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 2013  aprile 21 Domenica calendario

STORIA DEL PD DA WIKIPEDIA

Le prime proposte di un nuovo partito -
Le prime proposte di un partito unitario dei moderati del centro-sinistra giunsero nel 1993 dal gruppo di Alleanza Democratica di Ferdinando Adornato e Willer Bordon. Finché Michele Salvati, deputato eletto nelle liste dei Democratici di Sinistra in alcuni articoli pubblicati sui quotidiani Il Foglio[1] e la Repubblica[2] nell’aprile 2003, delineò un nuovo partito, nato dall’incontro tra le culture socialdemocratica, cristiano-sociale e socio-liberale.

Accolta con iniziale scetticismo, l’idea di Salvati fu ripresa da Romano Prodi, all’epoca presidente della Commissione Europea.
Dalla lista Uniti nell’Ulivo al Partito Democratico
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi L’Ulivo.
« Il Partito Democratico è cresciuto sulle radici dell’Ulivo».
(Romano Prodi)
Romano Prodi, tra i primi a lanciare l’idea di una lista unitaria

Nel 2003, Romano Prodi propose una lista unica in vista delle elezioni europee del 2004. La proposta venne accolta da: Democratici di Sinistra, la Margherita, SDI e i Repubblicani Europei. Nacque, così, la lista "Uniti nell’Ulivo", con l’obiettivo di consolidare un percorso di unità tra le forze riformiste del centrosinistra anche in occasione di successive elezioni locali e nazionali, e di dar vita ad una vera e propria federazione.

La lista unitaria raccolse il 31,1% dei voti, eleggendo 25 euro-parlamentari, che si divisero tra due gruppi parlamentari: i DS e lo SDI nel Partito Socialista Europeo (PSE); la Margherita (che aveva costituito il Partito Democratico Europeo) insieme al MRE aderirono all’Alleanza dei Liberali e Democratici per l’Europa (ALDE).

Prodi sollecitò, quindi, la lista unitaria anche alle elezioni politiche del 2006, ma La Margherita (con l’80% dell’Assemblea) si dichiarò contraria preferendo competere con il proprio simbolo, sostenendo che ciò avrebbe portato maggiori consensi.

Nel febbraio 2005 i partiti della lista siglarono un patto di federazione. La lista unitaria, così, si ripresentò alle elezioni regionali del 2005, tenute in aprile, ma soltanto in 9 delle 14 regioni chiamate al voto. L’unità d’intenti dei soggetti coinvolti in questa esperienza si consolidò anche in occasione delle elezioni primarie organizzate il 16 ottobre 2005 per scegliere il leader della nuova coalizione di centrosinistra, che prese il nome di L’Unione. I membri della federazione dell’Ulivo (comunemente chiamata anche "Fed") sostennero la candidatura di Romano Prodi, che con il 74% dei voti, divenne il candidato proposto dal centrosinistra alla Presidenza del Consiglio per il 2006.

L’esperienza delle primarie dell’Unione, che portarono a votare oltre 4.300.000 cittadini, fecero rilanciare l’idea di costituire un vero e proprio partito unitario. Anche nella Margherita ritornò la sintonia verso tale progetto, tanto che l’assemblea federale del partito approvò all’unanimità la decisione di presentare la lista unitaria dell’Ulivo sulla scheda per l’elezione della Camera dei deputati, seppur ciascuno con il proprio simbolo al Senato.

Immediatamente dopo le primarie, intanto, si era consumata la rottura dello SDI, che dichiarò di non essere interessato alla costituzione di un partito unico, modificando la propria linea e soffermandosi su una visione molto marcata della laicità dello Stato. A tal proposito, i socialisti strinsero dapprima un accordo con i Radicali Italiani dando vita alla Rosa nel Pugno; successivamente si impegnarono in una "Costituente Socialista" con l’obiettivo di colmare il vuoto che sarebbe rimasto, all’indomani della nascita del PD, nell’alveo del socialismo italiano, formando il Partito Socialista.

