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 2013  aprile 22 Lunedì calendario

RETROMARCIA SUL COLOSSEO "BEPPE CI HA LASCIATI SOLI"

Alle 17 di ieri, ventiquattro ore e mezzo dopo aver scritto sul blog che era in corso un colpo di stato, Beppe Grillo ha preso il camper e ha lasciato Roma. Da tre ore la sue gente, convocata dai moderni ritrovati della tecnologia, a cominciare dal tweet mattutino di Roberta Lombardi, capogruppo a cinque stelle alla Camera, aspettava sotto il sole nella piazza Santi Apostoli. Appuntamento alle 15. I più erano arrivati alle 14 o poco dopo per guadagnare il posto migliore. La sorpresa è che, a dare un punto di riferimento, il palco non c’era. Ma tutti erano lì con la rabbia e l’entusiasmo della folla che ribalta il mondo, e avevano aspettato forse due minuti per ritmare il nome di Stefano Rodotà, qualificare Giorgio Napolitano come mafioso e intonare i cori d’ordinanza: «Tutti a casa», o «tutti in galera». Periodici boati sembravano preannunciare l’arrivo del profeta. Da un portone sbucava invece il capogruppo al Senato, Vito Crimi, che assediato dava informazioni udibili soltanto dai più vicini. Una troupe della Rai trascinava per la piazza un minuscolo palchetto per telecamere: due metri quadrati per settanta centimetri di altezza. «Glielo prestiamo perché non ne hanno uno», diceva il tecnico. Un mezzo della tv di Stato per sventare il colpo di Stato: era la logica stringente di questi giorni.

Non si capiva nulla. E infatti, mentre gli organizzatori pianificavano l’arrivo di Grillo su un lato della piazza, lui sbucava come una visione esattamente sull’altro. Anzi, non ci arrivava nemmeno. Si fermava con l’auto poco prima, verso piazza Venezia, accerchiato da cronisti e simpatizzanti ormai cresciuti a qualche migliaio. Grillo saliva sul tetto della macchina, gridava «arrendetevi» e poi se la filava. Erano le 15.45. Fine. I più non se ne sono nemmeno accorti. Le notizie giravano per la piazza come una psicosi: si sarebbe affacciato a una finestra; no, c’è un corridoio nell’assembramento per fare arrivare Beppe al palco; secondo qualcuno era salito coi fedelissimi a occupare il Quirinale. Invece se l’era battuta dando la colpa ai giornalisti intanto che i suoi davano la colpa all’amministrazione romana per com’era stato pianificato il sit-in. E il sindaco Alemanno se la rideva per il disastro organizzativo dei grillini. Crimi cercava di rimediare e dentro un megafono gracchiava qualcosa di incomprensibile. Una, due volte. Lo stesso la Lombardi nel frattempo che degli attivisti si pigliavano il solito palchetto e ci salivano sopra a parlare dei guai della Regione Lazio.

Alle 17, dopo che si era sparsa la voce di un raid di massa al Colle, il cittadino Alessandro Di Battista riusciva a dare la direttiva: «Si va al Colosseo!». Al Colosseo? C’è più spazio, spiegavano quelli in pettorina a cinque stelle. Beppe è là, dicevano, e userà il palco del Natale di Roma (festa di ieri) per il comizio. E allora ci siamo avviati, e saremo stati almeno cinquemila, tutti dietro al cordone della polizia. Piazza Venezia, i Fori. Un coro via l’altro: Berlusconi in galera; Berlusconi ci hai rotto i coglioni; vergogna; la speranza dell’Italia siamo noi. E però, quando si è arrivati al Colosseo, il palco non c’era. La gente non sapeva dove mettersi. Si formavano drappelli per qualche strano caso, e i più ci si buttavano sopra per scoprire che non c’era nessuno di notevole. «Si va al Circo Massimo!», gridava uno. «Sì al Circo Massimo c’è spazio, Beppe potrà parlare». Sembrava uno scherzo. Però poi, issata sull’aiuola lungo i Fori, la Lombardi riusciva ad attirare l’attenzione: «Dovete dire a quelli dietro che ci si scioglie... Ma organizzeremo una manifestazione nei prossimi giorni». Un mormorio. Qualche fischio. Qualche «nooo». Un donna saltava su imbestialita: «Sono in piazza da ieri pomeriggio perché Beppe ci ha detto di non lasciarlo solo! Ma è lui che lascia soli noi!». Alcuni annuivano. «Ha detto che c’era un colpo di Stato! E perché non è qui con noi? In due giorni non si è mai fatto vedere!». Qualche applauso. Non molti però. Un avvocato non si sa come spiegava che si poteva far ricorso contro l’elezione di Napolitano, ma quando hanno capito che era un semplice attivista di Bracciano lo hanno mandato al diavolo: «Basta! Al Quirinaleee!».

A quel punto sarebbe bastato che parlasse la Lombardi, visto che Crimi era già sparito da un pezzo. Di Battista riusciva a condurre la torma verso l’altro lato del Colosseo, a fianco dell’Arco di Costantino, e insieme con altri parlamentari si arrampicava sul muretto. La gente, o quel che ne restava, perché i più erano rincasati delusi, erano sotto a invocare il nome della Lombardi. Ma era sparita anche lei. Altri mugugni, e di nuovo si puntava al Colle. Di Battista faceva l’istituzionale: «State calmi, cambieremo le cose dentro il palazzo. Non abbiamo ancora cominciato a lavorare». E uno: «E allora il lavoro andiamo a cominciarlo noi al Quirinale». Molti gridavano chiedendo perché Grillo li avesse piantati lì per due giorni. La scusa dell’assalto dei giornalisti faceva presa fino a un certo punto, ma reggeva. Quirinale, l’obiettivo era il Quirinale, il cuore del golpe: «Andiamo e mettiamoci davanti e domattina non facciamo entrare nessuno», proponevano i dimostranti. Uno dei parlamentari spiegava che non era possibile, la polizia li avrebbe bloccati. «E che ce ne importa! Con che autorità, quella della mafia?». Sembrava nonci fosse verso. Ma a poco a poco, bravissimi, i parlamentari a cinque stelle placavano le centinaia lì sotto. «In due giorni abbiamo fatto fuori Bersani, Prodi e la Bindi». Promettevano il reddito di cittadinanza. Qualcuno chiedeva delle banche. Qualcuno si lamentava dello stipendio. Ormai era un’assemblea e la rabbia era annacquata. E quando è passato uno - «Viva Napolitano! Il mio presidente!» - s’è preso giusto due insulti. In fondo era stato più vivo di Grillo.