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 2013  aprile 22 Lunedì calendario

LUXOTTICA, FERRARI, TOD’S LA GRANDE RIVINCITA DEL WELFARE AZIENDALE

Come ai tempi di Adriano Olivetti che pagava gli alloggi ai dipendenti e gli finanziava i soggiorni di studio, o della Malf, la mutua aziendale Fiat che copriva qualsiasi cura. Si sta tornando al welfare aziendale: imprese che pagano i libri di scuola per i figli, coprono le spese del dentista o addirittura della tintoria, per non parlare dei ticket restaurant o dei sempre più diffusi asili nido. In cambio ne hanno lealtà da parte del lavoratore, impegno, più tempo per la produzione. E un simbolo dell’eccellenza italiana come Technogym ha creato un laboratorio per dimostrare che con l’attività sportiva in azienda si garantisce ai dipendenti salute e lunga e più fruttuosa vita lavorativa.
C’ è la crisi? Ci pensa l’azienda. Dal dentista ai libri per i figli, dal nido alla pensione integrativa, tutto quel che fa welfare torna tra i benefit dei fortunati che un lavoro ce l’hanno. Non è la prima volta che succede in Italia. Era così nei grandi gruppi industriali degli anni Sessanta, quando il boom economico portava lavoro soprattutto al Nord. Tra gli effetti collaterali dell’urbanizzazione di centinaia di migliaia di persone c’erano i vantaggi della mutua aziendale, del natale Bambini, degli sconti nei negozi convenzionati. Era il modello dell’azienda-mamma, quella che in Giappone ti seguiva dalla culla alla tomba e che con quei benefit fidelizzava ulteriormente i dipendenti e i loro familiari. C’erano molti vantaggi e qualche
svantaggio. Negli anni Sessanta e Settanta tutti i dipendenti del gruppo Fiat e le famiglie avevano una mutua aziendale, la Malf, particolarmente efficiente. Ognuno possedeva un piccolo libretto azzurro dove lo specialista dell’ambulatorio aziendale annotava meticolosamente ogni malattia dell’assistito. Non era il massimo della privacy, si direbbe oggi. Ma funzionava molto bene. Poi arrivò il servizio sanitario nazionale ad assorbire le decine di Malf sparse per la Penisola seguendo la logica egualitaria per cui la salute è un diritto di tutti i cittadini e non un benefit del singolo dipendente. Oggi la crisi sembra aver riportato indietro le lancette dell’orologio. Ma i modelli di welfare che si stanno sperimentando negli ultimi mesi sono solo lontani parenti di quelli di mezzo secolo fa. Un’indagine condotta da Edenred mette in evidenza che nel luglio del 2011 il benefit più richiesto dai dipendenti era soprattutto legato al cibo: il 55,8 per cento degli intervistati indicava al primo posto il ticket restaurant. Forse a influenzare chi aveva risposto ha influito il fatto che Edenred è una società leader nel settore dei buoni pasto. Ma accanto alla ristorazione già a metà 2011 erano indicate come esigenze da soddisfare la copertura delle spese sanitarie, sconti sui sistemi di trasporto e asili aziendali. Oltre a curiosità come la richiesta di assistenza legale, il commercialista e addirittura la lavanderia con ritiro e consegna in ufficio. Con l’aggravarsi della crisi, le aziende hanno cominciato ad offrire a dipendenti e famigliari quei servizi che i tagli del welfare pubblico non era più in grado di soddisfare. Il caso tipico è quello degli asili aziendali. La Nestlè ha istituito l’asilo di fabbrica alla Perugina per l’alto numero di donne negli organici. Ma asili aziendali sono presenti alla Ferrari di Maranello, nelle sedi di banche come Unicredit, Bnl, Intesa, in grandi società come Vodafone. Una scelta che è speculare alle decisioni degli enti locali di chiudere o ridurre l’attività delle strutture chesi occupano dei bambini piccoli. Ma anche, spiegano i sociologi, la conseguenza dell’aumento delle separazioni e delle figure dei single-lavoratori con alle spalle una rete familiare più precaria di un tempo. «Il problema - spiega Vincenzo la Corte dell’area industria della Cgil - è che spesso il welfare aziendale è