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 2013  aprile 21 Domenica calendario

UN PARTITO DISTRUTTO DA UN TWEET


Non ci sono franchi tiratori e segreti dell’urna, nel truce reality show che esibisce la morte del Partito democratico. Piuttosto ci sono killer che agiscono alla luce del sole, assassini politici seriali che hanno somministrato il veleno quotidiano finché il corpaccione democratico non s’è accasciato al suolo.
Il Pd è stato ammazzato dai suoi consiglieri. È caduto nel trappolone delle sirene e ne è stato fatto a pezzi. È stato devastato dalle primarie, che ne hanno infettato le ferite fino alla cancrena. Perché l’elezione popolare del leader è una formula che funziona se, appunto, ci sono dei leader veri, non delle mezze calzette di Bettola. Altrimenti, sono ottime per riempirsi la bocca con la «democrazia dal basso», poi generano mostri. Non a caso, le primarie sono un parto degenere dell’era girotondina: per dare l’illusione di aprirsi alla società civile, il centrosinistra cominciò a lavare - più per finta che per davvero - i panni sporchi nella pubblica fontana. È finita che i vestiti si sono rovinati del tutto.
L’ossessione della piazza da accontentare è ritornata prepotente nei mesi passati, fino allo spettacolo desolante degli ultimi giorni. Un’intera classe dirigente, quella progressista, prigioniera di Twitter. Avendo completamente smarrito il polso del Paese, imbambolati da Grillo, si sono affidati alla rete. Che è ondivaga e spesso estremista. Tifava contro «l’inciucio», quando il dialogo col centrodestra era fin dall’inizio l’unica strada percorribile. Un politico serio l’avrebbe capito. Avercene... Invece è bastato che in una piazza un pugno di militanti bruciasse la tessera per provocare smottamenti degni di un’ubriacatura molesta. Piazza, bella piazza: ma oltre a internet e agli urlatori ci sono milioni di elettori meno visibili che un segretario è chiamato a rappresentare.
Non bastasse la debolezza del pilota, ci si mette pure l’incompetenza dei navigatori. Su tutti, quei geniacci di Repubblica (giornale per cui scriveva Miguel Gotor, fallimentare consulente bersaniano). Illustri commentatori che da due giorni infieriscono sul cadavere di Bersani, dimenticando che a condurlo dove si trova sono stati loro. Lo hanno appoggiato sin dall’ini - zio. Fu Carlo De Benedetti, lo scorso ottobre, ad augurarsi che vincesse le primarie: «È una persona saggia ed equilibrata e non ci porterebbe verso nessuna avventura», disse. Lungimirante.
Non solo. Si deve al «partito Repubblica » se in questi anni è stato fomentato il più feroce antiberlusconismo, la malattia senile dei post comunisti che impedisce ogni contatto con l’avversario. Se Bersanise n’è andato a spasso dietro a Grillo - che l’ha menato per il naso con sommo gusto - è anche grazie al martellamento feroce contro il Cavaliere portato avanti in questi anni. Ancora venerdì Curzio Maltese accusava i vertici del Pd (in specie Bersani) di essere «cinici, ostinati e dilettanti». Peccato che poi indicasse due scelte possibili per l’elezione del presidente: Prodi o Rodotà. Scaltro.
Ieri Ezio Mauro tuonava contro l’ex amico Pier Luigi, definendone «doverose» le dimissioni. «Mancanza di guida, cupio dissolvi, dipendenza dal flusso dei tweet più che da qualche corrente di pensiero », questi i difetti del partito secondo il signor direttore. Il quale si disperava perché il Pd ha bruciato «un uomo antico e rispettabile come Marini» e il fondatore Prodi. Ma come, non è stata Repubblicaa stampare gli appelli di Barbara Spinelli e Michele Serra per Rodotà? Infatti ieri lo stesso Serra scriveva: «L’indispensabile è che il Pd si taccia, e accetti serenamente un dato di fatto: (...) nessuno pretende alcunché da lui, se non che si faccia da canto e lasci lavorare gli altri». E poi Mauro si lamenta della «cupio dissolvi»? Se il Pd è morto, lo dobbiamo a queste persone. Ecco perché le ringraziamo sentitamente.