Interessati al progetto furono numerosi protagonisti della società civile: tra questi i promotori di una prima Associazione per il Partito Democratico (che più tardi si unì ad altre associazioni in forma federativa), che prende vita in un’affollatissima assemblea presso il Circolo della Stampa di Milano il 12 febbraio 2006 in cui vi erano esponenti del mondo della cultura, del giornalismo, dell’economia e della politica (Gad Lerner, Fabrizio Onida, Michele Salvati, Riccardo Sarfatti, Pippo Ranci, Deo Fogliazza, Salvatore Bragantini, Chicco Crippa, Laura Novati, Stefano Facchi, Benito Fiori ed altri).
L’evoluzione del progetto e la futura nascita del partito

Rappresentanti dei partiti fondatori si incontrarono, al di fuori del loro mandato politico, il 9 e 10 ottobre 2006 in un seminario ad Orvieto per discutere dell’avanzamento del progetto del Partito Democratico: in quella sede fu ribadita la necessità di un progetto riformista unitario, pur con alcuni distinguo ed esitazioni.

Nei DS si mostrò subito contraria al Partito Democratico la sinistra interna, il vecchio Correntone guidato da Fabio Mussi e Cesare Salvi, che presentò una mozione esplicitamente dissenziente al congresso dell’aprile 2007, denominata A sinistra - Per il socialismo europeo. Una terza mozione congressuale Per un partito nuovo, democratico e socialista, fu presentata da altri esponenti del partito come Gavino Angius, fino al 2006 capogruppo al Senato, e Mauro Zani, non contraria a priori al progetto di una nuova formazione politica ma estremamente critica nei confronti del metodo della discussione ed in merito ad alcune questioni ritenute fondamentali come la collocazione europea, ma favorevole ad una ipotesi di federazione che non si limitasse a DS e Margherita.

Nella Margherita si aprì il confronto tra la corrente degli ulivisti guidata dal Ministro della Difesa Arturo Parisi e la corrente popolare rappresentata dal Presidente del Senato Franco Marini, anche se la mozione unica presentata dal presidente Francesco Rutelli è stata approvata in maniera compatta da tutte le aree del partito.

Nel frattempo nacquero numerose associazioni, che rivendicarono la partecipazione attiva dei cittadini, anche di quelli non iscritti ad alcun partito, alla formazione del Partito Democratico. Fra queste la "Associazione per il Partito Democratico", una "Federazione delle Associazioni per il Partito Democratico" (gestita da Massimo Cacciari, Sergio Cofferati, Leopoldo Elia, Virginio Rognoni, Michele Salvati, Riccardo Sarfatti ed altri), oltre a "Libertà e Giustizia" e alla "Associazione della Sinistra per il Partito Democratico" (alla quale aderirono Giancarla Codrignani, Fabio Zanzotto, Giuliano Montaldo, Davide Ferrari, Gregorio Scalise e Giuseppe D’Agata).

Ad ogni modo, a seguito del seminario di Orvieto tra le dirigenze dei due partiti principali, ebbero luogo, nell’aprile del 2007, i congressi nazionali di DS e Margherita (quasi parallelamente), e si stabilì il percorso comune verso la fondazione del PD.
La redazione del Manifesto per il Partito Democratico

Romano Prodi in prima persona, nel corso del 2006, incaricò tredici personalità di spicco del mondo della cultura e della politica (Rita Borsellino, Liliana Cavani, Donata Gottardi, Roberto Gualtieri, Sergio Mattarella, Ermete Realacci, Virginio Rognoni, Michele Salvati, Pietro Scoppola, Giorgio Tonini, Salvatore Vassallo, Luciano Violante, più Giorgio Ruffolo che abbandonò in corso d’opera la stesura del testo per contrasti col resto del gruppo di lavoro) di redigere un Manifesto per il Partito Democratico, utile a enunciare i valori del nuovo soggetto politico, e possibile bozza e base provvisoria per un futuro manifesto di valori da redigere successivamente la nascita del partito.

Il documento che venne reso pubblico nel dicembre del 2006, consta di quattordici pagine ed è diviso in tre parti:

Noi, i democratici
L’Italia, una nazione d’Europa
L’Ulivo, il nostro partito

I concetti cruciali espressi dal Manifesto sono:

l’interesse nazionale unisce gli aderenti al progetto del Partito Democratico;
le parole chiave del nuovo soggetto saranno libertà e dignità;
la collocazione europea sarà in sinergia con il PSE;
è irrinunciabile il metodo delle elezioni primarie nella scelta dei candidati;
la laicità è da intendere come presenza pluralista, valorizzata e attiva di diverse visioni morali e delle varie religioni;
è da sottolineare l’importanza della difesa della Costituzione, conservando i rapporti da essa previsti tra Stato e Chiesa.

