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 2013  aprile 21 Domenica calendario

CATASTROFE BERSANI DA ROTTAMARE C’È TUTTA LA SINISTRA

Lodevoli ma tardive la dimis­sioni di Pier Luigi Bersani. Lodevoli e tempestive quelle di Rosy Bindi. Il segre­tario del Pd, responsabile della linea del partito, già la sera del 25 febbraio, consta­tato che le urne gli avevano consegnato una vittoria risica­ta, praticamente una sconfitta, avrebbe dovuto intuire che non sarebbe riuscito a combinare nul­la se non scendendo a compromessi: allearsi con il Pdl e con il M5S. Da solo, infatti, non avrebbe potuto governare per mancanza di numeri. Per settimane, ottenuto un incarico esplorativo da Giorgio Napolitano, ha cercato l’appoggio gratuito dei grillini, che gli veniva negato puntualmente.
Lungi dal rassegnarsi, egli ha insistito rasen­tando il ridicolo, piegandosi all’umiliazione di vedere respinta ogni propria avance. Conte­stualmente, non prestava orecchio alle propo­ste di collaborazione di Silvio Berlusconi, il quale, persuaso che Bersani non avrebbe cava­to un ragno dal buco, fin dal primo momento si era dichiarato disponibile alle cosiddette lar­ghe intese. Niente da fare. Bersani ha preferito andare a sbattere contro un muro piuttosto che stringerepatti con l’avversario di una vita. Risultato: nessun esecutivo.
Nel frattempo il mandato di Napolitano si av­vicinava alla scadenza. Bisognava pensare al dopo. Chi eleggere al Quirinale? Serviva un no­me capace di mettere tutti, o quasi,d’accordo. Franco Marini? Senza entusiasmo, l’ex sinda­calista ed ex presidente del Senato, viene can­didato dai due maggiori schieramenti. Sulla carta Marini dovrebbe passare al primo colpo. Ma non è così. Il Pd, scosso da malcelate pole­miche interne, al momento del voto reagisce istericamente: una fazione disubbidisce agli ordini impartiti dal vertice e disperde i consen­si, provocando la bocciatura di quello che do­veva essere l’uomo della concordia.
Ciò che è successo il dì appresso è addirittu­ra paradossale. Il Pd seleziona, con soddisfa­zione espressa all’unanimità, Romano Prodi, nella convinzione che questi sarà spedito sul Colle con i soli suffragi dei progressisti, al mas­simo con un aiutino di qualche esterno ammi­ratore dell’ex premier. Alla verifica dell’aula, Prodi è trombato nel peggiore dei modi, aven­do raggranellato oltre 100 voti meno del neces­sario. Ennesimo fallimento di Bersani che fi­nalmente si rende conto di non avere più in mano il partito, e si dimette. Meglio tardi che mai, usa dire. Ma, in questo caso, i tentenna­menti e gli errori del segretario sono stati esi­ziali. Il Pd è allo sbando. Ha perso credibilità. Versa in condizioni pietose. Rischia addirittu­ra di spaccarsi. Altro che gioiosa macchina da guerra di buona memoria occhettiana: un am­masso di rottami.
Bersani fa quasi tenerezza, ora. Però è diffici­le perdonargli la serie di sciocchezze inanella­te negli ultimi mesi. E pensare che il suo trion­fo­alle primarie pareva destinato ad essere bis­sato alle politiche del 24-25 febbraio, quando invece il Pd superò di misura il Pdl del Cavalie­re, giudicato derelitto. Raramente si è assistito nella storia repubblicana a un disastro come quello causato dal leader piacentino, persona perbene, un’onesta carriera alle spalle, espe­rienza da vendere. Probabilmente Bersani, avendo battuto abbastanza agevolmente il rampantissimo rottamatore, Matteo Renzi, si era un po’ montato la testa,affrontando gli im­pegni successivi con la disinvolta superficiali­tà tipica di chi è affetto da presunzione acuta. Si è deconcentrato e non ne ha più azzeccata una, poco sorretto dalla fortuna, soprattutto insensibile ai segnali lanciati dai suoi elettori desiderosi di novità forti.
Sia come sia, egli non ha capito niente e non è stato all’altezza del ruolo assegnatogli dal partito, in cui fino ad alcuni mesi fa prevaleva­no i conservatori dell’apparato. Supponiamo che il Pd, valutata la crescita sorprende del M5S, abbia mutato umori e idee nel giro di qualche giorno e abbia scoperto di essere at­tratto dal costume pseudorivoluzionario del M5S, al quale tende ad assomigliare e forse a unirsi.All’improvviso i democratici si sono ac­corti di avere un segretario inadatto a rappre­sentarli e hanno dato segni di insofferenza agli schemi obsoleti che il Pd ha ereditato dal vec­chio Pci, peraltro messi in crisi anche dalla pre­senza di un nutrito gruppo di ex democristia­ni.
Di qui l’implosione cui stiamo assistendo in­creduli. Prossimamente, ammesso e non con­cesso che la­situazione politica italiana si stabi­lizzi almeno provvisoriamente, il Pd avrà l’esi­genza di darsi in fretta un assetto dirigenziale attrezzato per gestire almeno il fallimento, sal­vando il salvabile. Non osiamo fare previsioni, consapevoli che potrà accadere di tutto.L’uni­ca certezza è che un’epoca è chiusa e non è fini­to soltanto Bersani, contro il quale sarebbe cru­dele accanirsi. Basta la realtà a condannarlo.
Diversa la posizione di Rosy Bindi, presiden­te del partito. Alla signora va riconosciuto un comportamento coerente: preso atto del terre­moto, si è dimessa con dignità e senza indugi. Cattolica, democristiana di sinistra, è rimasta fedele ai propri principi, discutibili finché si vuole, ma saldi e rispettabili. È una donna di temperamento. Magari tornerà e ci toccherà ancora parlare di lei.