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 2013  aprile 19 Venerdì calendario

IL CHIMICO CHE INVENTÒ IL VIAGGIO AI CONFINI DELLA REALT


Ricorrenza lisergica: settanta anni fa il chimico Albert Hofmann (1906-2008) provò su di sé l’Lsd che aveva sintetizzato, la regina delle sostanze psichedeliche che negli anni 60 e 70 avrebbe influenzato molte generazioni di giovani, ispirato il movimento hippy, cambiato la musica pop e la letteratura giovanile, spalancato una infinità di avventure esistenziali, mostrando mete anche lontanissime, che passavano per l’India e il Sudamerica, ma sempre con destinazioni interiori. La casa editrice Synergetic Press di Santa Fe, New Mexico, ha appena pubblicato la sua biografia, si intitola Mystic Chemist: the Life of Albert Hofmann and his Discovery of Lsd, di Dieter Hagenbach e Lucius Werthmuller, 400 pagine, con brani inediti dei suoi diari e un’ampia scelta di fotografie.
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Quando aveva già superato gli ottanta anni, andai a incontrare nella sua casa svizzera Albert Hofmann, il chimico della Sandoz che aveva sintetizzato per primo (e per caso) l’acido lisergico, l’Lsd. Sostanza che per una lunga stagione – da Timothy Leary fino ai Pink Floyd, passando per Jerry Rubin, Jimi Hendrix e Jack Kerouac – sarebbe sgocciolata su una intera generazione in forma di viaggio, rivelazione, qualche volta incubo. Aprendo in mezzo ai molti mondi possibili una nuova porta della percezione – tutta interiore – che illuminò negli anni della controcultura hippy, e poi psichedelica, la ricerca di Aldous Huxley, i taccuini di Ken Kesey, i sit-in di protesta degli studenti californiani e naturalmente la parabola di Jim Morrison, che a quella porta rendeva omaggio già nel nome (e nella vocazione) del suo gruppo, The Doors.
Immaginavo Hofmann figlio di quei colori, di quelle trasgressioni e di quel disordine creativo. Trovai un uomo asciutto anche nei modi. Il vestito grigio, i capelli bianchi, il sorriso misurato. Probabile che quella misura fosse l’approdo del suo viaggio, come lasciavano intuire i suoi occhi azzurri che invece si muovevano veloci. E certe notevoli sorprese di cui si era circondato. Intanto la sua solida casa di cemento, spigoli e cristalli, 50 chilometri a ovest di Basilea, che si stagliava solitaria sullo sfondo verde di tre confini, quello svizzero a trecento metri in linea d’aria, quello francese a un chilometro, quello tedesco a quindici, come a marcare una magica ubiquità. Poi il più grande dei saloni di casa, per un terzo occupato dal pianoforte a coda, dove al tramonto suonava Mozart, e per due terzi da una piscina azzurra lunga una ventina di metri, larga una sola corsia, dove nuotava per un’ora, tuffandosi ogni mattina alle sei in punto. E infine il suo studio, dove aveva allineato, insieme con le divinità azteche comprate nei sui viaggi in Messico con Allen Ginsberg, i duemila libri scientifici usciti in tutto il mondo che raccontavano i portenti e anche i guai combinati dalla sua sostanza. Che a forza di milligrammi incorporati ai coriandoli da inghiottire per intraprendere il trip ha cambiato la musica, il linguaggio, la filosofia di alcuni milioni di ragazzi; ha spedito per sempre Lucy tra i diamanti del cielo di John Lennon e il dottor Albert Hofman dentro al primo giorno psichedelico della nostra storia occidentale, che lui chiamava «il mio giorno della bicicletta».
Accade alle 4 del pomeriggio di settanta anni fa: il 19 aprile 1943, Hofmann ha 37 anni, da cinque lavora nei laboratori della Sandoz, a Basilea, dove estrae misteri dalle piante officinali e li trasforma in farmaci. Sta lavorando sugli alcaloidi contenuti nella segale cornuta cercando di sintetizzare uno stimolatore della circolazione sanguigna. Tre giorni prima gli erano cadute due gocce della nuova sostanza sulla mano e alla sera si era sentito «leggero e stordito». Così decide di sperimentarla su di sé, versarne cinque milligrammi in acqua distillata, chiudere gli occhi e berla d’un fiato.
