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 2013  aprile 22 Lunedì calendario

IGOR IL TERRIBILE IL BOSS DEL PETROLIO ALLARGA IL SUO IMPERO DA PUTIN AI MORATTI

Mosca A vviso ai tifosi dell’Inter galvanizzati dall’ingresso dei milioni russi nella Saras di casa Moratti: qui il soprannome più tenero per Igor Sechin, amministratore delegato del colosso Rosneft, è Dart Fener, il cattivo di Guerre Stellari. Ma c’è di peggio. Per molti è confidenzialmente “l’uomo più spaventoso del mondo”. Dove il riferimento non è solo al suo aspetto fisico, non proprio tranquillizzante, quanto piuttosto al potere spaventoso e occulto che quest’uomo misterioso e defilato detiene all’ombra del Cremlino. Del resto, ci sarà pure un motivo se la rivista Timeha deciso di inserire Sechin, e nessun altro russo, nella sua classifica delle cento personalità più influenti del mondo. La stessa che include il Papa, Obama, e più misteriosamente Mario Balotelli. Ennesima amarezza per i fan neroazzurri. Dirigere una compagnia di estrazione e commercializzazione del petrolio che, dopo il recente acquisto della Tnk-Bp, è diventata la più grande al mondo, non basta. Il potere di Sechin va ben oltre. La sua “spada laser”, per restare nel tema della saga di Lukas, sarebbe una voluminosa agenda rilegata in pelle marrone, e fitta di segnalibri e di post-it, che si porta dietro da sempre. Da quando, giovanissimo ufficiale del Kgb e consigliere dell’emergente collega Vladimir Putin, cominciò la sua inarrestabile scalata. In quell’agenda, si mormora con una certa preoccupazione, ci sarebbero i segreti più inconfessabili degli ultimi anni
di Storia russa: i progetti, più arditi, la lista dei nemici da colpire e degli amici da tenere sempre sotto controllo. Grazie a quei preziosi appunti, Sechin ha costruito la sua fama ambigua e controversa: “eccellente numero due”, “confidente e consigliere del Capo”, “abilissimo mediatore”, “killer spietato e senza scrupoli”. Definizioni contrastanti ma tutte più o meno calzanti per una personalità sfuggente che nemmeno i ricordi postumi degli amici di infanzia riescono a delineare con precisione. Nato nel 1960 in una periferia di San Pietroburgo, quando ancora si chiamava Leningrado, insieme alla sorella gemella Irina, adesso direttrice di banca, Igor Sechin è un esempio di scalata sociale in salsa sovietica. Figlio di operai, confinati in un mini appartamento di pochi metri quadrati, sarebbe stato destinato alla stessa carriera dei genitori se non fosse avvenuto un piccolo miracolo: l’inaugurazione, accanto alla loro khruscjovka, della scuola “numero 133” specializzata in lingua francese e destinata ai raccomandati figli della nomenklatura dell’epoca. Riuscire a inserire Igor in quella scuola nella quota minima riservata ai comuni mortali definiti “figli della Rivoluzione”, fu per anni il vanto della madre, Nina Konstantinovna, che si considerò per questo l’artefice della grande svolta di famiglia. Vivere insieme agli esponenti di una classe sociale più agiata ed evoluta, era in Unione Sovietica affare ancora più arduo che in Occidente. Il piccolo Igor, figlio di operai, imparò a copiare in silenzio i vezzi e i gusti dei suoi compagni. Scoprì il cinema francese, le rozze buone maniere dell’epoca, le letture e gli accoppiamenti di colori più alla moda. Ma, per resistere, in un ambiente ostile fu inevitabilmente costretto al passo che avrebbe segnato il suo successo futuro: diventare uno stuckach, un delatore. Era la prassi in tutte le scuole e strutture pubbliche sovietiche. Un soggetto definito debole, veniva incaricato dalle autorità di istituto di redigere periodiche relazioni sui comportamenti dei compagni e del personale, segnalando eventuali comportamenti antipatriottici