Il 4º Congresso nazionale dei DS

Il congresso dei DS fu caratterizzato da una pluralità di mozioni: "Per il Partito Democratico" favorevole al processo unitario (75,5% dei consensi degli iscritti); quella dell’ex cosiddetto Correntone (leader Fabio Mussi) contraria alla formazione di un partito unico con i settori moderati della coalizione (raccolse il 15,1%); quella (primi firmatari Gavino Angius e Mauro Zani), fortemente critici verso il percorso di costituzione intrapreso, richiedendo un legame esplicito al socialismo europeo.

Nella sua relazione introduttiva, Piero Fassino introdusse le caratteristiche principali del Partito Democratico:
« Diamo vita al Partito Democratico non per un’esigenza dei DS o della Margherita o di un ceto politico. No. Il Partito Democratico è una necessità del Paese, serve all’Italia. Vogliamo dare vita ad un soggetto politico non moderato o centrista, bensì progressista, riformista e riformatore. Un partito che faccia incontrare i valori storici per cui la sinistra è nata e vive - libertà, democrazia, giustizia, uguaglianza, solidarietà, lavoro - con l’alfabeto del nuovo secolo: cittadinanza, diritti, laicità, innovazione, integrazione, merito, multi-culturalità, pari opportunità, sicurezza, sostenibilità, sopranazionalità. E per questo dovrà essere un partito del lavoro, dello sviluppo sostenibile, della cittadinanza e dei diritti, dell’innovazione e del merito, del sapere e della conoscenza, della persona e della laicità, della democrazia e dell’autogoverno locale, dell’Europa e dell’integrazione sopranazionale, della pace e della sicurezza.[3] »

L’elezione alla segreteria di Piero Fassino - che nella sua relazione lanciò segnali di apertura ai critici come Angius e agli oppositori come Mussi - fu sostanzialmente l’approvazione da parte della base dei DS della creazione del nuovo soggetto politico. La contrarietà dell’ala sinistra pose tuttavia problemi rispetto all’unitarietà del partito: Mussi ed il vecchio Correntone annunciarono la propria uscita dai DS e la volontà di costituire un nuovo soggetto a sinistra del partito Democratico.[4]

Da parte della corrente di Gavino Angius, fu chiesta una totale rielaborazione del Manifesto per il Partito Democratico (manifestando comunque, durante il congresso, disponibilità alla presenza nel gruppo dirigente che porterà i DS nel PD[5]), e la certezza dell’adesione al PSE. Solo la settimana successiva all’assise congressuale, Angius deciderà di abbandonare i DS.[6] Conseguenza di questa scissione a sinistra dei DS è la formazione del gruppo parlamentare e del movimento politico chiamato Sinistra Democratica per il Socialismo Europeo che, più tardi, lo stesso Angius abbandonerà per entrare nel Partito Socialista.

Riguardo all’appartenenza europea, Fassino, proprio nella sua relazione introduttiva, ribadì lo stretto legame col PSE dei DS e del futuro Partito Democratico.
Il 2º Congresso federale della Margherita

Anche il congresso della Margherita si svolse con l’obiettivo di dar vita al Partito Democratico, e orientata in tal senso fu l’unica mozione presentata dal presidente del partito Francesco Rutelli.

L’assise della Margherita non presentò le medesime divisioni interne verificatesi nei DS, coerentemente con l’ispirazione unificatrice delle forze di centrosinistra che il partito di Rutelli ebbe sin dalla sua nascita come lista elettorale nel 2001, e come partito nel 2002; proprio Rutelli concluse rivolgendosi a Fassino:
« Già adesso siamo lo stesso partito, parliamo lo stesso linguaggio, siamo accomunati dalle stesse priorità. [...] Da adesso dobbiamo dire noi.[7] »

Le uniche critiche vennero da Arturo Parisi, ministro della Difesa in carica, e da Willer Bordon (già capogruppo della Margherita al senato nella XIV legislatura), che chiesero lo scioglimento delle correnti interne in vista della nascita del PD, e dall’ex segretario del PPI Gerardo Bianco, che decise di non aderire al PD. Più tardi, nella fase di preparazione del PD, lo stesso Bordon ma anche Lamberto Dini decideranno di non aderire al nuovo partito.
Le elezioni primarie
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Elezioni primarie del Partito Democratico.

