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 2013  aprile 20 Sabato calendario

PERCHÉ A TAVOLA LE AMERICANE PARLANO FORTE

La prima volta me ne accorsi 13 anni fa, quando diventai un abitante di San Francisco, e mettendo radici in California prestai più attenzione ai minimi dettagli “antropologici”, le differenze minute nei comportamenti quotidiani tra “noi” e “loro”. Tra le scoperte che rovesciavano i luoghi comuni, c’era questa: gli americani sono più caciaroni di noi. Soprattutto le americane. La sera. Al ristorante.
Noi italiani crediamo di essere chiassosi al limite della decenza. Ma l’italiano resta allibito di fronte alla muraglia di decibel che lo accoglie in un ristorante americano. Anche a Manhattan ci sono locali raffinati dove non trovi un tavolo libero se non prenoti settimane prima. Poi arrivi lì con due o tre amici, e prima ancora di sederti capisci che sei finito nella trappola del chiasso, dai tavoli si alza un frastuono assordante, allegro e festoso ma distruttivo, riuscirai difficilmente ad avere una conversazione coi tuoi amici.
La colpa, vi ho anticipato, è delle donne americane. Prevalentemente. Sono femminili le voci più sguaiate, gli acuti perfora-timpani, le risate esagerate. La spiegazione me la fornì un amico nonché top manager di successo nella Silicon Valley. «Di giorno le donne americane sono normalmente inibite da una cultura anglosassone puritana. La sera, al secondo bicchiere di vino, quella sovrastruttura etica e culturale crolla. Perdono certe inibizioni». Il ristorante è il palcoscenico dove avviene la metamorfosi da Dottoressa Jekill a Mrs. Hyde. Entro dei codici di comportamento accettati e delle convenzioni sociali prestabilite, una volta a tavola, avendo iniziato le libagioni, rispettabili signore di mezza età possono scimmiottare delle teen-agers scatenate.
Il fenomeno è rivelatore. Quando si dice puritanesimo, ci si riferisce non tanto alla religione quanto ad una cultura e un insieme di norme sociali con un forte controllo degli “istinti”, in particolar modo le pulsioni sessuali. È anche impadronendosi della tradizione puritana, che le donne americane hanno conquistato rispetto, hanno contrastato il sessismo, l’uso della “donna oggetto”. Per chi viene dal paese di Berlusconi, l’America merita ammirazione per il modo in cui le donne si difendono dall’aggressione del machismo. Avete forse già letto l’incidente in cui è incappato perfino Barack Obama. In una cena a San Francisco, il presidente aveva al suo tavolo Kamala Harris, la Attorney General della California (una sorta di ministro della Giustizia e procuratore generale). Nel salutarla Obama l’ha definita “la più bella Attorney che ci sia”.
Apriti cielo. La Harris, mulatta afroamericana, è uno schianto di donna. Ma il complimento è stato una gaffe e Obama ha dovuto fare pubblica autocritica. Le ha telefonato per scusarsi. Il suo portavoce ha fatto sapere che «i due sono vecchi amici, e lui non voleva certamente sminuire le capacità professionali e i successi della Attorney General». La Casa Bianca ha aggiunto che «il presidente è consapevole degli ostacoli che le donne continuano a incontrare nelle loro carriere professionali, e del fatto che non vanno giudicate dalle loro apparenze».
Giusto. E si vorrebbe dai nostri politici la stessa capacità autocritica. Tuttavia la vigilanza politically correct nei luoghi di lavoro americani, arriva a livelli paradossali. Ci sono donne che spendono una fortuna in abiti di stilisti italiani, abbonamenti a corsi di pilates, parrucchieri, manicure pedicure, beauty farm e cosmetici preziosi. Poi arrivano in ufficio e i colleghi maschi devono ignorarle, voltarsi dall’altra parte, fare commenti solo sul tempo che fa. Un complimento alla pettinatura o al vestito può far scattare un’inchiesta interna, provvedimenti disciplinari. Non esagero, i codici etici antimolestie di tante aziende sono proprio così. Si finisce per eliminare dai luoghi di lavoro anche quella tensione erotica che - se lasciata sospesa nell’aria, a livello virtuale - è un’energia benefica quanto l’energia solare.
Poi le signore, furibonde per essere state ignorate, si scatenano la sera, al ristorante.