Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  aprile 22 Lunedì calendario

CARBONE. LA RIVINCITA E’ SERVITA

Brutto, sporco e cattivo, ma sempre più economico e diffuso. Il carbone termico cresce a vista d’occhio nei Paesi che stanno abbandonando il nucleare. Al tempo stesso, i suoi prezzi calano grazie all’enorme disponibilità di offerta, soprattutto dagli Stati Uniti, dove la rivoluzione dello shale gas ha fatto crollare il prezzo del metano, spiazzando grandi quantità di carbone che hanno preso la via dell’export.
Domanda in crescita
Così, mentre la domanda di carbone nel 2012 è salita del 5% a 7,1 miliardi di tonnellate, i prezzi sono diminuiti di un quarto, scendendo ai minimi da tre anni: meno di 80 dollari per tonnellata negli ultimi giorni al terminal marittimo di Amsterdam-Rotterdam- Anversa, un livello che ormai è inferiore ai costi di produzione sopportati da molte compagnie minerarie. Una tendenza analoga si sta sviluppando anche in Asia. Gli attesi contratti di fornitura per il nuovo anno fiscale in Giappone, che condizionano direttamente o indirettamente il prezzo di un terzo del carbone scambiato al mondo, si sono protratti ben oltre l’inizio del nuovo anno fiscale (cominciato il 1° aprile), per concludersi a 95 dollari la tonnellata, sotto del 18% rispetto ai 115 dollari dell’anno scorso.
«Il boom dello shale gas sta comprimendo i prezzi di tutte le materie prime, compresi i diritti di emissione di CO2, che ormai sono al minimo storico — commenta Davide Tabarelli di Nomisma Energia —. Alla lunga, questo inciderà anche sul prezzo del petrolio, quando gli americani riusciranno a superare il divieto di esportare idrocarburi e cominceranno a inondare l’Europa di tight oil, che stanno estraendo in maniera sempre più massiccia in North Dakota», avverte Tabarelli.
Profitti e centrali
Per il momento, le ricadute sul carbone sono le più importanti. «Oggi in Europa il carbone è senza dubbio la fonte più competitiva per la generazione di elettricità — spiega Tabarelli —. Non stupisce che se ne consumino quantità crescenti: le centrali a gas a ciclo combinato, su cui le utility europee hanno investito 30 miliardi negli ultimi dieci anni, oggi sono tutte in perdita, perché i prezzi dell’energia elettrica sono scesi con la crisi, mentre il metano resta abbastanza caro. Con il carbone invece le centrali fanno profitti». Così le importazioni europee di carbone termico sono aumentate del 6% nel 2012, a 210 milioni di tonnellate e alcuni Paesi hanno registrato rialzi a due cifre: +31% per il Regno Unito, +13,7% per la Francia. L’Italia è in linea, con un import in rialzo del 12% a 19 milioni di tonnellate, ma si partiva da livelli molto bassi: mentre in Europa il carbone rappresenta il 33% del mix energetico, in Italia, dove paghiamo le bollette più care, andiamo ancora per il 60% a gas e solo per il 12% a carbone.
Concentrazioni
Le conseguenze si avvertono nel mondo minerario, dove il processo di concentrazione è già cominciato: Glencore, numero uno al mondo nel trading di materie prime con sede in Svizzera, e Xstrata, società mineraria anglosudafricana, hanno appena superato lo scoglio dell’Antitrust cinese per creare un maxigruppo globale da 76 miliardi che unisce produzione e trading. Per le altre compagnie minerarie, da Rio Tinto ad Anglo American, e i grandi trader, come Noble Group o Mitsubishi, le ripercussioni in Borsa non sono entusiasmanti. Rio Tinto, ad esempio, sta già cercando di ridimensionare le attività nel carbone. Il colosso australiano ha annunciato che 1.300 posti di lavoro sono a rischio nel New South Wales dopo una causa persa con la magistratura locale e si è rivolto a Deutsche Bank per dismettere miliardi di asset nel carbone australiano, fra cui una quota consistente di Coal & Allied. Gli analisti stimano che in Australia, dove c’è stato un forte aumento dei costi di estrazione abbinato a un rafforzamento della valuta locale, un quarto delle miniere di carbone stia operando in perdita con il carbone sotto i 100 dollari a tonnellata.
Ma attenzione, Wood Mackenzie avverte, nel suo ultimo rapporto, che l’età d’oro del carbone in Europa durerà al massimo fino al 2020: il gas — che l’anno scorso ha generato il 20% di elettricità in meno, a fronte di un +15% del carbone — finirà col prendersi la rivincita.
Elena Comelli