e illegali. Sechin lo fece con grande dedizione riuscendo a non rovinarsi i rapporti quotidiani e a fare del suo ruolo una chiave di potere. “Tutti sapevamo che era uno stuckach - racconta adesso una compagna di banco - ma non lo biasimavamo perché lo faceva con spirito patriottico senza cattiveria”. E poi conclude con una considerazione che vale ancora ai nostri giorni: “Comunque era meglio averlo sempre come amico”. Perché già da quegli anni, essere nel mirino di Igor Sechin poteva essere molto pericoloso. La lista di vittime è lunga. Ed è diventata sempre più sostanziosa dai primi anni ‘80, quando laureato in lingua portoghese, Sechin venne arruolato ufficialmente dal Kgb e inviato come ufficiale di collegamento in Angola e Mozambico. In quegli anni duri di guerra e traffico d’armi gestito direttamente dal governo sovietico, Sechin maturò le qualità che ne fanno il “Dart Fener” di oggi. E che lo fecero entrare nel clan del nascente gruppo dei “Siloviki”, gli agenti segreti pietroburghesi di Vladimir Putin. Diventato consigliere speciale dell’attuale uomo più potente di Russia, Sechin cominciò a sfoggiare la sua agenda marrone e i piani per il rafforzamento del potere del Capo. Implacabile. Dai suoi appunti misteriosi tirò fuori la tesi del “complotto degli oligarchi” che avrebbe spianato la strada alla crociata di Putin contro i miliardari ribelli che si erano spartiti gli asset della dissolta Unione Sovietica. Da solo, orchestrò la trappola per il proprietario dell’allora potentissima azienda petrolifera Yukos, Mikhail Khodorkovskij. La tela tessuta sapientemente, tra tradimenti e improvvisi cambi di fronte, ottenne i suoi frutti. Khodorkovskij, schiacciato da accuse palesemente inventate, è ancora in galera da dieci anni. Le proprietà dismesse della Yukos sono gestiti da allora da Rosneft, l’azienda di Stato che Sechin si era fatta intestare allo scopo. Pugnalare Khodorkovskij e mangiarsi tutta la Yukos, è stato il fiore all’occhiello di una carriera senza ostacoli. Entrato nel cuore di Putin, Sechin ha ricoperto tutte le cariche possibili, da consigliere del Presidente a vicepremier quando Putin decise di parcheggiarsi come Primo Ministro prima di tornare al Cremlino. In questi anni ha gestito gli amici e i nemici garantendo cariche e superstipendi a illustri rampolli di miliardari, ha fornito preziosi consigli a Putin in materia economica e anche politica. A lui, pare si debba, ad esempio, la svolta giudiziaria che sta incastrando Aleksej Navalnyj, il blogger anticorruzione divenuto scomodo agitatore delle proteste di piazza. A lui si deve la brillante e sorprendente carriera del professore pietroburghese Dmitrj Medvedev, diventato presidente e adesso premier. Come, sempre a Sechin, si devono tutti i tanti colpi di stiletto riservati dal Cremlino a Medvedev e ai suoi per tenerne a bada le ambizioni e ridurne la sfera di influenza. Il tutto in un riserbo inquietante che, tanto per fare un esempio, dopo tanti anni non fa nemmeno sapere al mondo quanti figli ha. Ufficialmente esiste solo la trentunenne Inga, sposata con il figlio di Aleksej Ustinov, altro boss del clan dei fedelissimi di Putin. Tutti insieme abitano al numero 3 di Shvedskij Tupik in un condominio di lusso di fronte al Cremlino dove vivono tanti vip della finanza russa. Indagando come si fa per i latitanti, i giornalisti hanno scoperto che nello stesso appartamento vive la moglie Marina, che ha lo stesso numero di telefono di una delle più grandi aziende edili di Russia. E anche un tale Ivan Sechin, 23 anni. Chi è? Un figlio adottivo, un parente? Nessuno lo sa con certezza. Questo è il livello di informazioni disponibili sul russo più influente del mondo. Capite adesso, il soprannome di “Dart Fener”?