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 2013  aprile 20 Sabato calendario

AFFERRARE L’UOMO CON MONTAIGNE

Dove, se non a Torino, la gozzaniana città d’un bel garbo parigino, riconoscere Madame la France? In questo e in quel luogo, dal ponte di piazza Vittorio (l’ Encyclopédie lo raccomandava per i duelli) alla fu Libreria di monsieur Caputo, ai portici dove passeggiava Giono. In questa e in quella figura, da Franco Venturi narratore della giovinezza di Diderot, a Leone Ginzburg, laureatosi discutendo una tesi su Maupassant, da Adolfo Gustavo Rol, collezionista di reliquie napoleoniche, al coiffeur di Anna Carla Dosio, La donna della domenica , che nella Ville Lumière aveva scoperto Teilhard de Chardin.

Ai maggiori in cattedra. Da Ferdinando Neri (il professore di Ginzburg) a Franco Simone, a Lionello Sozzi, curatore, per Einaudi, di Storia europea della letteratura francese , in ordine di tempo l’ultimo devoir dopo gli egregi - alcuni titoli fra gli altri, i più recenti - Il Paese delle chimere , Perché amo la musica , Gli spazi dell’anima , Cultura e potere .

Nella Storia , Sozzi rischiara, con il Settecento, il Cinquecento, soffermandosi quindi sull’ugonotto Agrippa d’Aubigné, «l’unico, autentico poeta del secolo», intorno a cui Claudio Gorlier avrebbe voluto confezionare la tesi di laurea, salvo cozzare contro il no di Ferdinando Neri. Sarebbe così nato l’americanista Bonetto, cardinale nella commedia di F &L. Ulteriore bizzarria sotto la razionalissima Mole. A proposito di estravaganti percorsi. Lei si laurea con Lui­ gi Russo. Ma non sarà l’italia­ nistica la sua «riserva». «In realtà, i Normalisti - mi formai a Pisa - erano iscritti anche all’Università. Con Luigi Russo approfondii i veristi minori. Glauco Natoli, invece, mi propose di investigare la fortuna di Shakespeare nel Settecento francese. Varcai in seguito il confine: borsa di studio a Parigi, poi lettore nei licei, da Lione a Grenoble. Nel ’62 giunsi a Torino, come assistente di Franco Simone».

I maestri subalpini... «Franco Simone non era così sensibile al fatto letterario in sé. Piuttosto si distingueva come storico della letteratura, teso a delimitare i periodi, a non diluire il respiro di questo e quel movimento. L’Illuminismo, per esempio, che restringeva al ventennio dell’ Encyclopédie ». Non è attutita la fama di Fer­ dinando Neri. «Simone si diceva suo allievo. In verità Neri non mostrava una speciale sensibilità storica, era il fatto letterario a calamitarlo, a sedurlo. Fra Simone e Neri, non dimenticando il magistero di Luigi Foscolo Benedetto, La Parma di Stendhal ». Lo suo autore, Professore, pare essere Montaigne. «Sicuro. La lettura giornaliera. Di lui mi afferra lo scardinamento della mitologia umanistica. “Non predico l’uomo - afferma -, lo descrivo”. Da Montaigne al Settecento di Rousseau il passaggio è naturale. Negli scritti autobiografici di JeanJacques vi è la riscoperta dell’io al di là di tutte le allucinazioni, comprese le illuministiche. L’uomo né prima né dopo, ma dentro di noi. Il mio fil rouge si estende al Novecento, a Claude LéviStrauss, il grande scrittore di Tristes Tropiques e di Razza e storia , un possente antidoto contro qualsivoglia forma di razzismo». Il Settecento, tra moralisti e memorialisti. «I moralisti che in Italia difettano, anzi, mancano. La morale ufficiale, cattolica, nei secoli di un’invadenza tale da impedire il germoglio di una letteratura che fronteggiasse, minandone l’ipocrisia, la morale corrente. Inva-

no cercheremmo nella nostra biblioteca un La Rochefoucauld o l’eco di Chamfort». Fra i memorialisti sommi (na­ sceva nel 1675), Saint­Simon. Preso di mira nel suo Paese, per le «troppopotenti irregolarità» della lingua, come rammenta­ va Mario Bonfantini. «Nella mia veste di lettore proposi a uno studente francese di tradurre in italiano alcuni brani dei Mémoires . Mi oppose: “Ma non è un classico!”». Azzardiamo. Il journal, un ge­ nere imparentato alla lontana con la memorialistica. «L’affresco storico dei Goncourt sicuramente all’apice. Non tralasciando Henri-Fréderic Amiel, un’ottocentesca figura ginevrina. Ai suoi Fragments d’un journal intime ho attinto architettando Il Paese delle chimere . Là dove sostiene che della speranza ha bisogno, anche se la speranza non gli appare che sotto le spoglie di una chimera. Ogni speranza, dice, è un uovo da cui possono uscire sia un serpente, sia una colomba». Montaigne. Il suo corteo fune­ bre, tra i vertici di «Port­Royal», alias Sainte­Beuve. «E i Portraits . Una lingua bellissima. Ma alla distanza il critico vacilla. Gli difettava l’equilibrio, incline com’era e alla demolizione e all’esaltazione». «Contro Sainte­Beuve» si schie­ rerà Proust. «Il maggiore prosatore del Novecento. La capacità prodigiosa che ha di far parlare le cose, di umanizzare gli oggetti. Quando non nasconde lo scoramento: di fronte agli alberi che gli tendono i rami come se volessero comunicargli qualcosa, ma ritraendosi delusi, incompresi». Sommerset Maugham identifi­ cava i caratteri della Francia at­ traverso gli scrittori: Rabelais, ovvero la ribalderia senza freni, La Fontaine il buon senso, Cor­ neille, la panache, vanagloria e onore... «Come non convenire. Ma mi consenta di innalzare La Fontaine, l’arte di narrare, di svelare l’uomo con estrema semplicità, al lume di di variegate, eruditissime fonti: italiane, latine, greche». Torniamo a Sainte­Beuve, giansenismo, al Seicento. «A Pascal. Che fa dire a Gesù (ma nei Vangeli è inutile cercare queste parole): “Non mi cercheresti se non mi avessi già trovato”. Tra gli stoici, gli epicurei, gli scettici, infine opta per questi ultimi: perché hanno il coraggio di dubitare, addirittura del dubbio». C’è uno scrittore francese non profeta in Patria? «Direi Maupassant. Considerato un modesto allievo di Flaubert. Sconta la sua predilezione: la novella, Oltralpe non proprio nelle corde».

Flaubert... «Chi più musicale di lui?». Il «retrobottega» (direbbe Montaigne) di Lionello Sozzi è affollato di libri non meno che di cd, Debussy, Beethoven, Mozart, Franck (la petite phrase proustiana), Brahms, Bach, Schubert, gli ulteriori compagni di viaggio di questo hidalgo del Sud, nonché, perché no?, maestri di scrittura. Come non riandare al ritratto di Ferdinando Neri secondo Giovanni Macchia? «Dei vari “tempi” della sua giornata quello della ricerca occupava “l’allegro ostinato”, per cedere poi, quando fosse necessario arrivare alle conclusioni e scrivere ciò che si era andato pensando durante la capillare preparazione, ad un tempo difficile e meditato: un tempo, diciamo per intenderci, di “adagio sommesso”...»