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 2013  aprile 22 Lunedì calendario

LA CACCIA AL POLITICO E L’OMBRA DEL RAPHAEL

SOMIGLIAVANO a quei siciliani che alla vigilia dei Vespri sputavano di lato ogni volta che accanto a loro passava un soldato francese.
SOMIGLIAVANO a loro i giovanotti romani che sabato sera urlavano “Franceschi’, a li mortacci tua!” all’ex segretario del Pd, bollandolo come “venduto”, “buffone” e “traditore” per non aver votato per Rodotà.
E quella che poteva sembrare una protesta goliardica, cominciata col sorriso è diventata a poco a poco un’altra cosa, con il linguaggio crudo e volgare della curva sud, con il dito medio alzato, con il coro malaugurante “Che te vada per traverso, che te vada per traverso!”, insomma qualcosa di assai simile agli sputi dei siciliani del 1282, gesti di di silenzioso disprezzo che poi però si trasformarono nel grido “Mora, mora!” della sanguinosa caccia al francese.
Ma non bisogna farsi confondere le idee, perché oggi non c’è nessun piano dietro una bravata spontanea di qualche testa calda, e anche se qualcuno portava la bandiera di Rifondazione comunista e qualcun altro invocava il nome di Stefano Rodotà, tutti abbiamo l’assoluta certezza che né i comunisti né Rodotà avrebbero mai permesso che un parlamentare fosse assediato e insultato come una banda di ultras circonda il pullman della squadra avversaria.
Certo, tira una brutta aria per i politici. E non solo per Berlusconi, che ormai si dev’essere abituato a sentire qualcuno che gli urla “Buffone!” appena lui scende dall’auto blindata (gli è successo giovedì a Udine e venerdì a Roma). Non solo per i politici di destra come Formigoni (accolto dall’urlo “traditore!”) davanti alla Camera. Non solo per i notabili centristi come Buttiglione (“parassita” e “venduto”, gli hanno detto in piazza Montecitorio).
No, adesso ci sono i democratici sotto tiro. Non in quanto casta, ma proprio in quanto democratici — e a maggior ragione dopo la frattura che lo scontro su Rodotà ha aperto a sinistra — come è successo
a Laura Boldrini e a Pietro Grasso sabato sera, minacciosamente contestati mentre andavano in automobile al Quirinale. E la rabbia dei giovani comunisti che gridano contro i volti-simbolo del Pd non esprime un’ira popolare contro la casta, ma somiglia piuttosto alla collera dei leghisti bossiani che a Pontida fischiavano Tosi e deridevano Maroni.
E’ difficile, davvero difficile, non tornare con la memoria a quel 30 aprile di vent’anni fa, a quella folla che davanti al Raphael urlava “lurido ladro!” a Bettino Craxi e gli tirava contro manciate di monetine. Ma sarebbe un errore pensare che oggi stiamo vivendo la seconda puntata della stessa storia, perché non è così. E se è vero che anche allora i politici anche solo lambiti dal ciclone di Tangentopoli venivano scansati come appestati e additati al disprezzo dai portabandiera degli onesti, tra l’Italia del 1993 e quella del 2013 c’è una fondamentale differenza.
Perché oggi non c’è nessun regista dietro le contestazioni dei politici. Allora quasi nulla accadeva per caso, e infatti tra la folla del Raphael c’erano anche i militanti della Rete — quella di Orlando, non quella di Grillo — così come c’erano Gasparri e Buontempo tra i giovani di destra che il 16 marzo 1993 assediarono Montecitorio gridando «Arrendetevi, siete circondati!». Oggi nessuno guida o teorizza una rivolta contro i po-litici, nemmeno Grillo che urla «Vaffanculo!» a tutti, e anzi adesso è proprio lui a raccomandare ai suoi di evitare «ogni tipo di violenza», evidentemente preoccupato che qualcuno accenda un fiammifero sulla benzina che lui ha sparso davanti al Palazzo, gridando addirittura al golpe.
No, il vergognoso assedio al ristorante di Franceschini non ci porta alla vigilia dei Vespri siciliani, non è l’indizio di una nuova rabbia popolare contro la casta. Piuttosto è il segnale che oggi c’è qualcuno al quale basta il dissenso dell’avversario per dargli addosso (per ora verbalmente) portando nella politica il lessico e i metodi degli ultras. Ma proprio per questo la politica deve stare attenta a non legittimare con le sue parole l’imbarbarimento della contestazione. Ed evitare, per esempio, metafore che qualcuno potrebbe prendere alla lettera. E’ capitato persino al pacifico Franceschini, che tre ore prima di essere così ignobilmente contestato dichiarava a RaiNews che «bisognerebbe correre dietro ai franchi tiratori con i bastoni, dopo averli identificati».
A quei giovanotti che sabato sera hanno pensato che fosse normale, legittimo e giusto insultare un parlamentare colpevole solo di non aver cambiato idea come volevano loro, la politica oggi ha il dovere di insegnare un valore prezioso che sta drammaticamente scomparendo: il rispetto dell’avversario.