Il primo atto formale verso la costituzione del nuovo Partito venne effettuato il 23 maggio 2007 con la nomina di un Comitato promotore, il "Comitato 14 ottobre", così chiamato con riferimento alla data in cui sarebbe stata eletta l’assemblea costituente del Partito Democratico.

Tale comitato, nato con 45 membri, annoverava, oltre ad esponenti di DS e Margherita, anche politici provenienti da esperienze diverse (come l’ex UDC Marco Follini e l’ex-SDI Ottaviano Del Turco, presidente della Regione Abruzzo) e personalità della società civile, come il giornalista Gad Lerner, il presidente di "Slow Food" Carlo Petrini e l’esponente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Tullia Zevi.
I membri del Comitato promotore

Giuliano Amato
Mario Barbi
Antonio Bassolino
Pier Luigi Bersani
Rosy Bindi
Paola Caporossi



Sergio Cofferati
Massimo D’Alema
Marcello De Cecco
Letizia De Torre
Ottaviano Del Turco
Lamberto Dini



Leonardo Domenici
Vasco Errani
Piero Fassino
Anna Finocchiaro
Giuseppe Fioroni
Marco Follini



Dario Franceschini
Vittoria Franco
Paolo Gentiloni
Donata Gottardi
Rosa Jervolino
Linda Lanzillotta



Gad Lerner
Enrico Letta
Agazio Loiero
Marina Magistrelli
Lella Massari
Wilma Mazzocco



Maurizio Migliavacca
Enrico Morando
Arturo Parisi
Carlo Petrini
Barbara Pollastrini
Romano Prodi



Angelo Rovati
Francesco Rutelli
Luciana Sbarbati
Marina Sereni
Antonello Soro
Renato Soru



Patrizia Toia
Walter Veltroni
Tullia Zevi

Il Comitato definì le modalità di svolgimento delle primarie per l’elezione dell’Assemblea Costituente Nazionale e delle Assemblee Costituenti Regionali, con i rispettivi Segretari.

Il 31 luglio 2007 il Coordinamento Nazionale delle primarie ufficializzava le candidature alla carica di Segretario Nazionale del PD di: Mario Adinolfi, Rosy Bindi, Pier Giorgio Gawronski, Jacopo G. Schettini, Enrico Letta, Walter Veltroni. Alla fine di settembre, l’Ulivo comunicherà ufficialmente l’apparentamento di Schettini con la candidatura di Gawronski.

Alle elezioni costituenti di domenica 14 ottobre 2007 si registrava una partecipazione superiore alle aspettative con 3.554.169 voti validi[senza fonte], compresa la circoscrizione degli italiani all’estero.

Le liste collegate a Walter Veltroni (Democratici con Veltroni, Ambiente, Innovazione, Lavoro, A Sinistra per Veltroni ed altre liste locali) ottenevano complessivamente 2.694.721 voti[senza fonte] (75,82%) ed eleggevano 2322 delegati all’Assemblea Costituente Nazionale (compreso lo stesso candidato alla segreteria) su un totale di 2858 eletti, decretando automaticamente l’elezione di Veltroni a Segretario Nazionale del PD. Erano invece 313 i delegati eletti per le liste Con Rosy Bindi democratici, davvero, 221 i Democratici per Enrico Letta. Le liste in appoggio di Adinolfi (Generazione U) e quelle in appoggio di Gawronski (Il coraggio di cambiare e Noi per il Partito Democratico) riuscivano invece ad eleggere solo i due candidati alla segreteria.
L’Assemblea costituente

L’Assemblea Costituente Nazionale si insedia sabato 27 ottobre 2007 a Milano (presso il polo fieristico di Rho-Pero). I membri sono 2.858 eletti attraverso liste bloccate formate col criterio dell’alternanza uomo-donna. Il primo Presidente dell’Assemblea Costituente Nazionale è Romano Prodi, fondatore dell’Ulivo e Presidente del Consiglio dei ministri in carica.