Racconta: «Bevo e aspetto. Nessun sapore, guardo fuori, c’è il sole. Sale piano qualcosa, una vibrazione che non conosco. Di colpo mi cambia il quadro ottico: gli oggetti hanno colori abbaglianti, come se li vedessi per la prima volta. Mi cade un vetro dal bancone, il rumore mi arriva da lontano e poi mi rimbomba dentro, come se lo sentissi per la prima volta. Mi alzo. Faccio fatica. Ma quando sono in piedi ho la sensazione di essere contemporaneamente ancora seduto. Mi sto staccando da me. Il prima e il dopo coesistono. Il tempo si piega. Ho paura. Sento il cuore che accelera. Si fa largo una sola idea, tornare a casa. E un istante dopo sono sulla mia bicicletta, ma tutto quello che vedo mi appare distorto, la strada è un tunnel colorato, i palazzi ai bordi si flettono in avanti, le luci hanno scie colorate, i pedali fanno una resistenza elastica, come se fossero di gomma, ogni pedalata mi sembra lentissima. Eppure sento il vento della velocità e dopo un altro istante sono a casa. Penso di essere pazzo, Sento crescere il panico.
«Molto lontano da me, nel mondo delle cose di prima, sento mia moglie che parla, mi chiama. Poi sento la voce di un medico mio amico, sono nel mio letto e il cuore dentro di me adesso ha rallentato, si sta fermando, solo che nessuno se ne accorge, sto morendo e sono solo. Almeno fino a quando il medico comincia a parlarmi con molta calma, mi sta misurando la pressione e mi sta dicendo che va tutto bene, la paura rallenta e poi scompare, mi sento finalmente rilassato, in sintonia con il tempo, ho sonno, tutti i pensieri mi sembrano più belli, mi addormento. E alla mattina quando mi sveglio provo una sensazione di calma assoluta, gli oggetti sono tornati al loro posto eppure mi sembrano tutti nuovi come il mondo che mi accoglie».
Da allora infiniti altri mondi sono entrati nella sua vita. L’Lsd si apre a multiple sperimentazioni, dalla terapia del dolore negli ospedali, che Hofmann segue, agli usi militari studiati dalla Cia, dai quali si terrà alla larga. Fino a quando la Sandoz interrompe la produzione, anno 1966, e la sua sostanza si inabisserà in una nuova avventura, questa volta clandestina. Di voce in voce, la scopre Ernst Junger, il ribelle, per i suoi viaggi «oltre la linea». I poeti beatniks, gli irrequieti, i cacciatori che intendono spingersi oltre lo specchio della realtà. Ai quali Hofmann non si è mai stancato di raccomandare cautela, conoscendo l’inganno di tutte le droghe (anche se l’acido lisergico non ha mai dato assuefazione) che insieme ai piccoli sentieri della ricerca, nascondono anche il baratro improvviso da cui non si risale.
Mi disse: «L’Lsd non è un gioco, ma una faccenda molto seria. Negli anni dell’euforia, dei grandi raduni rock, in cui tutto sembrava consumabile allo stesso modo, la Coca-Cola come il pacifismo, ci sono stati tanti ragazzi che non hanno superato lo shock degli effetti psichedelici e non sono mai più rientrati in sé».
Non ha mai avuto ripensamenti. Ha affrontato polemiche contro il proibizionismo. Ha sostenuto che «la legalizzazione delle droghe è l’unica via per battere i poteri criminali». In tanti anni il suo viaggio ha sfidato parecchi labirinti, ma ha avuto un solo scopo: allargare la coscienza di sé. Fino alla rivelazione che il suo ultimo viaggio acido, tre anni prima del nostro incontro, gli aveva regalato: «Ero su un altopiano del Messico, notte di luna piena, sensazione di estasi. Di fratellanza, Di essere una parte del mondo. Molto piccola, però unica».
Pino Corrias