di Roma il più applaudito è proprio lui, che infatti si commuove. Eppure, arrivati al dunque, si è dovuto accontentare del piano B, il ministero della Pubblica amministrazione. Importante per carità, ma non la sostanza della politica. Non il posto che ha sempre sognato, quella che adesso sogna ancora di più. In compenso le sue dichiarazioni sono sempre state pirotecniche, e le sue invasioni di campo nei confronti dei colleghi di governo spregiudicate. Dal «culturame parassitario vissuto di risorse pubbliche» (il cinema), al sindacato che vive su Marte (la Cgil), passando per «gli agenti panzoni» (la polizia da riorganizzare), il disegno di legge per far uscire di casa i ragazzi a 18 anni e anche l’articolo 1 della Costituzione: «Stabilire che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro non significa assolutamente nulla». È che in testa aveva sempre il ministero dell’Economia. E forse le sensazioni provate durante le due settimane in cui quel ruolo l’aveva assaggiato, promosso sul campo.
Era il luglio del 2004. Dopo un lungo lavoro di convincimento, Berlusconi molla Giulio Tremonti che si dimette da ministro dell’Economia. Lo stesso giorno Brunetta, allora europarlamentare, viene visto entrare nel palazzone di via XX Settembre. Prende in mano i dossier importanti, studia anche di notte, annuncia alla radio la sua riforma fiscale, «tre aliquote, la più alta al 39%». Ministro dell’Economia di fatto, fiducioso nella nomina di diritto. Pochi giorni dopo Standard & Poor’s taglia il rating dell’Italia. Ancora una settimana e su quella benedetta poltrona arriva Domenico Siniscalco. Lui mastica amaro, anche perché nei sondaggi risulta tra i ministri più popolari. Qualche mese dopo dice parlando di sé in terza persona, che fa sempre un certo effetto: «Brunetta, figlio di un ambulante veneziano, ha costruito la sua vita senza l’appoggio di alcuno. Non ha amici potenti, massoneria, Opus Dei».
Lorenzo Salvia