Nella riunione di insediamento viene formalizzata l’elezione di Veltroni a primo Segretario Nazionale. La seduta si apre con l’intervento di Prodi.
« Il Partito Democratico è un grande contributo al Paese, ai milioni di donne e di uomini che hanno deciso di andare oltre il passato, pure glorioso, dei partiti legati alle storie nobilissime del secolo scorso, per entrare finalmente nel futuro. Un futuro che ci parla di problemi nuovi, che ci ripropone domande troppo spesso rimaste senza risposta, di bisogni di partecipazione democratica tuttora insoddisfatti, di sogni e speranze, del bisogno di dare senso alla propria esistenza e alla politica. (...) Il Partito Democratico sarà un esempio riformista per tutta l’Europa. Sono convinto, e ne ho già avuto testimonianza, che saremo noi ad anticipare l’Europa e non viceversa. È la nostra idea di Partito Democratico a collocarci direttamente nel cuore di questo percorso globale che vedrà i vecchi contenitori adeguarsi alle nuove necessità. Il Partito Democratico deve essere concepito come un soggetto che si colloca al centro del campo riformista e democratico, europeo e mondiale per rafforzarlo e allargarlo. »
(Romano Prodi)

Al termine l’assemblea approva, senza alcuna discussione, un dispositivo[8] proposto da Veltroni, che fra le altre cose stabilisce la nomina di Dario Franceschini a Vice Segretario Nazionale del partito e di Mauro Agostini a Tesoriere Nazionale. Vengono poi costituite, all’interno dell’assemblea, tre commissioni di 100 componenti ciascuna (con rappresentanza di delegati di tutte le liste proporzionale alla composizione totale dell’assemblea) che dovranno redigere rispettivamente lo Statuto, il Manifesto dei Valori ed il Codice Etico nazionali del partito. Stante la struttura federale del PD, saranno previsti analoghi documenti a livello regionale, da redarsi da parte delle Assemblee Costituenti Regionali.

Nei giorni immediatamente successivi all’assemblea costituente di Milano, si delineano gli organi esecutivi e consultivi del partito. Il 4 novembre 2007 il segretario Veltroni nomina l’esecutivo del PD, con 17 membri di cui 9 donne (la maggioranza).[9] Il 7 novembre 2007 è eletto capogruppo del PD alla Camera dei deputati Antonello Soro.[10] Al Senato della Repubblica viene confermata la capogruppo dell’Ulivo Anna Finocchiaro.

Nel mese di novembre si insediano le Assemblee Costituenti Regionali, che eleggono i rispettivi Presidenti e formalizzano l’elezione dei Segretari Regionali. Poco dopo, Veltroni assegna i primi incarichi dirigenziali: fra gli altri nomina Goffredo Bettini coordinatore della fase costituente.[11] Sempre a novembre, si insediano delle Assemblee Provinciali provvisorie (formate dai delegati alle Assemblee Costituenti Regionali e Nazionale territorialmente competenti), ciascuna delle quali sceglie il proprio Presidente ed un coordinatore provinciale, pure essi pro tempore.

Tra dicembre 2007 e febbraio 2008 avviene il radicamento territoriale del partito. In ciascun comune vengono richiamate le assemblee degli elettori del 14 ottobre, allo scopo di costituire i Circoli territoriali del PD. I partecipanti a tali assemblee ricevono i certificati di Fondatrice o Fondatore del Partito Democratico. Ciascun Circolo territoriale elegge il proprio Coordinamento ed i propri delegati per l’Assemblea Provinciale. In quelle città dove sono costituiti più Circoli territoriali, ciascuno di essi elegge anche i propri delegati all’Assemblea Cittadina del partito. Nei giorni successivi, ciascuna Assemblea Provinciale si insedia, sostituendo quella pro tempore nominata a novembre ed eleggendo il proprio Presidente ed il Segretario Provinciale. Allo stesso modo ciascuna Assemblea Cittadina (ove costituita) elegge il proprio Presidente ed il Segretario Cittadino, mentre all’interno di ciascun Circolo territoriale il Coordinamento elegge il Segretario del Circolo (che coincide col Segretario Cittadino nei comuni ove è costituito un solo Circolo territoriale).

Nella seconda riunione dell’Assemblea Costituente Nazionale, sabato 16 febbraio 2008 a Roma, vengono approvati lo Statuto, il Manifesto dei Valori ed il Codice Etico. Lo Statuto prevede fra le altre cose la convocazione del primo Congresso entro ottobre 2009.
La sede ed il simbolo

Il 9 novembre viene inaugurata la sede nazionale del PD, a Roma in Piazza Sant’Anastasia, nei pressi del Circo Massimo.

