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 2013  aprile 26 Venerdì calendario

ROMA —

«L’unico che può tenere il partito in questa fase tumultuosa, assicurando un rapporto con un elettorato più vasto e con i cittadini, oltre che con i nostri iscritti e militanti, sei tu Matteo»: Enrico Letta si è rivolto con questa parole al sindaco di Firenze, il giorno dell’ultima direzione del Pd, in un pranzo approssimativo a base di panini, in un baretto del centro della Capitale. Non è il patto di cui si è tanto detto e tanto scritto. Ma comunque è un buon viatico, l’ennesimo, per il primo cittadino del capoluogo toscano, nel caso in cui decidesse di lanciare un’Opa sulla segreteria del Partito democratico.
«La storia del patto» è una stupidaggine, ha spiegato lo stesso Renzi a due parlamentari amici il giorno dopo quell’incontro. I deputati e i senatori che sostengono il sindaco rottamatore vorrebbero accelerare la patica e partire alla conquista del Pd. Stanno esercitando un pressing fortissimo sul primo cittadino di Firenze: «Devi muoverti, altrimenti il partito finisce nella mani di qualcuno che con te non c’entra niente, tipo Guglielmo Epifani, e poi tu che fai?». Anche Walter Veltroni, nel loro incontro all’indomani delle elezioni politiche, gli aveva suggerito di impossessarsi delle leve del Pd, altrimenti, era stato l’ammonimento dell’ex segretario del Partito democratico, rischi. E Veltroni è uno dei big del Pd che sosterrebbe senza nessun problema l’ascesa di Renzi alla segreteria.
Anche Massimo D’Alema, alla fine della festa, per amore della «ditta», è disposto, se non a dimenticare le polemiche contro di lui del sindaco rottamatore, quanto meno ad accantonarle. Dicono che pure Dario Franceschini (di cui si era parlato come uno dei possibili reggenti) non abbia problemi in questo senso. Ma i veltroniani hanno qualche dubbio in proposito: «Di Franceschini — dicono — non ci si può più fidare». Certo, mancano all’appello i bersaniani puri e duri, ma quelli più concilianti e malleabili hanno già fatto sapere che si guarderanno dall’incaponirsi nel tentativo di sbarrare il passo al sindaco di Firenze.
Per tutte queste ragioni i parlamentari renziani vorrebbero addirittura organizzare un blitz e farlo votare dall’assemblea nazionale in programma per sabato 4 maggio a Roma. In teoria si potrebbe. A patto, naturalmente, che lo votino i due terzi di quell’organismo. Del resto, Franceschini, dopo le dimissioni di Walter Veltroni, all’indomani della sconfitta elettorale in Sardegna, fu eletto proprio in un’assemblea nazionale (il cui numero dei componenti effettivamente presenti, in realtà, non si è mai saputo).
Ma è Renzi che frena, che non sembra ancora aver deciso che cosa fare veramente. Da una parte si rende conto che il monito dei suoi ha un certo fondamento. Effettivamente, se il partito viene consegnato ad altri, c’è il pericolo che il fronte antirenziano si saldi e che faccia in modo di evitare l’avvento del sindaco di Firenze. Per questo non ha chiuso definitivamente la porta a questa possibilità. Però i suoi dubbi sono tanti. Fare il sindaco di Firenze gli piace. Tanto che non gli risulterebbe sgradito un secondo mandato, l’anno prossimo. «Potrei occuparmi lo stesso della politica nazionale — ha spiegato Renzi ai suoi —, magari da un altro "pulpito", quello della presidenza dell’Anci, nel caso in cui Graziano (Delrio, ndr) vada al governo con Enrico».
Ma qualcuno gli ha fatto notare che «per la politica nazionale la segreteria del Partito democratico e la presidenza dell’Anci non sono esattamente la stessa cosa». Renzi, però, ha anche un altro dubbio. Che ha illustrato ai suoi parlamentari in pressing: «Non so se voglio fare il segretario. Se il governo dura significa restare lì degli anni e farsi logorare, ma d’altra parte io voglio che vada avanti, non vorrei assolutamente che questa esperienza finisse prima del tempo, non farei niente ma proprio niente per staccare la spina a Enrico. Anzi, con lui ho un buon rapporto. Siamo tutti e due giovani e ci capiamo».
Chi punta al blitz del 4 maggio o quanto meno a un congresso anticipato per dare al sindaco la segreteria, però, non è stato convinto da questo discorso. In fondo, quella di Renzi non è una scelta definitiva, non è un «no» ultimativo al partito. Il sindaco deve ancora prendere la decisione finale, convinto che comunque vada per lui non ci saranno problemi: «Ragazzi, ho 38 anni io». Come a dire: il tempo è dalla mia, non preoccupatevi.
Maria Teresa Meli