appannaggio dei dipendenti delle grandi aziende. E questo è un problema in un Paese che è caratterizzato dalla diffusa presenza di piccole e medie imprese. Perché passare dal welfare pubblico per tutti al welfare per pochi significa peggiorare la condizione di vita di milioni di persone». Per sopperire alle falle di un sistema di tutele che rischia effettivamente di essere riservato solo ad alcuni, è nata l’idea dei voucher. Se un’azienda non è in grado, da sola, di far fronte ai costi di un asilo, si può pensare di trasferire a questo tipo di benefit un sistema di voucher simile a quello dei buoni pasto creando in un territorio un solo asilo che serva i dipendenti di più aziende che possono accedere presentando i loro buoni. Il sistema prevede che la distribuzione dei voucher per gli asili venga definita nei contratti integrativi delle aziende del territorio. A questa soluzione sembrano favorevoli solo una parte delle aziende perché quelle piccole non sarebbero comunque in grado di far fronte ai costi. Tra le grandi aziende che hanno imboccato la strada del welfare c’è la Luxottica con un accordo integrativo che un anno fa venne considerato un’intesa-pilota. Riguarda gli 8.000 operai e impiegati del gruppo a livello nazionale e prevede facilitazioni sanitarie, convenzioni per l’uso di mezzi di trasporto, aiuti per l’istruzione scolastica dei dipendenti e dei loro familiari. Decisamente innovativa la possibilità di sostegno per le famiglie con portatori di handicap, anziani in difficoltà, ragazzi che hanno problemi con la droga. Al gruppo farmaceutico Bracco si offre la possibilità di assistenza domiciliare a chi abbia in casa anziani non autosufficienti. Tra i benefit dei dipendenti Ferrari c’è anche il biglietto del cinema. La strada del welfare è stata imboccata, proprio nei giorni scorsi, da Finmeccanica che ha firmato con i sindacati un accordo-protocollo per molti versi innovativo. Innanzitutto perché, pur trattandosi della categoria del metalmeccanici, porta la firma di tutte le organizzazioni sindacali, Fiom compresa. Questo grazie all’adozione di quel meccanismo di raffreddamento dei conflitti che la Fiom torinese aveva invano offerto alla Fiat in occasione della trattativa alla Maserati di Grugliasco, vicino a Torino. Dal punto di vista dei benefit per i dipendenti si scrive che «le parti convengono sull’importanza di intervenire in modo sempre più marcato sulle attività di welfare aziendale a partire dall’estensione delle migliori pratiche presenti come l’assistenza sanitaria integrativa e gli asili nido». Iniziative importanti che sopperiscono alle carenze del sistema pubblico ma che hanno il difetto di essere riservate solo a chi il lavoro ce l’ha. Per provare a uscire dal limite di un’assistenza che finisce per dividere tra occupati e disoccupati, tra dipendenti e non, il patron di Tod’s, Diego della Valle ha lanciato recentemente l’idea di un welfare di territorio. «E’ la politica del compasso», ha detto. Spiegando che «se ogni azienda che fa utili destinasse l’uno per cento dei suoi profitti al territorio che la circonda, le sole società quotate nel Mib40 potrebbe destinare al territorio italiano circa 150 milioni all’anno ». Denari che potrebbero servire ad aiutare i comuni in difficoltà nell’assistenza agli anziani o nel mantenimento della rete del trasporto pubblico. Il welfare del compasso verrà presto inaugurato dalla Tod’s che nell’assemblea di soci di venerdì scorso ha nominato nel cda un «consigliere delegato alla solidarietà». Iniziativa importante per dare un segnale non solo alla community dei dipendenti ma anche a quella della società civile che la circonda. E’ il ritorno a un modello, quello della forte integrazione tra assistenza aziendale e assistenza pubblica, che aveva caratterizzato l’industrializzazione nel Nord con esperienze come quella di Adriano Olivetti a Ivrea: l’idea che il benessere generato da una fabbrica debba essere esteso anche al territorio che la circonda.