Il 21 novembre il PD presenta il suo nuovo simbolo tricolore, elaborato dal grafico venticinquenne molisano Nicola Storto. Per Ermete Realacci, responsabile della comunicazione del partito, «il simbolo assume su di sé l’identità nazionale con molta forza. Infatti, i tre colori rispondono a tre tradizioni diverse dell’Italia. Il verde è la tradizione laica e ambientalista, il bianco è il solidarismo cattolico, il rosso è il colore del lavoro e del socialismo. Il risultato è una sintesi molto forte». La definizione e l’idea di partito "verde-bianco-rosso" nel segno delle anime del PD e della bandiera nazionale viene coniata per la prima volta dal candidato alla segretaria nazionale Jacopo G. Schettini in una lettera aperta pubblicata dal sito del PD il 5 settembre, ed è il titolo della sua candidatura presentata dal primo numero del periodico ufficiale del PD.
L’attività politica con Veltroni segretario
Il Partito Democratico all’interno del governo Prodi II

Appena sorto, il Partito Democratico assunse immediatamente il ruolo di maggiore forza politica all’interno del governo Prodi II. Il segretario Walter Veltroni intuì rapidamente la necessità di avviare un dialogo con le varie forze politiche per la creazione di importanti riforme, le quali vengono ritenute necessarie per la modernizzazione dello Stato. L’11 novembre Veltroni lanciò una nuova proposta di legge elettorale elaborata dal costituzionalista Salvatore Vassallo[12], nell’ambito di una riforma che coinvolgesse anche i regolamenti parlamentari e la Costituzione, dando l’appoggio del PD alla proposta di revisione costituzionale al vaglio della Camera dei Deputati.[13]

Nei giorni successivi, si assistette alla fine della Casa delle Libertà, coalizione di opposizione: il governo Prodi II, la cui caduta era stata data per certa al Senato da Silvio Berlusconi agli alleati tra il 14 e il 15 novembre, passò indenne il delicato passaggio della Finanziaria a Palazzo Madama. A seguito di questo fatto, la Lega Nord, l’UDC e soprattutto Alleanza Nazionale rivolsero pesantissime critiche a Forza Italia e raccolsero l’invito di Veltroni ad approvare insieme alcune riforme istituzionali. A stretto giro, lo stesso Berlusconi abbandonò il rifiuto di ogni dialogo con la maggioranza e si dichiarò disposto a discutere con Veltroni di legge elettorale, annunciando la fine della sua difesa al bipolarismo ed il gradimento per il sistema proporzionale.

A fine novembre, dopo il fallimento della "spallata" della Casa delle Libertà (termine giornalistico per indicare i tentativi di Berlusconi di far cadere il governo Prodi II), la coalizione di centro-destra sembrò frantumarsi in uno scontro tra Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini da una parte, e Silvio Berlusconi dall’altra. Ormai rassegnati all’idea che la caduta del governo non fosse imminente, tutti i partiti dell’opposizione accettarono dunque (pur con motivazioni diverse) la proposta di dialogo sulle "riforme" lanciata con forza da Veltroni e Franceschini.

Il segretario del PD incontrò quindi, in rapida successione, i leader della maggioranza e dell’ex-CdL per discutere e cercare di trovare un accordo su una nuova legge elettorale, e sulla riforma dei regolamenti parlamentari e della parte II della Costituzione: il 26 novembre Veltroni vide Gianfranco Fini, Italo Bocchino e Vincenzo Nespoli di Alleanza Nazionale; il 28 Pier Ferdinando Casini, Lorenzo Cesa e Rocco Buttiglione dell’UDC; il 29 Roberto Maroni, Roberto Calderoli e Andrea Gibelli della Lega Nord, Lamberto Dini dei Liberaldemocratici e Oliviero Diliberto dei Comunisti Italiani; il 30 Fabio Mussi di Sinistra Democratica e infine Silvio Berlusconi e Gianni Letta di Forza Italia.
La caduta di Prodi e la campagna elettorale 2008
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Elezioni politiche italiane del 2008.
Walter Veltroni a Trento per la campagna elettorale 2008

Ma il governo Prodi era ormai allo stremo. I risultati delle elezioni politiche del 2006 erano stati deludenti per il centrosinistra (dato largamente in testa dai sondaggi) e ne era conseguito un quadro non privo di ombre ed ambiguità: al Senato la coalizione di Prodi ottenne una maggioranza di appena 158 seggi su un totale di 315. Un sostanziale pareggio era nei fatti. Ma una proposta di collaborazione lanciata da Silvio Berlusconi, capo dell’opposizione, venne respinta con scherno. In breve tempo l’eterogeneità della coalizione non tardò a mostrarsi in tutta la sua ampiezza. Contestato fortemente per l’aumento delle imposte al ceto medio, travolto dallo scandalo dei rifiuti a Napoli, il governo registrò un drastico calo di fiducia nei sondaggi. Questa situazione iniziò a determinare lo sfaldamento della debole maggioranza, soprattutto al Senato. In particolare, in una intervista del dicembre 2007, il Presidente della Camera, Fausto Bertinotti, arrivò a definire ironicamente Prodi "un grande poeta morente" e dichiarò che bisognava prendere atto del fallimento della coalizione di governo. Alcuni senatori, quindi, iniziarono a rendersi autonomi rispetto alla maggioranza, rendendo incerto l’esito di qualsiasi votazione si tenesse a Palazzo Madama. Ciò continuò a rinfocolare le polemiche sull’apporto determinante dei senatori a vita. Nel gennaio 2008 scoppiò l’emergenza rifiuti a Napoli. Questa vicenda, oltre a gettare ombre sulla gestione del sindaco, Rosa Russo Iervolino (PD)e del Presidente della Regione, Antonio Bassolino (PD), screditò definitivamente il governo Prodi. L’esecutivo, infatti, contestato al suo interno dalla sinistra radicale, non poté permettere che la polizia ristabilisse l’ordine pubblico con la dovuta fermezza. Le immagini della città partenopea invasa dai rifiuti fecero il giro del mondo. Il ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, fu accusato di inettitudine, demagogia, ed incapacità politica: l’opposizione presentò una mozione di sfiducia nei confronti del ministro ed alcuni senatori di maggioranza minacciavano di votarla ( di fatto avrebbero determinato, in questo modo, la caduta del governo). Tuttavia, pochi giorni dopo, il governo Prodi II cadde a seguito della crisi politica innescata da Clemente Mastella. Il PD di Veltroni appoggiò il tentativo di formare un governo attorno ad una convergenza fra le forze politiche sulla riforma elettorale, affidato dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano al presidente del Senato Franco Marini (egli stesso del PD). Tuttavia il tentativo non riuscì per la ferma opposizione di Berlusconi e del centro-destra, ora ricompattato dalla prospettiva di una vittoria elettorale imminente.

Nei giorni successivi allo scioglimento delle Camere, il PD scelse di formare le sue alleanze "esclusivamente su base programmatica", il che si risolse con l’esclusione di ogni apparentamento con la Sinistra Arcobaleno e con - invece - la formazione di una coalizione con l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Si giunse anche ad un accordo con i Radicali italiani, che implicò l’inserimento di alcuni loro esponenti nelle liste del PD. Nonostante gli sforzi, non si giunse a un accordo con il Partito Socialista, il quale non accettò di rinunciare al suo simbolo per inserire suoi esponenti nelle liste del PD, e presentò una lista separata indipendente.

Dopo la presentazione delle liste ufficiali dei candidati scoppiò una polemica interna al Partito a causa di alcune esclusioni eccellenti. L’esclusione di Ciriaco De Mita e quella di Giuseppe Lumia, ex-Presidente della Commissione Antimafia, furono motivate dall’esigenza di partito di non candidare persone con più di tre legislature. A questa regola generale si sono fatte 32[senza fonte] deroghe per i cosiddetti "big" del partito, tra cui lo stesso Walter Veltroni.

Altre polemiche sorsero per la presunta scarsità di candidature femminili con buone possibilità di successo.[14] I Radicali infine hanno sostenuto che Veltroni non abbia dato corso al patto siglato: agli occhi della dirigenza Radicale, infatti, non tutte le nove candidature radicali avrebbero l’elezione garantita[15] (i nove candidati risulteranno poi tutti eletti[16]). Gianfranco Pasquino, criticando il trattamento subito dai Radicali, ha dichiarato: «Le liste del Partito Democratico, redatte secondo principi di marketing e di rappresentanza settorializzata, "ma anche", burocratico-partitocratica, sono già di per sé pessime.»[17]
Elezioni politiche 2008
Al Quirinale: Walter Veltroni (al centro), Antonello Soro (a sinistra) e Anna Finocchiaro (a destra)

Alle elezioni politiche del 2008 PD e Italia dei Valori raccolgono complessivamente il 37,546%[18] dei consensi alla Camera, contro il 46,811% della coalizione Il Popolo della Libertà - Lega Nord - Movimento per l’Autonomia guidata da Silvio Berlusconi, e il 38,010%[19] al Senato, contro il 47,320% della coalizione avversaria. Singolarmente il Partito Democratico ha ottenuto rispettivamente il 33,17% e il 33,69% dei suffragi. Il 16 aprile 2008 viene resa nota una lettera risalente al precedente 23 marzo, giorno di Pasqua, in cui Romano Prodi informava il segretario Veltroni di voler abbandonare l’incarico di presidenza del Partito, per fare spazio a una nuova generazione dirigente.
La crisi

Dopo le elezioni in Sardegna del 14-15 febbraio 2009, dove Renato Soru, presidente uscente e uomo di punta del PD viene sconfitto dal candidato del PDL Ugo Cappellacci, in considerazione di questo e di altri risultati negativi del Partito in consultazioni elettorali precedenti e le forti critiche alla sua gestione, Veltroni si dimette da segretario[20]. Viene riunita sabato 21 febbraio l’Assemblea Costituente, chiamata a decidere come uscire dal momento di difficoltà e quale strada intraprendere. Si fronteggiano due linee: da una parte chi vuole andare subito a primarie, a cui far seguire un congresso per lanciare una nuova fase del partito, cambiando profondamente le leadership della classe dirigente del Partito e proponendo alla segreteria temporaneamente Arturo Parisi; dall’altra parte coloro i quali ritengono sia dannoso aprire la fase congressuale in quel momento, data la vicinanza delle Elezioni Europee, preferendo confermare alla guida del Partito il vicesegretario di Veltroni, Dario Franceschini. Nel frattempo sia l’ex Ministro Pier Luigi Bersani che l’ex candidato alla Segreteria nel 2007 Jacopo Schettini Gherardini rendono pubblica la loro intenzione di correre alle future primarie del PD in vista della Convenzione di ottobre 2009. All’Assemblea dei circoli del PD tenutasi nel marzo 2009 è salita alla ribalta[21], col suo applauditissimo intervento, Debora Serracchiani, segretario comunale per il partito a Udine.
Verso il I Congresso: Franceschini segretario
Dario Franceschini.

Convocata dopo le dimissioni di Veltroni, l’Assemblea Costituente (presieduta da Anna Finocchiaro, essendo vacante la carica di Presidente del PD) ha eletto, con 1047 preferenze, Dario Franceschini nuovo segretario nazionale del Partito, contro i 92 voti raccolti da Arturo Parisi[22].

Il nuovo segretario, eletto con il compito di portare il partito alle Elezioni Europee e al Congresso di autunno, annuncia di volere cominciare una nuova fase nel Partito, basata su inedite e giovani personalità, caratterizzata da una opposizione più ferma al Governo (puntando soprattutto sul tema della crisi economica e finanziaria in atto), mettendo da parte i "capibastone" e coinvolgendo maggiormente amministratori locali e dirigenti territoriali. Con l’elezione di Franceschini, sono decaduti gli organi direttamente nominati da Veltroni, in primis il Governo ombra. Sono stati poi nominati una nuova segreteria e nuovi responsabili per tematiche politiche[23].
Le elezioni europee del 2009

La prima importante sfida che il nuovo segretario si trova ad affrontare è quella delle elezioni europee del 2009. Il nodo sulla collocazione europea è stato sciolto ufficialmente solo dopo le votazioni, sebbene Piero Fassino avesse già proposto di formare una federazione con il PSE che dia luogo a un unico gruppo nell’Europarlamento, il quale contenga tutte le forze progressiste europee.[24] La campagna del PD si è basata sulla rivendicazione della sua identità europeista; inoltre tiene banco la denuncia del particolare approccio alla consultazione elettorale scelto da Silvio Berlusconi, il quale corre in tutte le circoscrizioni elettorali pur essendo incompatibile per quella carica in quanto deputato alla Camera e Presidente del Consiglio dei ministri, opponendogli candidati che siederanno effettivamente all’Europarlamento in caso di elezione. Alle elezioni del 2009 il Partito Democratico ha ottenuto il 26,1% dei voti, perdendo circa il 7% dei consensi rispetto alle politiche del 2008 (nel corso delle quali il PD comprendeva anche i radicali, mentre alle europee del 2009 questi avevano una propria lista che ha raggiunto il 2,4%).